22 aprile 2013
Talvolta ci lamentiamo dei venti e li consideriamo opprimenti e fastidiosi nel gelare il collo, oppure caldi e gradevoli nell’accarezzare le guance. Se poi riversano scrosci d’acqua, restituiamo contraccolpi di maledizioni ataviche.
Fenomeni scontati e quasi ovvi quelli accompagnati dall’aria in movimento. Il vento passa e offre analogie con ciò che è destinato a sparire. È di casa affermare l’analogia tra la parola e il vento. Noi siamo solidi, con i piedi nella salda terra. L’orizzonte è il riferimento che offre e indica il passaggio del Sole e della Luna, e la forma dei luoghi dove noi stessi transitiamo.
In Italia dipendiamo dai venti di luoghi lontani. L’avvicendarsi del caldo e del freddo, puntellato dai cicli stagionali, varia e assume connotati diversi ogni anno per i venti che vengono dalle Azzorre e dal Sahara.
L’anticiclone delle Azzorre e l’alta pressione africana giocano continuamente tra loro. Secco uno, umido l’altro. Appaiono in modo esclusivo, oppure accoppiati.
immagine presa QUI
Noi che disprezziamo l’aria e il veder le nuvole, dipendiamo da loro. Eppure una loro variazione o capriccio condiziona il nostro modo di vivere, con la pioggia o la siccità, o con l’umidità. Ritardano l’avvento della primavera, anticipano l’estate. Si attardano con l’autunno. Le nostre scelte di vita, dall’uscire o no, dall’idea del freddo e del caldo, del nostro umore, dipende dalle imprevedibili loro incessanti evoluzioni.
I venti freddi dell’est come il Burjan sono costanti, precisi, diretti come un treno, però abitano nella casa dell’inverno. E noi qui in Italia abbiamo percezioni diverse. Nel Tirreno gli Appenini frenano i venti dell’est e del freddo polare. Nella pianura padana l’anticiclone delle Azzorre e l’alta pressione africana, come in Sicilia e in Sardegna, si attardano e regalano cascate di umidità. Nella parte ionica questi due buontemponi bisticciano con i soffioni del Medio oriente, oscillando tra siccità o gelo come se ogni volta per noi fosse la prima.
Le stesse glaciazioni hanno avuto gioco facile quando i venti delle Azzorre si sono impigriti nell’Atlantico e l’alta pressione africana, timida, è rimasta nel Sahara. Ne traiamo i frutti e le spine, talvolta lo combattiamo. Ma è un incontro truccato. Noi siamo anche fatti di vento, dentro il cuore e nell’emissione della voce, e nel gioco tra timpano e tromba d’Eustachio.
E di tutti i dispiaceri e dolori, sentire il vento che accarezza o spintona i rami, o che viaggia e appare tra i vicoli e i muri delle case, ci informa del tempo, del nostro corpo che da lui è formato, e ci conduce nei luoghi ancora nascosti al nostro sguardo.
Ci nutriamo di vento, siamo nel vento. Perché lui è un indicatore del divenire e del tempo. Noi, uomini fatti di acqua e di polvere, nasciamo con il vento.
Di Rainer Maria Rilke
Il risveglio del vento
Nel colmo della notte, a volte, accade
che si risvegli, come un bimbo, il vento.
Solo, pian piano, vien per il sentiero,
penetra nel villaggio addormentato.
Striscia, guardingo, sino alla fontana;
poi si sofferma, tacito, in ascolto.
Pallide stan tutte le case, intorno;
tutte le querce mute.
La poesia è presa QUI
E il vento è sempre bambino, nasce ogni volta. Poco educato all’inizio. Vuole sempre giocare. Selvatico, irriverente, dispettoso, tremendo ogni tanto, ma porta sempre innumerevoli doni da una parte all’altra del globo.
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