Perdonatemi se per qualche tempo presenterò alcune pubblicazioni egoriferite qui in facebook, in altri ambienti digitali e anche in presenza, mostrando una quota maggiore di vanità.
Il giorno 1 settembre 2017 presi un impegno che ho condotto giorno per giorno, al netto di pause per altri impegni e per le attività di gestione ordinaria che riguardano tutti noi. Ora è in fase di redazione finale da parte dell’editore.
Un onere e un piacere giornaliero che mi sono imposto, avendo giornate di sconforto, di meditazione che a occhi esterni potevano sembrare improduttive, vuote, grigie, ma che in realtà erano contraddistinte da fasi di lavoro inconscio e di incubazione.
Il bello è che stato, anche ora nelle ultime gocce di attività, un periodo creativo nel tradurre in opera le capacità di ideazione, scrittura ed interpretazione, assumendo il ruolo di un rabdomante che trova parole in territori inesplorati.
Non sono partito dal nulla. Vi era già una idea concepita nel lontano 1989. Scrissi, allora, quaderni di appunti, note, racconti, propositi in merito. Lasciai. Li ripresi dopo alcuni anni, ma lasciai ancora lì. Alcune riflessioni poi furono dedicate in ambiti diversissimi dalla prosa e dalla poesia. Ho scritto molto negli anni per lavoro, per ricerca e studio. E le pubblicazioni lì sono state incanalate. Dieci anni fa ripresi il progetto, ma ancora una volta seguì l’inclinazione che più propria sentivo nel comporre di poesia, nonostante che poi alcuni temi di quegli scritti del 1989, hanno attraversato la composizione dei due miei libri di poesia con immagini “Sogni Sospesi” e “Reciproche Rinascite”.
Dopo quasi trenta anni decisi di impegnarmi nella scrittura nella forma del romanzo.
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Vorrei parlare con voi di come ho iniziato a scrivere il romanzo, che ora è in fase di redazione finale. Ciò mi serve per distaccarmi da esso e da ciò che è contenuto, perché, ripeto, il nucleo iniziale fu ideato decenni fa. E certamente a quei tempi usavo altri termini. Però, e qui è il punto che vorrei sottolineare, questo discorso costituisce una biografia narrante che si fa or ora che scrivo in un rendiconto mio nello stato di ideazione e creazione, attraverso il mio corpo. In questi anni, il me stesso adolescente, mi guardava alle spalle. Anzi molti me stesso, più giovani mi guardavano severi e sprezzanti: “Allora? Non hai finito? Di tutti questi tentativi e appunti cosa ne fai? Non mantieni le promesse!”
Il tribunale di noi stessi adolescenti è terribile. Non puoi fuggire. Ti conoscono. Sanno tutte le bugie e le scuse che dici allo specchio. Sanno tutto e di più di te.
Vorrei continuare a rispondere a loro, anche dopo la pubblicazione del libro e con voi, ma non soltanto per forme indirette di vanità, quanto per esprimere una individuazione della nostra capacità di creare e di ascoltare il nostro inconscio, o per meglio dire, il nostro cervello che lavora per la sua residuale attività cosciente.
Per tanti anni ho scritto versi, ma iniziai seriamente a comporre nel 2010, nonostante che io da sempre abbia letto di poesia. Se scrivevo per diletto o per occasioni particolari, mi uscivano versi attraverso uno stato di semi ipnosi. Un diluvio di frasi che componevano versi, scritti per un amico o per una amica, o per diletto in osteria o in birreria. Se invece mi cimentavo con l’intento di comporre qualcosa di programmatico, mi bloccavo. E, anzi, provavo un senso di scoramento, nell’incredulità a ricordarmi di aver scritto in fiumi di versi anche a comando, con stili del cinquecento, seicento, ottocento.
Ogni volta mi uscivano spiegazioni e trattati in prosa, che nulla avevano a che vedere con uno slancio creativo.
E figuriamoci nel tentativo di scrivere un romanzo. La questione strana, magari simile a quello che provate voi che mi state leggendo, è che nel momento in cui dimenticavo di me stesso, cioè non avevo il mio io presente, non avevo bisogno di concentrarmi, perché emergevano sensazioni che assumevano istantaneamente forme e strutture elaborate. Se pensavo a me, al mio “io” davanti a uno specchio o a un pubblico che applaude, mi bloccavo. La questione paradossale emergeva un istante dopo, se iniziavo a scrivere un saggio, o qualche scritto di ricerca o per lavoro: ero (e sono) velocissimo.
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