Il volume contiene:
– “L’Alitinonfo”, di Gasparo Scaruffi, 1579
– “Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d’oro e
argento dove non sono miniere”, di Antonio Serra, 1613
– “La zecca in consiglio di Stato”, di Geminio Montanari, 1683
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È una raccolta di testi che parla del nostro passato ancestrale, la cui attenta lettura potrebbe svelare indirettamente i pericolosi stereotipi e i pensieri “magici” che abbiamo ancora oggi nell’intendere e nel perseguire il benessere e la prospettiva di sopravvivere con agio.
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L’edizione del 1913 offre una panoramica riguardo i modi di intendere le pratiche economiche durante il seicento in alcuni regni della penisola italica: il luogo ancora più ricco e più densamente popolato del continente europeo.
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Considerando che alcune soluzioni proposte erano già allora inefficaci, è interessante rilevare l’intento degli autori nel proporre soluzioni non banali ai problemi del periodo.
Noi, che viviamo la contemporaneità, abbiamo la convinzione di essere i più avveduti nel comprendere i fenomeni, i più saggi nel determinare gli scopi del nostro agire e i più efficienti nel prevedere le tendenze di lungo periodo. La convinzione di seguire un itinerario asintotico verso la perfezione nel formulare giudizi obiettivi ed adeguati per i nostri bisogni, forse non è così salda e indefettibile.
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Consideriamo il nostro particolare “passato” nazionale, individuale e famigliare caratterizzato da individui meno sapienti di noi, affetti da visioni magiche e da pregiudizi riguardo alla visione del mondo e nella fattispecie delle scienze, in particolare quelle economiche.
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Gli scritti di questi autori vissuti quasi cinquecento anni fa, invece, mostrano come le società di quei tempi furono altamente sofisticate e molto meno “primitive” di quanto pensi.
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Il modo di analizzare i problemi derivati da pratiche truffaldine, contraddistinte da visioni limitate e da conoscenze mediocri, offre una profilassi nel mantenere, un atteggiamento critico laico nel discutere e nel ragionare circa i dibattiti delle politiche economiche di oggi. Un impegno a evitare la tentazione di affidarci passivamente all’autorità, al pensiero magico, e alla nefasta pigrizia mentale che riduce le capacità di ragionamento in asserzioni superstiziose: elementi che innescano metodi assertivi e violenti.
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L’ignoranza e il cedimento alla pigrizia intellettuali, talvolta costituiscono una pericolosa sponda verso la povertà materiale e l’assenza di una prospettiva per il futuro.
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È commovente leggere la lingua italiana scritta con uno stile lineare e pulito. Gli autori hanno rispetto dei lettori (anche perché erano i loro datori di lavoro, e inoltre i principi erano di poca pazienza).
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Possiamo ricavare dal punto di vista storico e antropologico diverse strategie di attribuzione di valore a ciò che era considerato meritevole di una misura in moneta. La moneta, da parte gli autori, è ritenuta una parte integrante delle interazioni sociali e dell’attribuzione di valore agli oggetti, al netto dei vincoli imposti dalla realtà nel reperire le risorse utili e passibili di ulteriori e profittevoli trasformazioni.
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Vi sono tabelle di corrispondenza tra il valore e la composizione in metallo delle monete e come disporle. Siamo ancora prima dell’algebra lineare codificata da Cartesio in poi. Qui le matrici non sono quelle che inconsciamente intendiamo noi. No: sono vere e proprie tabelle che dovevano essere viste come colonne appese ai muri, per gente analfabeta che doveva leggere quel particolare stampo, o quella quantità di metallo corrispondente a un valore. Dobbiamo ricordare che erano usate le stadere. Il peso di un materiale era correlato a un movimento meccanico che componeva un equilibrio. A un braccio o una parte del corpo.
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La geometrica non era immediatamente associata ai numeri. Non era in uso il piano cartesiano, ovvero la relazione tra un numero e un punto dello spazio.
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La raccolta è anche un’analisi antropologica del periodo che permette anche di conoscere noi stessi. Sì: perché siamo ancora lì: trattiamo le monete come enti sacrali, separati dalle regole, dalle organizzazioni che sono fatte sempre da individui.
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Lo stile diretto, umile quasi, nel trattare gli argomenti sono una risposta dopo cinquecento anni a chi, oggi, nel proporre le soluzioni che riguardano il nostro benessere, parla in modo oscuro, ambiguo, teatrale, e volutamente evasivo.
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Gasparo Scaruffi con L’Alitinonfo del 1579 introduce il primo sistematico scritto italiano di temi monetari a contenuto anche teorico, dotato di argomenti a favore di un ordine monetario universale, affermando la centralità dell’osservazione e della misurazione dei fenomeni. Esprime le esigenze e le preoccupazioni di una borghesia finanziaria internazionale a fronte di un crescente disordine monetario e del progressivo avanzare dell’assolutismo politico.
