10 giugno 2013
Di questi tempi un anno fa, appena di ritorno da Riga (Lettonia) decisi di scrivere un libro di poesie, poche delle quali erano allo stato embrionale e tante immagini e foto e quadri che avevo vissuto e condiviso nel mio inconscio e in presenza con tanti amici, anche virtuali. Un sogno sospeso che fu calò nella veglia.
Nella mezzanotte del solstizio d’estate alla fine di maggio, come per incanto nel cammino del cantiere navale del porto di Riga, dietro ai miei pensieri inespressi, arrivai all’ultimo lembo, di là dal quale cominciavano le foreste che più a nord si inoltrano per le coste Russe fino in Finlandia.
E il Sole invece di sparire nell’orizzonte, per una tensione inversa iniziò a risalire come se stesse per esplodere. Ma ciò che cambiò fu il cielo: da un grigio azzurro ondeggiante sul violaceo, nel tempo di in un battito di ciglia, divenne giallo arancione e tutto intorno vi fu un silenzio d’attesa.
E venne un lampo, ma non da fuori: un turbine di idee si condensò in rime, proprio mentre stavo scattando questa foto.
La mattina stessa mi feci aiutare da un collega natio, di ritorno nella sua casa, per scrivere alcune righe in assonanza allo stile del poeta lettone Imants Ziedonis (3 maggio 1933 – 27 febbraio 2013). Nelle ore successive in stato di ipnosi auto indotta, scrissi alcuni appunti pensando al porto e al Sole, dove quest’ultimo mattino aveva già preso congedo dalla base dell’orizzonte. E poi azzardai alcune sonorità di una lingua per me estranea, se non per alcuni termini di Ziedonis. Quell’embrione di scritti nelle settimane successive divenne la poesia “Il semicerchio del giorno”, del mio libro “Sogni Sospesi”.
Il semicerchio del giorno
D’ombre d’acqua di cielo distese,
ondeggi ogn’ora sulla sottile traccia.
Strette superfici stringono saette
di raggi diffusi sul cieco fondale.
Improvvisi tremolii d’iridi cremisi,
spingono tue sfocate scie sotto
solidi sigilli, interrati in scrigni
d’affannate notti dormienti.
Attese risposte non sottrai
attorno agli assorti sguardi.
Accolte veglie invocate, infondi
in foniche inferme fiamme.
Crepuscoli compressi contieni navigando
attorno all’oscillante anello aereo e
nell’occhio d’orizzonte d’ogni desiderato
senso, accarezzi alfine le palpebre distese.
Che tiene conto della sonorità della lingua lettone, come questa traduzione imprecisa e superficiale, scritta tenendo conto dell’ammirazione quel semicerchio di colori in continua mutazione.
Pusaplis dienas
Ūdens plašumiem debesu ēnas, kas
šūpoties katru stundu uz šauras.
Šaurās virsmas shaking darting stariem
plaši izplatīta jūras dibena neskaidra.
Pēkšņas mirgo sarkanās trīce,
push jūsu izplūdušu takas
cietās blīves, kas ir ietverti lādes
bezmiega naktis un nemierīgi.
Netiek ņemta vērā paredzamo atbildes
ar acīm, kas jūs brīnums.
Pieņemt faktu jautājumiem un izplatīt liesmu
un skaņas visu ugunsgrēku.
Jums pārlūkot uz mazām twilights
ap gredzenu plaknei, kas svārstās
pagrieziena pie apvāršņa,
kur katrs plakstiņa ir difūzs glāstīja.
E di ritorno in Italia a giugno continuai a richiamare sogni del passato e gli echi di quelli futuri, oscillanti anche nella sospensione del semicerchio del giorno.
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