[La sfida: ecco il tuo specchio personale: guardati…. fino in fondo. ]
Il singolo e l’umanità che si spogliano innanzi allo specchio. Lo scrittore e il protagonista si presentano all’inizio in un gioco di riflessi fino a coincidere in una forma che ripropone il passato, vero per il primo, inventato per l’altro. Nel futuro, ricostruendolo, comprendono l’intimità più nascosta della loro natura. Capaci entrambi, immorale il primo, severo il secondo, incline a seguire le sirene della vanità e dell’orgoglio.
Pregevoli le prime pagine nell’offrire temi storici incastonati a questioni moderne, nel porre una loro analisi impietosa, cruda, ma onesta riferita a come il singolo cresca e si relazioni con la collettività e quindi ancora, per analogia, tra l’individuo e la sua rappresentazione immaginaria sociale. Il conflitto permane attraverso l’ipocrisia e il compromesso laido: le catene rivoltanti, ma efficaci per tenere in gabbia la crudeltà e la volontà di sopraffazione nel ritenere il mondo un oggetto nelle proprie mani.
Eppure il mondo risponde con un segnale che arriva dalle profondità dell’universo, costituito da un raggio neutrinico portante agglomerati di frequenze, ampiezze e fasi non casuali. Con fissi cicli di ripetizioni settimanali.
Il libro è stato scritto nel 1968 in piena guerra fredda e si descrive la ripetizione di un “Centro Manhattan” di scienziati che usano le tecnologie nucleari per decifrare e comprendere cosa sia questo flusso, da dove viene ed eventualmente intuire chi e cosa sia il mittente, e se comunica qualcosa: il relativo messaggio.
Il protagonista, un grande matematico, con riluttanza accetta la chiamata. E qui inizia un percorso biennale nel tentativo di capire qualcosa in merito. L’attività è dissimulata rispetto al pubblico ed entro questo centro tantissimi gruppi di scienziati sono posti di in condizione di lavorare uno in modo indipendente dall’altro. Il protagonista descrive le meschinità, le aspirazioni e le bassezze dei suoi colleghi, tra i quali anche lui ci si mette come grande saggio e conoscitore della (propria) meschinità.
E in più si passa ai politici e ai ministri di governo, che assieme ai militari, sono preoccupati di eventuali minacce extraterrestri, dalla possibilità di dover gestire la conoscenza di altre società intelligenti e forse più evolute da parte dell’opinione pubblica e ancor di più di dover dire che l’intelligenza umana e forse la stessa specie umana, siano un prodotto di qualche altra forma di vita.
È un libro formidabile perché attraverso i tentativi di decifrazione la narrazione, in una forma di monologo interiore retrospettivo, tramutato in forma di diario, che si traveste come in un gioco degli specchi in un diario intimo, analizza in modo epistemologico gli approcci scientifici nell’accostarsi questo mistero.
Attraverso le attività dei singoli scienziati, dai biologi, dai fisici, dai matematici, dagli ingegneri, dai chimici, vengono sviscerate (sì proprio nel senso di scarnificare) senza indulgenza i pregiudizi, gli stereotipi di fondo, gli assunti infondati, i precetti di fede nell’intendere la propria attività di ricerca, il senso del mondo, e le domande che riducono il flusso neutrinico secondo la propria visione limitata della realtà.
Il flusso neutrinico è un solo messaggio? Oppure è una struttura che ha all’interno gli stessi comandi per creare qualcosa di inedito? Sono più messaggi? È rivolta a noi o è di passaggio? È un brandello di qualcosa di più complesso? E poi non potrebbero essere caratteristiche della fisica a noi sconosciute? E ancora esisterebbero veramente esseri viventi come mittente? E chi lo ha detto che sia emanato da qualcosa che noi definiamo intelligente?
Queste sono le prime domande che via via nei capitoli assumono un senso filosofico, in cui si argomenta circa la limitatezza dell’essere umano, dei nostri modi di ragionare, sul senso del nostro mondo, e della nostra esigenza di demarcare l’inconoscibile. E in più il gran dilemma su ciò che è il mistero e di come noi si possa esserne parte.
Il terrore e l’orrore, la speranza e la gioia, il senso dell’angoscia e del timore.
