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@18 PoeticaMente: il taglio finale

 

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Perseo con la testa della Medusa

Benvenuto Cellini – Ubicata in Piazza della Signoria in Firenze

 

Il taglio della testa in guerra, per una pena inflitta da un sistema giuridico moderno, o per un rituale pagano è un omicidio. È orrendo come tutti gli omicidi, ma con una consapevole volontà di attribuire significati e simboli successivi alla scomparsa del nemico. La testa è un tesoro, perché era il cibo: contiene l’essenza del nemico. Nell’antichità noi credemmo di possedere l’animo, il ricordo, oppure, al contrario, che si fosse sicuri di relegarlo definitivamente nel regno dei morti. In periodi ancora più vicini a noi, le teste mozzate divennero un trofeo, per certificare la potenza dell’assassino che agisce per la giustezza divina, giuridica, regale, politica e morale.

 

Nel periodo dei lumi la ghigliottina ebbe lo scopo di sublimare l’atto orrendo dell’omicidio. Di un omicidio che richiama le paure del maschio arcaico, riferite anche alla castrazione. Il taglio non è dovuto alla autodifesa ed ha una aggravante maggiore per la colpa dell’assassinio: è premeditato. Non si taglia la testa per rabbia, ira o follia. Lo si fa pensando con raziocinio a tutte le implicazioni per incutere terrore, oppure ad ottenere il plauso. Si è nel pieno delle proprie facoltà e se lo si compie in vista di una esposizione ad un pubblico, non vi è alcuna attenuante. Gli stati giuridici nazionali che hanno ancora la pena di morte, organizzano il rito in modo asettico; quasi impersonale. Il boia deve essere anonimo e senza volto e le sue azioni devono essere mediate da macchinari per compiere il gesto definitivo. In altri paesi con l’impiccagione o la fucilazione vi è un rituale tra il pubblico, l’autorità, il “colpevole” e il macchinario che uccide. L’esecuzione nella pubblica piazza è un rito sacrificale che stabilisce un equilibro tra la colpa e la pena. Il rito vuole coprire l’orrore della morte.

 

In questi mesi, l’ISIS – Jamāʿat al-Tawḥīd wa al-Jihād – (Stato Islamico della Siria ) ha ribaltato il processo di astrazione tra la morte e il taglio della testa. Vi è un contatto tra l’assassino e la vittima, affinché questa sia annichilita nel silenzio. Non a caso sono uccisi i giornalisti: coloro che vedono e parlano. L’ISIS vuole l’annichilimento e vuole instillare la paura attraverso i mezzi di comunicazione di massa: una strategia pubblicitaria da marketing occidentale. Sono stati qualificati come barbari, pazzi, di altre culture geneticamente malvagie. Loro sono i cattivi. Altri ancora dicono che loro sono i nostri prodotti, e la colpa è nostra. In ogni caso, la vittima è dimenticata. Al di là delle polemiche politiche e di guerra, l’elemento che desta ancora più timore è che hanno colto nel segno, se nei social quando qualcuno pubblica un dipinto di secoli fa che tratta della decapitazione, invece di parlare di arte e anche dell’orrore, e del sublime tragico, molti commentano sull’ISIS.

 

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 “Giuditta e Oloferne” Di Artemisia Gentileschi.

 

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La visione dell’orrore e della morte scardina i nostri schemi storici ed estetici, e induce molti, anche coloro che nulla sanno di arte, di credere che Artemisia sia stata una sanguinaria in vita. Invece Artemisia Gentileschi, oltre ad essere una artista immensa ed unica, è stata la generosità in persona in vita. L’arte parla dell’animo umano e oltre alla luce vi è anche l’abisso senza riflesso di luce.

 

Cosa è per noi la morte che taglia, e se non è la morte, perché ci fa più paura un omicidio con una spada, invece che con un mitragliatore che dieci secondi ne può uccidere 20 di esseri umani? L’ISIS non sta utilizzando una paura nuova? Non è punizione divina, non è stato di diritto, non è scontro eorico, forse è una semplice affermazione di potenza sorda.

 

Che ne pensate? Ma la cosa più importante è: cosa provate? Cosa sentite nel vostro animo?