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È corredato da numerose, dettagliate tabelle e da disegni delle future monete. Descrive i criteri cui attenersi per realizzare un coerente sistema di monete di vario peso e titolo e di diverse specie metalliche. Un sistema tale che, una volta adottato in ogni singolo Stato, avrebbe avuto l’effetto di dare vita a un circuito unico, universale e durevole di monete. Avrebbe risolto il problema della speculazione con pagamenti certi e giusti. Le regole contabili coattive proposte, sono compensate da altre disposizioni volte a tutelare coloro ai quali venga sottratto il controllo diretto sulla monetazione. Concede la possibilità di pagare in metallo fino o in moneta coniata, da parte dei privati avendo la facoltà di detenere liberamente metalli preziosi in qualsiasi forma.
In secondo luogo, propone un divieto rivolto agli zecchieri, di non usare i valori nominali delle monete, per le fatture e qualsiasi tipo di rendiconto. Vale a dire, qualunque costo di produzione o eventuale tassa si deve pagare a parte, e non attraverso un peggioramento delle leghe. La diffusione del metodo deve partire dal basso, cioè dalla natura degli scambi e non da una imposizione di una volontà centrale.
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Al netto delle critiche che si sono espresse nei secoli rispetto a tale scritto, l’opera, però, impiega per la prima volta una logica economia rigorosa volta ad affrontare una questione d’interesse pubblico. È enucleata la centralità della misurazione, l’uso dell’aritmetica e dell’osservazione, il concetto di homo oeconomicus, di utilità e rarità. Il tutto accompagnato da una tariffa monetaria che incide sulla distribuzione della ricchezza, in quanto rapporto tra grandezze e non come sostanza. Infine, è suggerito un sistema mondiale e interdipendente di merci e monete tendenzialmente in un equilibrio.
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Il “Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d’oro e argento dove non sono miniere”, di Antonio Serra, è considerato il primo scritto di economia politica in Italia, e uno dei primi in Europa. Lo scritto tratta le cause della scarsità di moneta nel Regno di Napoli e i fattori che avrebbero potuto invertire questa tendenza economica. Fu il primo ad analizzare il concetto di bilancia commerciale sia per i beni visibili che per quelli invisibili (i servizi e i movimenti di capitali). Spiega come la scarsità di moneta nel Regno di Napoli fosse causata dal deficit della bilancia dei pagamenti e non per il tasso di cambio. La proposta è volta ad una promozione attiva delle esportazioni. È importante sottolineare che non sono utilizzati criteri morali della scolastica medioevale, perché l’impianto, agli occhi di noi contemporanei, è dotato di una visione laica.
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Il Trattato si distingue dagli altri dedicati all’epoca, non solo per la fine analisi degli aspetti tecnici del funzionamento del mercato dei cambi, quanto per la descrizione del legame tra la carenza di denaro nel Regno di Napoli e il debole sviluppo dell’attività produttiva, dipendente, inoltre, da quote maggioritarie di capitali esteri investiti (e prestati).
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“La zecca in consiglio di Stato”, di Geminio Montanari del 1683 tenta di risolvere il problema derivato dal fenomeno dell’augmentum, ossia della rivoluzione dei prezzi che caratterizza le economie europee del 16° e 17° secolo. Il metodo di indagine è prettamente matematico e vuole essere scientifico. Nello scritto i fenomeni sono considerati conoscibili solo dopo aver proceduto alla definizione del campo d’indagine, nel quale ogni relazione va sottoposta a verifica. È importante l’osservazione e l’esperimento. La moneta deve essere studiata sulla base della funzione svolta dalle monete storiche. L’agire economico si basa sulla volontà individuale che tende a soddisfare i bisogni. I mercati sono dotati di un punto di equilibrio che dipende da scambi alla pari, dove i guadagni e le perdite si compensano, per la limitatezza delle risorse.
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L’economia è dotata di una propria autonomia scientifica, con leggi proprie, indipendenti dal diritto e dalla morale. Le scelte politiche intervengono come condizionamenti esterni di cui valutare, economicamente, gli effetti.
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La moneta è un oggetto convenzionale autenticato dall’autorità pubblica per servire come «prezzo e misura» delle cose commerciabili. Il valore della moneta non sta in qualche suo intrinseco contenuto, ma nel suo potere d’acquisto. L’unico prerequisito è che le merci o le monete in questione si reputino utili. Posto che lo siano, il loro valore dipende dalla quantità offerta: tanto più sono rare, tanto più son valutate. La combinazione di utilità e rarità è la legge indipendente dalla volontà politica che governa i valori e gli scambi commerciali.
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Delinea un’analisi simile a ciò che in futuro sarà denominato sarà denominatao il metodo delle “approssimazioni successive”, e quello della futura cinematica storica: utili ad allentare il vincolo costituito dal dover metter a confronto, istante per istante, solo coppie di quantità. Partendo dagli scambi tra monete, si pongono in sequenza coppie di collegamenti successivi che comprendono in un unico quadro, merci, bisogni, consumi, investimenti, produzioni, redditi, prelievi fiscali, risorse naturali, capacità produttive e il benessere dei popoli.
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Insomma, una raccolta di testi utili per affinare lo spirito critico.
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