È un romanzo che non ha una trama lineare. Non va letto in modo rilassato. È un libro che sfida il lettore e lo invita a guardarsi di fronte allo specchio, dicendo che la prima immagine che vedi è la prima bugia che ti sei creato.
La prima pagina è una porta in cui vi è un segnale che indica una via per conoscere noi stessi, senza sconti. Sono argomenti che ci sfidano e interrogano il lettore, il quale se accetta la fatica del rispondere all’invito, sicuramente avrà più punti di vista in regalo per poter parlare di sé e del futuro.
Questo libro è una sentinella che informa sullo stato delle nostre superstizioni rimosse, sulla pigrizia intellettuale, e sull’attitudine a non volersi confrontare con il proprio grado di ignoranza.
È una sfida. Qui in Italia, oggi, la gran parte dei cittadini sobbalza sulla sedia leggendo “energia nucleare”. Abbiamo una gigantesca costellazione di miti, pregiudizi, paure ancestrali inconsce e indotte, che converge verso questa locuzione composta.
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L’energia nucleare è anche un luogo che facilita le nostre convinzioni circa la giustezza di ciò che noi sappiamo essere “buono”; “pacifico”; “pulito”; “ecologico”; “amorevole”; “bello” contro questa “strana” bruttura che comporta univocamente la desolazione e la morte.
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Vi è un elemento che di dovrebbe almeno aprire i ragionamenti con un dubbio: quanto ne sappiamo di fisica, di matematica, di economia? Sappiamo leggere i numeri? Siamo dotati di minime capacità di valutazione che non siano soltanto approssimative ed emotive? Non si sta richiedendo una conoscenza formale universitaria, e neanche quella di un diploma di scuola media superiore. No, si richiede un’apertura al confronto con sé stessi.
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L’autore non intende imporre una modifica radicale dei giudizi di ognuno circa l’assetto di politiche energetiche che dovrebbe adottare il nostro paese nel medio periodo. E non vi neanche l’ansiogena richiesta di accettare immediatamente l’avvio di un procedimento di costruzione di centrali nucleari diffuso in ogni territorio locale.
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Se siete arrivati sin qui nella lettura, e avete letto in modo lineare senza porre un “ma”, se non quello del nucleare “brutto e cattivo”, allora avete già seguito inconsciamente un mito, perché l’energia nucleare non è soltanto la “centrale nucleare”. Preannuncio una notizia incredibile ai più: noi abbiamo a che fare continuamente con essa, e non a livello metaforico.
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Si potrà rimanere della stessa idea, ma almeno proveremo il nostro grado di ragionamento nel capire chi vorremo essere nel futuro prossimo. Nella vita quotidiana confondiamo nei ragionamenti, il Pericolo, il rischio, e il rischio percepito.
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“[…] le principali accuse al nucleare (la maggior parte delle quali, come si vedrà, sono vere e proprie fake news) vengono dissezionate e analizzate una per una, fornendo al lettore gli strumenti per farsi un’opinione basata sui dati e sui numeri. Qualche anticipazione? Le scorie nucleari sono riciclabili, il nucleare è tra le fonti energetiche più sicure e il prezzo dell’energia ha ben poco a che vedere col costo di produzione della stessa. Ma soprattutto, senza il nucleare (l’energia più green di tutte!) sarà pressoché impossibile porre fine alla nostra dipendenza dai combustibili fossili in tempi utili: un obiettivo ormai imprescindibile non solo per ragioni ecologiche ma anche geopolitiche, come il conflitto ucraino ha reso drammaticamente evidente. Al termine della lettura, se non sarete diventati favorevoli al nucleare, quantomeno non vi sembrerà più tanto ostile […]”
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‘[…] Sapevi che il disastro nucleare di Fukushima non ha causato alcuna vittima?
E che le compagnie petrolifere per decenni hanno fatto di tutto per tenere nascosti i benefici dell’energia nucleare?
Sapevi che le scorie nucleari prodotte in un secolo da tutta l’umanità potrebbero stare in una singola nave e che l’uranio si può estrarre dall’acqua marina?
Che l’Italia negli anni Sessanta è stata la terza potenza nucleare mondiale, davanti a Francia e Unione Sovietica?
