La lettura di quest’opera entra direttamente nelle viscere di noi stessi, nel nostro inconscio collettivo, nel nostro recente passato.
Il libro offre uno specchio dell’Italia di ieri sera e di oggi sul terrorismo, sulle stragi, sulla guerra fredda e su quelle calde dei nostri giorni. I protagonisti e gli avvenimenti sono accaduti, tutti, nessuno escluso. Qualche nome è cambiato per evidenti ragioni, dovute al tema che è riferito alla memoria di un sottosuolo. L’Italia delle stragi e dei servizi segreti operativi anche all’estero.
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Una intervista biografica trasformata in un romanzo, dove nello svolgersi della narrazione l’autore e il protagonista si compenetrano nei loro recessi emotivi e ancestrali, passibili di divenire un lato della nostra memoria collettiva inconscia. Se ci si inoltra nella lettura, il distacco emotivo è impossibile. Gli eventi arrivano dentro le viscere del lettore.
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Pag. 265 “[…] Io mi sono buttato in quest’impresa con motivazioni da vendere, ma lui perché lo sta facendo? Perché lanciarsi senza paracadute in un coming out così azzardato, che metterà a repentaglio tutti i suoi rapporti personali? La sua versione è che ha deciso di rompere il silenzio per due ragioni. Primo, per riconciliarsi attraverso un atto di verità con se stesso, col prossimo e col Dio d’amore sulle cui tracce si è rimesso da anni – la penitenza pubblica di un cristiano delle origini, tanto più efficace quanto più pubblica. Secondo, per contribuire a «fare un po’ di luce su alcune questioni della nostra storia recente che a molti, per troppo tempo, ha fatto comodo occultare». […]”
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Pag. 267 “[…] La verità è che non sono mai uscito da me stesso scrivendo di lui – neanche per un momento. […]”
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Il punto di vista è focalizzato dentro i corpi raccontati, sognati e vissuti dal protagonista. Lo scrittore è parte integrante del libro come protagonista e disponendo il ritmo della narrazione anche attraverso alcune sue concomitanti vicende biografiche. La vicenda si caratterizza anche per un contrappunto tra il passato che è vivo nel dialogare concretamente con il presente attraverso il malessere che corre tra gli occhi del protagonista e dello scrittore.
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Il protagonista usa lo scrittore per raccontare le sue storie in un’ottica di rivisitazione del passato, quasi per trasformarlo in un testamento, per rimodulare le scelte accadute. Vi è il tentativo di immaginare diversi schemi temporali, in cui innestare giustificazioni del proprio operato. Vi è l’intento di fotografare nuovamente l’accaduto con diverse cromature, in modo che si possa lenire il dolore, per la lacerazione infinita del presente, dove la persona, le convinzioni passate e attuali, il proprio operare, le immagini di sé, rappresentano uno scarto contraddittorio. Con la consapevolezza, che se lo scarto opprime e dilania, la cura mostra l’errore e l’orrore della propria vita, cioè di ciò che si testimonia di sé: un integrale atto di accusa.
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Un libro tragico nel suo fine, perché, anche se lo scrittore riuscisse a offrire un resoconto farmacologico, l’esito della cura toglierebbe la nevrosi, il cruccio, la lama che taglia ogni bugia, tesa a occultare la colpa e l’integrale responsabilità di se stessi per una sconfitta subita e voluta, che sfiorisce la speranza di una vita migliore. Da una vita connotata da iperattività, che si contraddistingue in una fuga tracciata in un percorso circolare, dove si tenta di occupare ogni luogo di proprie opere e parole per occultare la catena potenzialmente infinita delle azioni oscure e innominabili, alla fine si dipinge la propria sconfitta. La sopravvivenza nel presente celebra la negazione di tutto ciò che si è sempre voluto.
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Dall’altra parte lo scrittore, usa anche lui il protagonista e il suo vivere in modo terapeutico. È scisso da un rimando continuo del suo tempo, e dalla negazione delle persone, degli auspici e delle possibilità di relazione con le parti del mondo, tenute per intime. Una ex, una donna amata, la madre, la sorella che si vuole aiutare e che rimane sola, le aspirazioni di scrittore, la doppia immagine che è nel pubblico lavoro e nelle proprie credenziali rispetto alla comunità di riferimento, e alle sospensioni ondivaghe della percezione di sé nel tempo. Una adolescenza non finita, e non pienamente compresa, una prospettiva di azione negli stadi successivi dell’età adulta, nel senso integrale di inadeguatezza di ciò che si è facendo, nel pensare e nello scrivere rispetto a ciò che si prova nell’immedesimarsi nella propria carne. La propria carne del corpo che è inadeguata per un trapianto verso la madre, l’unico possibile contatto salvifico. Dall’incapacità di relazionarsi con la madre, nel momento che ella dimorò nelle case del ghiaccio, prima di uscire verso la strada senza riflesso. Nell’ammirare esternamente la sorella, in confronto alla sua incapacità emotiva, espressiva, operativa rispetto al dolore.
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E ora sentendosi monco, ecco che incontra un universo dell’altro che è di Piero e Alessandro Manzoni l’erede, nell’arte, nella scrittura di poesie su se stesso e sull’Italia nei suoi conflitti in ombra, ma sempre presenti. Lo scrittore, di rimando, assieme al protagonista, attraverso l’orrore e all’apparentemente assurdo, dialogano testimoniando di ciò che fu di loro stessi, delle loro speranze sfiorite, nel racconto d’invenzione di quei petali di giorni, tentando di offrire un polline reale verso il futuro.
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I due parlanti stipulano un’intesa sapendo che il prezzo da pagare è la consapevolezza che porta l’ansia, il pericolo, e l’avvertimento di una caducità del proprio vivere in una progressiva sporgenza verso il bilico di un burrone. Il racconto è l’unico segno visibile dal cielo, scritto in un’isola arsa di Sole, di parole, e di persone, che offre la testimonianza di un altro vivere per rigenerare l’immagine di un nuovo futuro.
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E qui è l’arte che canta nel ricordo e nell’esposizione, la loro volontà di scontare la propria pena, che è tutta il loro vivere. L’unica energia rimasta per seminare un’altra, disperata stavolta, possibilità d’esistenza.
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