Questo rapporto prospetta una politica di formazione per gli adulti immigrati più incisiva, e indirettamente anche per noi italiani. Occorre una strategia politica con maggiori piani di azione che il mondo della formazione può offrire. Vi è una analisi a livello locale e mondiale dei flussi di migrazione e delle esigenze di formazione per gli adulti, considerando le tendenze di lungo periodo che stanno avvenendo in Italia.
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Sarebbe auspicabile concepire l’immigrato un compagno di viaggio per conseguire una piena cittadinanza democratica, avente una tendenziale e una maggiore disponibilità ad accogliere le nostre esigenze di formazione cognitive e di apprendimento civico.
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L’educazione degli adulti non è volta esclusivamente al recupero o alla compensazione di mancanze pregresse, quanto anche all’adeguamento delle esigenze lavorative e personali. È un investimento teso a sviluppare una serie di competenze condivise, riconosciute a livello istituzionale.
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Nella vita degli individui adulti le opportunità di apprendimento sono più ampie di quelle esplicitamente intenzionali, e si presentano nella vita quotidiana attraverso le esperienze, gli incontri, le relazioni, e la partecipazione alla vita sociale e politica, e alle attività professionali. A livello di ricerca e normativo è necessario un quadro teorico che approfondisca la dimensione adulta, le forme e i modi apprendere e le strategie correlate.
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Il World Migration Report 2020, dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM, 2019), è la principale fonte per conoscere dati e tendenze sulla mobilità umana a livello globale (Italia compresa). Nel 2019 il numero di migranti internazionali è cresciuto, attestandosi a circa 272 milioni, pari al 3,5% della popolazione mondiale.
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Di tutte le persone che si spostano a livello globale (272 mln), i migranti per motivi di lavoro sono stimati in un numero pari a 164 milioni. Secondo il Global Trend Report (UNHCR, 2020) la popolazione di migranti forzati, in- vece, ammonta a 79,5 milioni di persone, di cui 45,7 milioni di sfollati interni, 26 milioni di rifugiati (la Siria rimane al primo posto con 6,6 milioni seguita dal Venezuela con 3,7 milioni), e 4,2 milioni di richiedenti asilo.
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La grande maggioranza delle persone (circa 200 milioni) migra per motivi legati soprattutto al lavoro, alla famiglia e allo studio. Esiste però una crescente quota di persone costrette a lasciare le loro case e i loro paesi per motivi gravi, come conflitti, persecuzioni e disastri. Si tratta degli sfollati e dei rifugiati che, pur costituendo una percentuale relativamente contenuta di tutti gli immigrati (29%) (UNHCR, 2020).
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22 “[…] I dati EUROSTAT (2018) riferiti ai 28 paesi dell’UE rilevano, nel 2018, circa 3,2 milioni di primi permessi di soggiorno rilasciati nell’Unione europea a cittadini di paesi terzi. Le ragioni familiari hanno rappresentato quasi il 28%, i motivi di lavoro il 27%, i motivi di studio il 20%, mentre altri motivi, compresa la protezione internazionale, hanno rappresentato il 24%. Con riferimento alla cittadinanza di chi ha ricevuto più permessi nell’UE nel 2018, i cittadini ucraini sono quelli che hanno beneficiato di permessi di soggiorno principalmente per motivi di lavoro (65% di tutti i primi permessi di soggiorno rilasciati agli ucraini nel 2018), quelli cinesi per l’istruzione (67%), mentre i cittadini marocchini (61%) hanno beneficiato prevalentemente di permessi di soggiorno per motivi familiari (Forti, 2020, p.14) […]”
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In Italia principalmente gli immigrati, anche se sovra qualificati, sono impiegati in attività a bassa produttività pesanti, pericolose, precarie, poco pagate.
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In Italia la sovra qualificazione riguarda il 77% dei nati fuori dall’UE e istruiti all’estero e il 25% dei nati fuori dall’UE e istruiti nel nostro paese. In questo caso la difficoltà del riconoscimento dei titoli di studio conseguiti all’estero è un aspetto che non facilita i processi di integrazione lavorativa. I più istruiti si sentono maggiormente discriminati, rispetto a quelli meno qualificati, che, paradossalmente, percepiscono un miglioramento del loro status lavorativo precedente.
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Nel campo dell’educazione degli adulti si possono individuare due campi di ricerca rispetto al tema dell’educazione destinata agli immigrati: l’educazione alla cittadinanza e l’educazione per gli immigrati. In termini generali, l’educazione alla cittadinanza ha come obiettivo di preparare gli individui a diventare cittadini di una determinata comunità politica.
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I bisogni formativi degli immigrati riguardano:
• l’apprendimento della lingua del paese di accoglienza ad un livello che possa permettere al soggetto di interagire con le istituzioni pubbliche, i soggetti privati e le reti informali;
• la conoscenza della cultura del paese di accoglienza;
• gli elementi base dell’organizzazione dello stato, del sistema scolastico e sanitario;
• il bisogno di informazione sui diritti e sulla loro accessibilità;
• l’alfabetizzazione per i soggetti che non hanno potuto esserlo nei paesi di nascita o provenienza;
• l’acquisizione dei titoli di studio di base, quali il diploma conclusivo del primo ciclo di istruzione e/o secondaria superiore.