E che oggi il nucleare rappresenta uno strumento indispensabile per liberarci dei combustibili fossili? […]”
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Il testo è ricchissimo di esempi, dati, cifre, fonti pubbliche accertabili facilmente anche online. Difficilmente ragioniamo sulla installazione, produzione e diffusione delle “energie rinnovabili”, omettendo che consumano tantissimo suolo, che inquinano, che sono rischiosissime anche loro, e che hanno bisogno di gas e oil (e pure il carbone) per funzionare. Tanto per citare alcuni aspetti: abbiamo bisogno delle terre rare per la produzione delle tecnologie di primo impiego per le rinnovabili, ebbene a parte che devono essere estratte in miniera, con tutto quello che comporta di consumo di idrocarburi, ma quasi nessuno di noi vuole pensare che, per trattarle, si usano gas tossici. Secondo Shareholders for Change, un’organizzazione che si occupa di azionariato etico, ogni tonnellata di terre rare comporta 60.000 m3 di rifiuti gassosi contenenti acido cloridrico (viene usato per purificare i minerali), assieme a 200 m3 di acidi liquidi e 1,4 t di rifiuti radioattivi1.
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151-2 […] Già, perché molte terre rare sono “figlie” di decadimenti radioattivi di elementi come radio, radon, torio ecc., e quindi nell’estrazione e nella purificazione si generano scarti radioattivi. Ma siccome non sono scorie nucleari, nessuno verifica che siano smaltite correttamente […].
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Attenzione. Il testo non va contro le altre forme di reperimento e di determinazione delle fonti di energie altre rispetto al nucleare, perché esso non compete realmente con le rinnovabili, dal momento che si tratta di fonti adatte a coprire porzioni differenti del carico di rete (il nucleare è adatto a fornire il carico di base, le rinnovabili a coprire i picchi); compete principalmente con i combustibili fossili, e infatti proprio l’industria dei combustibili si è resa responsabile, storicamente, di diverse campagne di lobbying contro il nucleare (in maniera più o meno palese).
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Negli ospedali ogni volta che ci sottoponiamo a una radiografia o a una tomografia, abbiamo a che fare con il nucleare. Nel campo alimentare, tutti i cibi sono sottoposti a raggi radioattivi e poi impacchettati, da decenni, per bloccarne la decomposizione. Stiamo tutti bene, e si è ridotta la fame nel mondo. Il nucleare non consuma il terreno, e non ha bisogno di colossali quantità di acqua, con la correlativa costruzione di dighe che stravolgono il paesaggio.
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Le radiazioni sono ovunque. Anche noi stessi ne siamo vettori. Quasi tutti non sanno quantificare. Questa lettura è una occasione per comprendere l’impiego dei di soglia, di livello e di capacità. Tutto ciò ricade sul nostro portafoglio.
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Siamo isterici sul nucleare, ma quando vi è la notizia che a Roma, o da qualche altra parte vi è un incendio in una discarica, alziamo le spalle, o formuliamo una frase fatta, dimenticando che quei fumi sono dannosissimi perché contribuiscono a elevare indirettamente il tasso dei decessi negli anni, inquinano in modo esponenziale, e comportano la necessità di erogare tanti soldi per tamponare quelle vasche bucate… dalle nostre tasche. Oltre a distruggere gli ecosistemi. Quanti di noi ricordano i morti per l’acqua? Per i gas? Nel nostro paese soltanto. Dovremmo esserne terrorizzati. Eppure solo il nucleare è l’orco.
So già che molti penseranno: Eh ma le scorie? Le conseguenze? I costi? Ecco nel libro si tratta proprio di questo, senza omettere nulla, offrendo dati e grandezze. Senza aver la pretesa di farci cambiare idea, ma con la speranza di formulare valutazioni più approfondite sulle conseguenze dell’uso di altre forme di energia.
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Avremo la possibilità di discutere con maggiore discernimento sul nostro futuro, con la possibilità di toglierci qualche catena di superstizioni, pregiudizi, e miti dal collo.
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Lo stile è accessibile, e si legge in sequenza, e ogni termine è spiegato in modo chiaro con note e citazioni allegate.
Buona lettura e che sia un passo verso un futuro più ricco di vita e di idee.
Brin David è uno scrittore di fantascienza e anche un astronomo. È dotato di una solida conoscenza tecnico-scientifica. Non è un caso che i suoi romanzi, al netto dell’idea di fondo che è fantastica, sono contraddistinti da una narrazione che tiene per conto le logiche e l’impiego coerente e attendibile delle conoscenze scientifiche, adeguate ai supporti tecnologici descritti. È un narratore di mondi immaginari intessuti di eventi coerenti e verosimili.
