È motivo di imbarazzo la volontà di scrivere qualche riflessione su “Vita e destino” di Vasilij Grossman nella ristampa del 2008, Gli Adelphi, Milano. Semplicemente: è un capolavoro monumentale. È un viaggio nell’animo umano: di ciò che più intimo abbiamo nello splendore e nella dignità del vivere di ognuno e del suo morire. In questo libro vi è la compassione, l’amore, l’odio, la bassezza e la meschinità, la crudeltà, l’assassinio voluto e progettato, l’orrore, il razzismo, la guerra, i lager, i gulag, la fame, la malattia, la speranza, la dolcezza, la voglia di amare se stessi, i propri cari, i figli e le figlie.
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Fu terminato nei primi anni sessanta del secolo scorso. Vasilij Grossman combatté a Stalingrado durante la seconda guerra mondiale. Fu un giornalista, un saggista, un romanziere, un lettore attento dell’animo umano, un esperto di politica, e, per le sue esperienze, un profondo conoscitore della guerra e dell’oppressione. Scrisse diari e libri sulle vittime per opera dei tedeschi in URSS. Ebbe una lunga gavetta dura di sangue e di letture, di vita e di morte. Padroneggiava gli stili dello scrivere. Profondo conoscitore della letteratura russa e, nelle pieghe della censura sovietica, anche di quella degli altri paesi.
Il libro fu censurato dall’Urss e anche da noi, qui in Occidente. Da colui che visse Stalingrado, prima della guerra e dopo, e la censura di Stalin e di Krusciov. Si sente la Russia che è prima e continua a esserci nell’URSS. La Russia che non è solo dei russi, ma dei popoli che lì dimoravano nelle pianure infinite. Riformula continuamente la nozione di popolo, di epica, e della madre Russia. Non a caso è stato definito il libro che segue “Guerra e Pace” di Tolstoj, che in realtà il titolo dovrebbe essere “Guerra e vita”. Un libro imbarazzante per il mito del cuore del popolo russo e anche del nostro, di noi (non gli italiani, perché combattevamo con i tedeschi) alleati. Colpevoli di aver chiuso gli occhi sui lager e anche sulle epurazioni che dopo la guerra l’URSS intraprese contro coloro che professavano la religione ebraica.
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Vasilij Grossman è consapevole che il processo storico sociale del nazismo non può essere semplicemente equiparato a quello del comunismo, ma, a costo di rischiare la vita o di finire povero e isolato (e ciò accadde, dopo i fasti e gli onori per le sue attività di guerra e di scrittura durante la guerra e nei primi anni successivi ad essa), volle affrontare la verità: la rivoluzione russa con Stalin e con l’URSS è stata tradita. I popoli dell’URSS dopo il nazismo vivono un comunismo che tale non è, perché in realtà ha un elemento comune con coloro che sconfissero in guerra: il totalitarismo che è basato sulla violenza. Ma, secondo Vasilij Grossman, l’uomo ha un anelito irresistibile alla libertà, perché ogni uomo è unico e irripetibile.
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“Vita e destino” fu ripescato per caso, in una sola copia. E fu da monito per tanti scrittori all’epoca dell’URSS, come i fratelli Stugarskij che creavano copie nascoste e frammentate dei loro testi, per non farle sparire e diffonderle comunque, anche inviandole a editori che le avrebbero rifiutate (molti per non finire nei Gulag), con la convinzione che comunque sarebbero girate comunque.
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Il romanzo è uno struggente, continuo, poetico inno alla vita. La vita senza aggettivi, senza idee che pretendono di giustificarla, senza utopie che presumono darle uno scopo: la vita come dono. Questo lungo canto di sofferenza è una possente epica lirica che travolge qualsiasi narrazione ideologica, mostrandola piccola, statica e piatta nella sua visione del mondo.
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“Vita e destino” fa sentire i popoli delle steppe, tutti, non solo i russi e nelle sue pagine vi sono tratti altissimi di epica, lirica, mito, riflessioni filosofiche ed etiche profonde e capitali.
È impressionante la variazione degli stili letterari che compaiono in corrispondenza degli eventi, dei dialoghi e delle personalità dei protagonisti che sono tanti e tanti: sovietici e, ed è qui lo scandalo, anche i tedeschi. I tedeschi nella loro umanità come quella dei sovietici, sia nella loro terribile crudeltà sia nelle speranze, e nelle paure di alcuni.
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Non è un libro da leggere in modo episodico e distratto. Il lettore sente i protagonisti vicino, nella loro carne, nel loro respiro, nelle loro gioie e dolori. Meravigliose le pagine dello struggimento d’amore, e terribili quelle delle azioni di guerra, vere, dure, crude, senza retorica. Ma, ancora di più, quelle relative ai lager e ai gulag. E da lì si comprende, perché nessuno, fino a che Vasilij Grossman fu in vita, volle pubblicare il romanzo. NESSUNO, ovunque.
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Impossibile trascrivere un frammento di questo capolavoro: non rende giustizia a questo monumento sull’umanità. Veramente: questo è un libro che va vissuto integralmente, con tutto il proprio cuore.
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