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A questi si aggiungono altri bisogni, concernenti l’istruzione e la formazione:
• il bisogno del riconoscimento dei propri titoli di studio e qualifiche professionali già possedute;
• il bisogno di accedere a corsi di istruzione e formazione professionale che tengano conto delle caratteristiche della popolazione immigrata, in termini di apprendimenti pregressi, di disponibilità di tempo e di raggiungimento delle sedi formative, nonché in una logica di coerenza con il progetto migratorio del singolo.
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Con la normativa attuale in Italia, che è descritta in modo analitico nel rapporto, vi sono tantissime possibilità di raccordo tra gli enti preposti alla formazione degli adulti e agli enti locali per stipulare percorsi ad hoc, diversificati per settore di impiego.
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La disponibilità di orari e giorni differenziati per le lezioni assume dunque un’importanza decisiva, assieme alle condizioni di isolamento dei migranti, la precarietà nel lavoro e nell’abitazione, i tempi lunghi di regolarizzazione, i difficili percorsi di inclusione a tutti i livelli.
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Occorre un approccio qualitativo e biografico che punti anche al riconoscimento e alla ricollocazione delle competenze del soggetto, attraverso la ricostruzione degli apprendimenti realizzati dal soggetto nel corso della sua vita sociale e professionale.
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Nella cultura africana, l’importanza dell’età anagrafica o biologica nella definizione dell’età adulta è relativa, poiché esiste una gerarchia delle età. Vi è l’assunto che l’anziano ha avuto più tempo per accumulare conoscenza ed esperienza; pertanto, in queste società l’anziano detiene tutto il potere. Ogni membro della comunità è consapevole del proprio status e del ruolo che deve svolgere. Questi sono determinati dal numero di funzioni che aumentano con l’età (attraverso il matrimonio, il parto, il lavoro). La prima pratica pedagogica di passaggio sono riti iniziatici.
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Un adulto è colui che è produttivo, che contribuisce al sostentamento della famiglia e della comunità, come pure colui che è in possesso di alcuni tratti psicologici, come il concetto di sé che permette agli individui di esprimersi in un modo che li rappresenti. Pertanto, un soggetto che dal punto di vista anagrafico è giovane, anche un bambino, ma che dimostri di avere una percezione di sé in grado di assumere delle responsabilità, può assumere lo status di adulto. Altre caratteristiche che sono associate allo status adulto in Africa sono la fiducia, la pazienza, la resistenza, la perseveranza, il coraggio e la stabilità emotiva. Queste qualità permettono alle persone di contribuire alla sicurezza pubblica, di arbitrare una disputa, di motivare i membri più giovani della comunità e di promuovere fiducia, rispetto, assistenza reciproca, pace e ordine, rappresentando un modello da imitare per i più giovani.
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Non esiste un momento in cui l’individuo termina il processo di educazione. Lo status sociale dell’adulto, quindi, è una nozione relativa.
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Le tre componenti del sapere (tecnico, mitico e retorico) si acquisiscono durante gli anni, fase per fase, attraverso il susseguirsi delle iniziazioni, legate al contesto.
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La portabilità delle competenze, secondo la Dichiarazione dell’ILO (ILO, 2007) è una combinazione tra:
• la possibilità di utilizzare le competenze professionali in diverse attività lavorative;
• la certificazione e il riconoscimento delle competenze nel mercato del lavoro nazionale ed internazionale.
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Attenzione: questi orientamenti sono congruenti anche con la maggior parte della popolazione adulta in Italia, che, in rapporto ai paesi tecnologicamente avanzati è in una fase di analfabetismo di ritorno, con la dispersione di abilità, deficienza di conoscenza, degradazione delle competenze.
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Una strategia è quella di poter dare voce a tutti, anche a noi italiani, riguardo le esigenze di cittadinanza e di formazione. La narrazione autobiografica utilizzata nei percorsi di bilancio delle competenze porta in luce aspetti delle competenze trasversali ed emotive, atte a pianificare un nuovo percorso di apprendimento.
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Ecco perché il riconoscimento delle competenze in ambito interculturale è un obiettivo strategico. Vi sono sicuramente effetti positivi anche per il mondo dell’impresa, che può conoscere i lavoratori e le loro caratteristiche, aprendo un ulteriore dialogo con il sistema di istruzione e formazione e i servizi per l’impiego attraverso un linguaggio comune.
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Occorre inoltre conciliare l’esigenza di lavorare con i tempi dello studio, perché molti cittadini immigrati lavorano senza un contratto di lavoro regolare, il che non gli permette di accedere a permessi di studio o a giornate di ferie retribuite, ma soprattutto li sottopone ad orari di lavoro che superano largamente i limiti consentiti dalla legge. Le condizioni lavorative precarie e irregolari, la scarsa disponibilità di risorse economiche portano queste persone a vivere in situazioni di disagio abitativo, con un sistema di trasporti inefficiente.
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Per quanto riguarda coloro i quali si trovano ospiti nei centri di accoglienza, la durata sempre più breve del progetto di accoglienza va a discapito della possibilità di considerare un progetto di inclusione educativa che vada oltre il conseguimento del livello base della lingua italiana. Per quanto riguarda le persone che arrivano con un bagaglio di competenze di medio alto livello, si verifica il trasferimento verso altri paesi europei dove si presentano migliori possibilità di inclusione per i cittadini immigrati.
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La ricostruzione della propria biografia e l’emersione delle proprie esigenze, per definire un piano condiviso di una formazione itinerante, costituiscono le risorse per tutti gli adulti nativi e immigrati qui in Italia, oggi.