È considerato un esponente della fantascienza hard (dall’inglese hard science fiction), detta anche fantascienza tecnologica, che enfatizza accuratamente il dettaglio scientifico o tecnico.
L’<Effetto Anomalia> tratta le conseguenze derivate dalla scoperta di poter passare in un mondo ucronico e distopico. L’innesto è lo Zievatron: un macchinario che collega queste fessure iperdimensionali. È l’espediente che permette la genesi della trama. Il tema del “passare oltre” non è nuovo, perché risale già prima dei racconti mitici. I romanzi di fantascienza, infatti, anche quelli meno tecnici e scientifici, narrano le storie mitiche, rivestite con gli abiti del presente, traslando le gesta eroiche e i simboli nel presente.
I protagonisti (lo scienziato cavaliere – la figlia del re buono, il re antagonista cattivo, gli alleati sapienti e quelli ridicoli – l’antagonista del cavaliere scienziato che è suo collega nel mondo “nostro”) seguono tutti i canoni della letteratura tradizionale epica e di avventura, che spazia tra il picaresco, al guascone, fino a proto-stili che oggi vanno di più moda. Mi riferisco alle saghe, che possono essere scorporate in più libri, eventualmente in film, e nei videogiochi. I grandi capolavori di due secoli fa, così lunghi come quelli francesi e inglesi, erano stampati in capitoli in modo seriale e pubblicati nelle riviste periodiche. Una eccellente capacità impreditoriale.
David Brin descrive i problemi sociali ed economici degli anni novanta, durante la correlativa trasformazione tecnologica in atto, riflettendo sui nuovi assetti della società, traslando la riflessione in un pianeta a noi affine, ma con le leggi dell’entropia e della meccanica razionale diverse, rispetto ai vincoli della nostra realtà.
Ed è qui che emerge la maestria di questo scrittore: narra le vicende dei protagonisti in un modo coerente e perfettamente adeguato alle ipotesi di fondo. Il modo di creare qualsiasi manufatto, i criteri di attribuzione di valore e di ricchezza, le strategie di ricerca volte a perseguire nuove scoperte in ordine alla fisica e alla chimica.
Ha una intuizione geniale nel descrivere i tentativi di mantenimento dell’ordine nell’irreversibilità dei processi antropici, e quindi nella degradazione dell’energia e degli ambienti vitali.
Il romanzo offre ulteriori chiavi di lettura circa i modi con i quali noi ci affidiamo, esclusivamente per fede, cieca, e imposta alle leggi e alle consuetudini del nostro vivere, in rapporto ai conflitti politici, sociali, ed economici, a livello individuale e delle comunità.
È un libro che andrebbe riletto due volte: la prima per puro godimento di avventura, la seconda come una occasione per mirarci allo specchio, nella speranza di acquisire il lusso di guardare il nostro vivere in intervalli temporali più estesi rispetto il proprio vivere quotidiano.
Questa ANOMALIA ha tutte le caratteristiche per smuovere ciò che per noi è considerato ovvio. Se la lettura è praticata rigettando la pigra accettazione di ciò che è il nostro eterno presente, allora potrebbe offrire nuovi occhiali per ridefinire le domande su noi stessi.
La trama ha più livelli concomitanti di interpretazione. Lo stile è apparentemente colloquiale, perché è connotato da riferimenti storici reali, in particolare quelli relativi alle scoperte tecniche e ai loro inventori. È un’opera con intenti edificanti.
Postilla: Se si legge il romanzo in lingua originale, vi è la possibilità di apprezzare l’enorme quantità di giochi di parole e modi di dire profondi e coloriti, propri del modo di intercalare nel sud-ovest USA.
– “Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d’oro e
argento dove non sono miniere”, di Antonio Serra, 1613
– “La zecca in consiglio di Stato”, di Geminio Montanari, 1683
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È una raccolta di testi che parla del nostro passato ancestrale, la cui attenta lettura potrebbe svelare indirettamente i pericolosi stereotipi e i pensieri “magici” che abbiamo ancora oggi nell’intendere e nel perseguire il benessere e la prospettiva di sopravvivere con agio.
