Sedetevi su qualcosa di comodo, bevete una camomilla, respirate a lungo, per ovviare allo sbalzo di pressione che sarà eventualmente causato da una vostra eruzione improvvisa di improperi e di maledizioni.
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È un libro che evidenzia come ogni singolo cittadino dotato di un reddito derivante dal salario, dalla pensione e ha qualche proprietà immobiliare, o anche senza quest’ultima, sia dentro una trincea. L’autore critica in modo razionale, chiaro, conti alla mano, semplici di algebra lineare alla portata di tutti, le promesse offerte dai promotori finanziari, dal personale bancario, dalle assicurazioni, dalla stessa stampa, che appare connivente oppure veramente analfabeta su ciò di cui scrive.
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Il libro taglia le gambe alla miriade di youtuber, influencer, stakeholder, chiamati in italiano dallo stesso autore, come venditori di fumo, senza tante sigle, e inglesismi tradotti male o con sigle infinite, disseminate per non far capire alcunché.
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È un libro che ha una posizione netta. In prima lettura sembra rivalutare i tanti vituperati titoli, bot e offerte tradizionali, comprensibili anche ai nostri nonni, fedeli ai buoni fruttiferi del tesoro e delle poste e ai buoni del tesoro pluriennali. Il punto però è che se si legge ogni riga, che purtroppo ha avuto riscontri veri di truffe, di perdite di potere di acquisto, di erosione dei propri risparmi, anche se uno non fa nulla, si subisce l’emotiva inclinazione a risolvere tutto nel complotto, nel grande mostro finanziario che perennemente ci vuole impoverire.
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La conseguenza logica sarebbe quella di investire tutto nel mattone, o di lasciare la moneta nel letto, oppure in una esagerata visione fatalista, mangiarsi tutto come una cicala e poi crepare, tanto il destino sarà comunque così.
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Il punto però è che con l’inflazione, anche se tenessimo i soldi e il capitale liquido dentro casa, esso perderebbe comunque di valore, e avremmo comunque il costo allegato della sorveglianza. E lo stesso vale per la casa, perché l’inflazione, ricordiamocelo è una tassa occulta contro chi ha redditi fissi e chi è dotato di poco e medio reddito e capitale.
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Insomma, come ci si muove, in ogni lato, si è condannati comunque. Ecco, se si arriva fino a qui, meglio chiudere subito il libro e rimanere in una temporanea ignoranza, cosa che tra l’altro sembra gli italiani, più di altri cittadini di paesi a noi vicini, praticano. Siamo veramente uno dei popoli più analfabeti e indifesi come quota di coloro che nulla sanno, rispetto alla popolazione avente il titolo e la facoltà di investire e gestire i redditi, per quanto esigui siano.
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Però, occorre compiere un passo in più. Ed è lo stesso autore che ce lo suggerisce all’inizio del libro. Quest’opera è rivolta a chi vuole mantenere il livello del suo reddito in un valore paritario tra il valore nominale e reale, in un lasso di tempo agibile per orientare le proprie scelte di vita di lungo periodo. Non è un libro che valuta le offerte per guadagnare chissà cosa. Non è rivolto al grande imprenditore, alla persona che ha già un capitale di suo, e ha un sovrappiù da investire in modo diversificato.
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Il libro si rivolge a coloro che hanno quella cassa congruente alla propria sopravvivenza, o per meglio dire di un vivere appena sopra le onde dell’incertezza. Quindi occorre essere razionali e non giudicare tutta la finanza come se fosse il male rivestito nei panni del vampiro. Se così fosse, saremmo già tutti falliti e alla fame, senza speranza di una pensione, assistenza sociale e di qualsiasi possibilità di intrapresa e lavoro.
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In ogni caso, e vale per tutti, laureati, svogliati, analfabeti finanziari totali, ad accedere in modo diretto a termini e concetti, con cui abbiamo a che fare ogni giorno, e che subiamo in termini di politiche fiscali, di reddito, di stipendio, di assicurazione fino alle bollette, e alle tasse e alle imposte che paghiamo per qualsiasi servizio e bene che acquistiamo.
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Ci permette di pensare in modo più approfondito con strumenti che orientano in modo più razionale l’acquisizione di informazioni atte ed allenarci a non cadere nell’emotività, nell’avidità e nell’idea che esista l’albero di cuccagna. Ogni soldo è sudato, e devi avere i calli. Occorre ricordare che se hai una cospicua eredità e parti con buoni e solidi salvagenti, è perché qualcuno vicino a te, padre, madre, zio, cari, ha faticato per averli. I nostri nonni e le nostre nonne lo sapevano benissimo: quanto è dura la terra per avere questo “pezzo di pane”. Oggi, abbiamo sì un oceano di informazioni maggiore che ci sommerge, ma nel contempo abbiamo più strumenti per conoscerlo, senza massacrarci allo stremo. Occorre buona volontà ed esercizio. Studio, applicazione, umiltà e pensare al proprio bene. Le solite cose che predichiamo ottimamente agli altri, sempre agli altri però.
