COLLEFERRO (RM) 18/19 Giugno 2016. – Dopo l’esperienza di “Storie dai Rifugi” del 2015 ( https://www.linomilita.com/contaminazioni/21-contaminazioni-guerra-non-suona-campana/ ), nella località S. Barbara a Colleferro, ivi compresa la piazzetta adiacente l’ingresso ai sotterranei. Lo spettatore è prima intrattenuto all’esterno con quadri scenici tratti dai Canti I e II dell’Inferno, con il supporto di videoproiezioni artistiche e la recitazione dal vivo e poi “accompagnato” da Virgilio nella “discesa”.
Con questa azione itinerante Colleferro mostra come il “sotterraneo”, nello sfondo e nell’inconscio di ogni agglomerato umano, offra la memoria di coloro che furono in vita e nelle opere. Di solito noi per nostra architettura mentale e memoriale attribuiamo fisicamente il passato nella morfologia dei cimiteri, nei monumenti e negli edifici o nelle targhe degli estinti. Colleferro ha sotterranei che furono usati per antichi scavi e anche per rifugiarsi dalla guerra e dai bombardamenti. La comunità di Colleferro agiva sopra e sotto la terra ogni giorno per la sussistenza, per il riparo, per demarcare una speranza per il futuro. L’inconscio del luogo è portato assiduamente in vista ai viventi e il riparo non ha significato l’oblio e il definitivo passaggio nell’altro mondo.
Colleferro e i suoi abitanti, quasi per ironia hanno agito, da secoli come Dante e Virgilio: un andirivieni tra il sopra e il sotto, tra passato e futuro, tra l’inconscio delle origini e tra le proiezioni nel futuro. Cercando sempre di riveder le stelle.
Lo spettacolo prende le mosse e il ritmo dal passo del pubblico che in piccoli gruppi, è prima introdotto nella selva Dantesca del primo canto dell’Inferno, e poi Virgilio conduce le anime e i corpi dentro i rifugi dove sono attesi da Caronte. Il teatro e la scenografia sono gli stessi sotterranei: luoghi, cavità, inabissamenti. Non vi è un teatro osceno che nasconde lo spazio: quest’ultimo è la rappresentazione da sempre incarnata nei luoghi e nelle ombre nascoste. Le luci e gli attori che permettono il passaggio e il cammino nei gironi infernali, vivono tra il gruppo degli itineranti: noi. Noi stessi piano piano dimentichiamo di essere spettatori, e diventiamo l’oggetto stesso dei canti. Paolo e Francesca, i golosi, i violenti contro se stessi e gli altri, i falsari, fino ad arrivare agli ultimi gironi, dove il freddo e l’umidità aumentano in assonanza all’avvicinamento del cuore dell’inferno costituito dal fuoco eterno che divora, ma non consuma, perché scuro e gelido. E alla fine noi del pubblico siamo i dannati, noi diventiamo Dante, per arrivare infine da “lui” che diversamente dall’ultimo canto dell’inferno, esprime con parole diverse dall’originale, i percorsi compiuti da altri dopo Dante, cioè la follia suprema, le colpe per chi è credente, e le paure ancestrali dell’ateo, del mistico o dell’agnostico. Lui si pone al centro tra di noi e la finzione salta. Rimaniamo tutti a bocca aperta e immobili; non si ha il coraggio di muovere un braccio, perché lui esprime il dolore più nascosto che già da sempre abbiamo in dote.
Ma poi si ritorna a veder le stelle che s’affacciano sulla città dolente.. ma viva.
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