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L’edizione del 1913 offre una panoramica riguardo i modi di intendere le pratiche economiche durante il seicento in alcuni regni della penisola italica: il luogo ancora più ricco e più densamente popolato del continente europeo.
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Considerando che alcune soluzioni proposte erano già allora inefficaci, è interessante rilevare l’intento degli autori nel proporre soluzioni non banali ai problemi del periodo.
Noi, che viviamo la contemporaneità, abbiamo la convinzione di essere i più avveduti nel comprendere i fenomeni, i più saggi nel determinare gli scopi del nostro agire e i più efficienti nel prevedere le tendenze di lungo periodo. La convinzione di seguire un itinerario asintotico verso la perfezione nel formulare giudizi obiettivi ed adeguati per i nostri bisogni, forse non è così salda e indefettibile.
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Consideriamo il nostro particolare “passato” nazionale, individuale e famigliare caratterizzato da individui meno sapienti di noi, affetti da visioni magiche e da pregiudizi riguardo alla visione del mondo e nella fattispecie delle scienze, in particolare quelle economiche.
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Gli scritti di questi autori vissuti quasi cinquecento anni fa, invece, mostrano come le società di quei tempi furono altamente sofisticate e molto meno “primitive” di quanto pensi.
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Il modo di analizzare i problemi derivati da pratiche truffaldine, contraddistinte da visioni limitate e da conoscenze mediocri, offre una profilassi nel mantenere, un atteggiamento critico laico nel discutere e nel ragionare circa i dibattiti delle politiche economiche di oggi. Un impegno a evitare la tentazione di affidarci passivamente all’autorità, al pensiero magico, e alla nefasta pigrizia mentale che riduce le capacità di ragionamento in asserzioni superstiziose: elementi che innescano metodi assertivi e violenti.
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L’ignoranza e il cedimento alla pigrizia intellettuali, talvolta costituiscono una pericolosa sponda verso la povertà materiale e l’assenza di una prospettiva per il futuro.
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È commovente leggere la lingua italiana scritta con uno stile lineare e pulito. Gli autori hanno rispetto dei lettori (anche perché erano i loro datori di lavoro, e inoltre i principi erano di poca pazienza).
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Possiamo ricavare dal punto di vista storico e antropologico diverse strategie di attribuzione di valore a ciò che era considerato meritevole di una misura in moneta. La moneta, da parte gli autori, è ritenuta una parte integrante delle interazioni sociali e dell’attribuzione di valore agli oggetti, al netto dei vincoli imposti dalla realtà nel reperire le risorse utili e passibili di ulteriori e profittevoli trasformazioni.
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Vi sono tabelle di corrispondenza tra il valore e la composizione in metallo delle monete e come disporle. Siamo ancora prima dell’algebra lineare codificata da Cartesio in poi. Qui le matrici non sono quelle che inconsciamente intendiamo noi. No: sono vere e proprie tabelle che dovevano essere viste come colonne appese ai muri, per gente analfabeta che doveva leggere quel particolare stampo, o quella quantità di metallo corrispondente a un valore. Dobbiamo ricordare che erano usate le stadere. Il peso di un materiale era correlato a un movimento meccanico che componeva un equilibrio. A un braccio o una parte del corpo.
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La geometrica non era immediatamente associata ai numeri. Non era in uso il piano cartesiano, ovvero la relazione tra un numero e un punto dello spazio.
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La raccolta è anche un’analisi antropologica del periodo che permette anche di conoscere noi stessi. Sì: perché siamo ancora lì: trattiamo le monete come enti sacrali, separati dalle regole, dalle organizzazioni che sono fatte sempre da individui.
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Lo stile diretto, umile quasi, nel trattare gli argomenti sono una risposta dopo cinquecento anni a chi, oggi, nel proporre le soluzioni che riguardano il nostro benessere, parla in modo oscuro, ambiguo, teatrale, e volutamente evasivo.
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Gasparo Scaruffi con L’Alitinonfo del 1579 introduce il primo sistematico scritto italiano di temi monetari a contenuto anche teorico, dotato di argomenti a favore di un ordine monetario universale, affermando la centralità dell’osservazione e della misurazione dei fenomeni. Esprime le esigenze e le preoccupazioni di una borghesia finanziaria internazionale a fronte di un crescente disordine monetario e del progressivo avanzare dell’assolutismo politico.