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8-9 L’inflazione futura è imprevedibile. A volte rientra e diventa addirittura negativa, ma può sempre riprendere in maniera improvvisa, come nel 2021-22. In un solo decennio a cavallo del 1980 la moneta perse in Italia l’80% del suo valore. Rispetto ad allora ci sono però alcune differenze e in particolare una positiva e una negativa. Adesso esistono strumenti specifici per difendere il potere d’acquisto dei risparmi, allora no. Progressivamente il giornalismo è diventato succube degli interessi di banche, fondi, assicurazioni ecc. Tali interessi sono opposti a quelli dei risparmiatori, per cui moltissimi ignorano o hanno un’idea distorta delle soluzioni valide, che pure esistono. Banche, sedicenti consulenti e pretesi esperti le denigrano e le ostacolano, per rifilare polizze, fondi pensione, piani di accumulo di capitale (PAC) ecc. Cioè prodotti inefficaci contro l’inflazione, ma su cui guadagnano moltissimo. Gli dà manforte la c.d. educazione finanziaria, in Italia asservita all’industria parassitaria del risparmio gestito. Questo libro indica i migliori strumenti a difesa del potere d’acquisto. Spiega come funzionano, perché purtroppo sono complicati. Si tratta di specifici titoli di Stato italiano o esteri: BTP Italia, BTP-i, OAT-ei, Bund-ei ecc. Ma anche di buoni fruttiferi postali e del Trattamento di Fine Rapporto (TFR). Quest’ultimo da molti anni è sotto attacco da parte di sindacati e associazioni padronali, in particolare della Confindustria col «Sole 24 Ore», anche qui in pieno conflitto d’interessi. Alcune soluzioni sono alla portata di tutti, altre no. A seconda dei casi offrono determinati vantaggi o hanno particolari limiti. In generale non fanno diventare ricchi, ma evitano di subire grosse perdite. L’obiettivo di questo libro è la sicurezza, non la rincorsa di illusori facili guadagni. Parti più tecniche spiegano poi i complessi meccanismi matematico-finanziari dei titoli indicizzati all’inflazione − BTP Italia, BTP-i, OAT-ei, Bund-ei, Obligaciones-ei e simili − in particolare in caso di deflazione o disinflazione.
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34-35 Perché allora vengono consigliati a tutto spiano gli investimenti azionari, addirittura per difendersi dall’inflazione, contro ogni evidenza? Perché i venditori porta a porta e allo sportello insistono coi fondi comuni e coi balordi piani di accumulo di capitale (PAC) ossessivamente in ambito azionario? Lo fanno perché sono fra le formule che gli permettono di portare via più soldi ai risparmiatori, già solo lecitamente; e magari anche con malversazioni coperte dalla mancanza di trasparenza. Lo attestano i dati dell’indagine sui fondi comuni che l’ufficio studi di Mediobanca pubblicava e aggiornava, per encomiabile iniziativa di Fulvio Coltorti, finché non sono riusciti a farli smettere. Nell’ultimo decennio esaminato risultavano oneri medi di gestione doppi per i fondi azionari rispetto a quelli obbligazionari: 2,5% annuo rispetto all’1,2% (vedi figura 5). C’è quindi una forte convenienza a rifilare i primi, visto che d’altra parte costa grosso modo uguale l’attività di gestione in ambito azionario od obbligazionario. Stessi costi, ricavi doppi.
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38-39 Ma perché così cari? Il prezzo di un bene o servizio dipende in genere dal costo per produrlo o fornirlo. Una giacca di cashmere è più cara di una di un tessuto sintetico per il costo superiore del filato. Nell’ambito del risparmio gestito invece non è così. Le commissioni di gestione, ovvero il prezzo del servizio, sono slegate dai costi di produzione. Vengono fissate in base a un altro criterio: raschiare via ai risparmiatori più soldi possibile. Ciò è particolarmente evidente appunto per gli oneri addebitati per i fondi azionari, sistematicamente più alti, benché gestirli non comporti costi maggiori. Il motivo vero è che commissioni annue del 2%, 3% e oltre difficilmente si percepiscono, perché mescolate coi frequenti saliscendi dei mercati. Se un fondo azionario ha reso in un anno il 7%, l’investitore è contento e facilmente gli sfugge che in realtà le azioni avevano fatto il 10% e il 3% se l’è accaparrato la società di gestione. Vale lo stesso discorso nel caso di una perdita del 13% dopo un crollo dei mercati. Chi è in grado di appurare che in effetti solo il 10% è attribuibile al crollo delle Borse e il 3% invece alla rapacità del gestore? Pochissimi, soprattutto trovandosi sul groppone decine di fondi comuni, situazione creata proprio per confondere le idee. Arraffare così tanto da un fondo obbligazionario darebbe facilmente nell’occhio: con tassi di mercato bassissimi come negli ultimi lustri, togliere un 2-3% porterebbe a una performance netta negativa, difficilmente giustificabile. Per altro gestire un fondo comune costa pochissimo in entrambi i casi e può farlo un programmino informatico, senza scomodare l’intelligenza artificiale. Lo confermano i risultati dei fondi, regolarmente inferiori in media a quelli di mercato. Le spese poi per amministrazione, intermediazione ecc. sono direttamente a carico del fondo, per cui le commissioni addebitate sono praticamente tutto guadagno per la società di gestione. Aggiungiamo che la maggior parte delle commissioni non serve a compensare il lavoro dei gestori, generalmente inutile se non dannoso, bensì l’attività ben più importante dei venditori. Che è tenere buoni i clienti quando perdono e soprattutto convincerli ad agire contro i propri interessi, affidandosi al risparmio gestito.
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