6 marzo 2014
Colui che comanda e che ha posizioni di responsabilità, prima di tutto, non dovrebbe esprimere la compassione? E l’empatia non solo per la rivendicazione di conflitti ma anche per coloro che sono più deboli e muti?
All’uopo prendo spunto dal brano “IL Presidente” del disco a 33 giri Celi Fabio e Gli Infermieri – Follia.
Fu scritto nel 1969, e pubblicato nel 1973. Anticipa di due anni il rock progressivo ed è già proiettato nel decennio successivo. Rock costruito sulla base di due tastiere e sulla voce di Fabio Celi (alias Antonio Cavallaro). Vi sono anche basi di musica classica contemperate alla dolcezza della voce e delle melodie italiche, simile ad alcuni lavori del Banco del Mutuo Soccorso.
Nel 1973 quando uscì per Studio 7, il disco che contiene sei brani, venne immediatamente bandito dalla RAI, limitandone la distribuzione a livello regionale.
Oggi nel 2014 i capi, i leader, i presidenti italiani e stranieri parlano in modo dichiarativo e pieno di intenti chiari, con una razionalità di bambino nella fase anale che vuole estirpare il male, o popoli da una nazione all’altra, o piccoli leader che vogliono espellere, rottamare ed evacuare persone, idee, parole. O ancora novelli cavalieri che stendono il fuoco purificatore del plauso, per azzerare il vecchio putrido e marcio, che è sempre altro e fuori dalla propria storia e dal proprio ambiente dal quale sono nati e cresciuti.
E parlano promettendo l’avvento della nuova era sempre lontana, attraverso il loro entusiasmo, gesto, capacità. E tutto questo è bello e nobile, ma è sempre il “proprio”, perché parlano di “loro”.
Chi comanda avrebbe l’onere e la facoltà di gestire risorse e mezzi per il bene comune. Dovrebbe ascoltare gli ovvi conflittuali punti di vista, conservando tutto, nonostante il mutamento delle condizioni di sopravvivenza per garantire le possibilità di esistenza dignitosa.
Tutto ciò non è ovvio, almeno negli ultimi secoli?
Il leader e il Presidente non dovrebbero parlare anche e nonostante i loro limiti? Non dovrebbero mostrare una compassione e attenzione da parte delle forze che lo sostengono? Un senso che è proprio del suo corpo e non in modo sacrale e carismatico, ma nel senso poetico: di colui che assorbe e lo riverbera. Di colui che come il poeta lo amplifica anche attraverso limiti e debolezza.
Il senso lirico nella traduzione poetica del mondo non è forse la matrice del sovrappiù di quello che potremmo essere ?
Propongo un brano di questo lp, dal Titolo il “Presidente” e propongo il testo ( di una modernità futura e di una dolcezza forse ancora non recepita del tutto ):
È da poco tempo, che io siedo qui
massima vetta della società
E vorrei ascoltare, la parola di chi
Mi chiede pane, lavoro, e libertà.
Ma non è che non voglio, è che non posso
mantenere ora, ciò che promisi.
No, non fate quei visi.
Vorrei dir di si, a ciò che domandate
aiutare te, aiutare tutti voi
purtroppo non sono quello che voi credete
io qui sono tutto, ma non sono nessuno,
che posso farci, se mi hanno detto così
non fare un passo, non ti muovere di qui
che posso farci, se mi hanno detto di più
“ricordati, che chi comanda non sei tu”.
Che stupido sono, ho creduto
di avere tutto, niente ho avuto
prima di me, ognuno s’è venduto
ha messo all’asta la sua patria
la sua terra, la sua famiglia.
Per sentire il brano premi QUI
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