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È corredato da numerose, dettagliate tabelle e da disegni delle future monete. Descrive i criteri cui attenersi per realizzare un coerente sistema di monete di vario peso e titolo e di diverse specie metalliche. Un sistema tale che, una volta adottato in ogni singolo Stato, avrebbe avuto l’effetto di dare vita a un circuito unico, universale e durevole di monete. Avrebbe risolto il problema della speculazione con pagamenti certi e giusti. Le regole contabili coattive proposte, sono compensate da altre disposizioni volte a tutelare coloro ai quali venga sottratto il controllo diretto sulla monetazione. Concede la possibilità di pagare in metallo fino o in moneta coniata, da parte dei privati avendo la facoltà di detenere liberamente metalli preziosi in qualsiasi forma.
In secondo luogo, propone un divieto rivolto agli zecchieri, di non usare i valori nominali delle monete, per le fatture e qualsiasi tipo di rendiconto. Vale a dire, qualunque costo di produzione o eventuale tassa si deve pagare a parte, e non attraverso un peggioramento delle leghe. La diffusione del metodo deve partire dal basso, cioè dalla natura degli scambi e non da una imposizione di una volontà centrale.
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Al netto delle critiche che si sono espresse nei secoli rispetto a tale scritto, l’opera, però, impiega per la prima volta una logica economia rigorosa volta ad affrontare una questione d’interesse pubblico. È enucleata la centralità della misurazione, l’uso dell’aritmetica e dell’osservazione, il concetto di homo oeconomicus, di utilità e rarità. Il tutto accompagnato da una tariffa monetaria che incide sulla distribuzione della ricchezza, in quanto rapporto tra grandezze e non come sostanza. Infine, è suggerito un sistema mondiale e interdipendente di merci e monete tendenzialmente in un equilibrio.
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Il “Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d’oro e argento dove non sono miniere”, di Antonio Serra, è considerato il primo scritto di economia politica in Italia, e uno dei primi in Europa. Lo scritto tratta le cause della scarsità di moneta nel Regno di Napoli e i fattori che avrebbero potuto invertire questa tendenza economica. Fu il primo ad analizzare il concetto di bilancia commerciale sia per i beni visibili che per quelli invisibili (i servizi e i movimenti di capitali). Spiega come la scarsità di moneta nel Regno di Napoli fosse causata dal deficit della bilancia dei pagamenti e non per il tasso di cambio. La proposta è volta ad una promozione attiva delle esportazioni. È importante sottolineare che non sono utilizzati criteri morali della scolastica medioevale, perché l’impianto, agli occhi di noi contemporanei, è dotato di una visione laica.
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Il Trattato si distingue dagli altri dedicati all’epoca, non solo per la fine analisi degli aspetti tecnici del funzionamento del mercato dei cambi, quanto per la descrizione del legame tra la carenza di denaro nel Regno di Napoli e il debole sviluppo dell’attività produttiva, dipendente, inoltre, da quote maggioritarie di capitali esteri investiti (e prestati).
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“La zecca in consiglio di Stato”, di Geminio Montanari del 1683 tenta di risolvere il problema derivato dal fenomeno dell’augmentum, ossia della rivoluzione dei prezzi che caratterizza le economie europee del 16° e 17° secolo. Il metodo di indagine è prettamente matematico e vuole essere scientifico. Nello scritto i fenomeni sono considerati conoscibili solo dopo aver proceduto alla definizione del campo d’indagine, nel quale ogni relazione va sottoposta a verifica. È importante l’osservazione e l’esperimento. La moneta deve essere studiata sulla base della funzione svolta dalle monete storiche. L’agire economico si basa sulla volontà individuale che tende a soddisfare i bisogni. I mercati sono dotati di un punto di equilibrio che dipende da scambi alla pari, dove i guadagni e le perdite si compensano, per la limitatezza delle risorse.
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L’economia è dotata di una propria autonomia scientifica, con leggi proprie, indipendenti dal diritto e dalla morale. Le scelte politiche intervengono come condizionamenti esterni di cui valutare, economicamente, gli effetti.
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La moneta è un oggetto convenzionale autenticato dall’autorità pubblica per servire come «prezzo e misura» delle cose commerciabili. Il valore della moneta non sta in qualche suo intrinseco contenuto, ma nel suo potere d’acquisto. L’unico prerequisito è che le merci o le monete in questione si reputino utili. Posto che lo siano, il loro valore dipende dalla quantità offerta: tanto più sono rare, tanto più son valutate. La combinazione di utilità e rarità è la legge indipendente dalla volontà politica che governa i valori e gli scambi commerciali.
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Delinea un’analisi simile a ciò che in futuro sarà denominato sarà denominatao il metodo delle “approssimazioni successive”, e quello della futura cinematica storica: utili ad allentare il vincolo costituito dal dover metter a confronto, istante per istante, solo coppie di quantità. Partendo dagli scambi tra monete, si pongono in sequenza coppie di collegamenti successivi che comprendono in un unico quadro, merci, bisogni, consumi, investimenti, produzioni, redditi, prelievi fiscali, risorse naturali, capacità produttive e il benessere dei popoli.
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Insomma, una raccolta di testi utili per affinare lo spirito critico.
Le questioni relative al Diritto e alle interazioni sociali riguardano anche la convivenza in piccole comunità umane fuori del pianeta Terra. Già oggi esiste un diritto astro spaziale, e anche di proprietà, simile al diritto navale e internazionale. Gli organismi nazionali e internazionali, veramente e non nei libri di fantascienza, da decenni stanno stabilendo protocolli, intese, linee guida per stipulare codici e leggi adeguate, riferite ad agglomerati stabili in ambienti ostili, dove l’ossigeno è una risorsa scarsa, così come il cibo e il territorio. Il calore è un lusso, così anche un posto per dormire.
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Esiste la possibilità che per gli sconvolgimenti ambientali e per la lotta di nuove risorse si avranno nuovi tipi di interazioni sociali insospettate che mutueranno nuove definizioni di “crimine”. Pensiamo solo al 2021 in riferimento alla nuova lotta geopolitica per l’appropriazione delle risorse energetiche e delle terre rare, che può causare disallineamenti tra l’offerta e la domanda, quindi l’inflazione, la recessione. La guerra. La fame.
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Quando anche lo spazio è considerato integralmente un bene, i luoghi in cui si cammina (e si respira) divengono un oggetto di contesa. Già oggi emergono nuove domande circa la definizione di nuovi soggetti giuridici. Questo romanzo di fantascienza, seppure nella sua trama avvincente e di fantasia, indirettamente, e forse al di là delle intuizioni dell’autore, mostra che:
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NON SAREMO NOI A CREARE LE CITTA’ LUNARI, MA è LA LUNA CHE VERRA’ DA NOI QUI SULLA TERRA. ED è già così NELLA CONTESA DELLO SPAZIO PER LE ROTTE DEI SATELLITI, per controllare il traffico dei dati, ovvero della ricchezza, della vita stessa, del controllo meteorologico, e di una nuova definizione della guerra e degli assetti (astro)geopolitici.
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In Artemis sono riprodotte le differenze di ceto e di classe. Nella cupola “Armstrong” lavorano gli operai, i saldatori, gli inservienti. Nella cupola “Aldrin” vi sono i turisti con gli hotel e i mega negozi di lussocostosi. Nella Conrad, il tugurio, dormono gli operai e i poveri.
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“[…] Facciamo del nostro meglio per evitare che la polvere lunare entri in città. Non ho saltato la decontaminazione nemmeno quando stavo per morire per la valvola rotta. Come mai tanta fatica? Perché la polvere lunare, se respirata, è estremamente nociva. È composta da minuscole particelle di roccia, che non sono mai state erose dalle intemperie, perché sulla Luna non esistono mutamenti climatici. Ogni pagliuzza è pronta a lacerare i polmoni come se fosse filo spinato. Credetemi, è meglio fumarsi un pacchetto di sigarette all’amianto che respirare quella roba. […]”
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Nella Cupola Shepard vivono i ricchi con un arredamento Extralusso pieno di lampadari di vetro con legno. Il vetro costa poco ed è lavorato dai soffiatori di vetro, dato che la Luna è piena di Silicio.
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L’aria della Terra è composta per il 20% di ossigeno. Per il resto è costituita da gas di cui i corpi umani non ne hanno bisogno, tipo l’azoto e l’argon. Invece l’aria di Artemis è ossigeno puro a bassa pressione (il 20% di quella terrestre), affinché gli organi interni del corpo umano non ne siano danneggiati. Non è una trovata recente, risale ai tempi delle spedizioni Apollo. Il problema è che, per via della bassa pressione, l’acqua ha un punto di ebollizione più basso. In pratica bolle a 61° Celsius, che è la temperatura massima che possono raggiungere un tè o un caffè.
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Il discorso indiretto libero non è scritto in prima persona dall’autore, perché sono gli stessi protagonisti che spiegano l’ambiente rivolgendosi al lettore. Quando rimuginano su di sé, richiamano eventi del passato per svelare la propria personalità o quella degli interlocutori, mostrando la città e i suoi problemi di vivibilità, all’interno di una penuria dei materiali, stando permanentemente in condizioni diverse di gravità
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I cibi sono freddi. I liquidi come il caffè non arrivano all’ebollizione: sono imbevibili per i terrestri. Si mangiano alghe: almeno i poveri e gli operai. Il contrabbando è la sopravvivenza e il motivo di rimanere lì, oltre al turismo. L’ossigeno è la materia più preziosa, e il nemico più infido, perché è un comburrente.
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Chi parla in prima persona e dirige gli eventi è Jazz, la protagonista proveniente dall’Arabia Saudita, dall’età di sei anni. I bambini non possono essere partoririti sulla Luna, a meno di deformazioni e rischi di sopravvivenza. Si diventa madri sulla Terra.
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La città di Artemis è retta dallo stato del Kenya. L’ora della Luna è sintonizzata all’ora terrestre di Nairobi (Kenia). La reggente è Fidelis Ngugi: la ex ministra delle Finanze in Kenya. Il Kenya offriva l’equatore. I razzi che partono da lì, costano di meno per la rotazione della Terra e perché secondo Ngugi, il Kenya era un paradiso fiscale. Gli altri paesi esigono tasse onerose alle agenzie spaziali. Il Kenya no.
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La proposta: “<<Jazz, sono un uomo d’affari>>, disse. <<Il mio lavoro è valorizzare le risorse sottovalutate e tu decisamente lo sei>>.
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Il concetto di spazio è relativo: un garage è considerato quasi una piazza di una città.
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Jazz parla indietro nel tempo con Kelvin., il suo amico epistolare in Kenya e da qui si snoda una storia parallele con le vicende lunari. La narrazione bipartita in due serie temporali dove quella epistolare è antecedente, permette il climax, nel punto di incontro logico delle azioni.
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Andy Weir scrive con un linguaggio molto meno diretto e volgare, rispetto all’altro suo famoso romanzo su Marte (Martians). Quest’ultimo aveva uno stile corredato di termini meccanici, astrofisici, Artemis invece è impregnato di chimica, fisica e metallurgia (è l’apoteosi dei saldatori).
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L’autore è meticoloso nel rendere la trama verosimile. I protagonisti, infatti agiscono sfruttando le conoscenze fisiche e chimiche degli ambienti non terrestri.
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Loretta è una antagonista donna e qui si vede che la moralità di tutti è sfumata.
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4614-4619 «Non è solo colpa tua. Ci sono state molte mancanze ingegneristiche. Per esempio, perché i sensori nelle tubature dell’aria non sono stati tarati anche per individuare le tossine complesse? Perché la Sanchez teneva metano, ossigeno e cloro vicino a un forno incandescente? Perché nel Centro di Supporto non hanno dei serbatoi d’aria separati in modo che, in caso di problemi nel resto della città, possano rimanere svegli a risolverli? Perché il Centro di Supporto è centralizzato invece di avere una succursale in ciascuna bolla? Sono queste le domande che le persone si stanno ponendo».
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4760-4767 «Ma lo fanno già sotto forma di affitto alla ksc. Introdurrò un modello basato sulla proprietà privata e le tasse, così il benessere della città sarà strettamente legato all’economia, ma non da subito». Si tolse gli occhiali. «Fa parte del ciclo vitale dell’economia. Prima viene il capitalismo senza regole, finché non blocca la crescita. A questo punto subentrano le leggi, la loro applicazione e le tasse. In seguito, benefici pubblici e diritti. Infine, eccessiva espansione e collasso». «Un momento. Collasso?» «Sì, collasso. L’economia è un essere vivente. Nasce piena di vitalità e muore rigida e spolpata. A quel punto, le persone formano dei gruppi economici più piccoli e il ciclo ricomincia daccapo, ma con più sistemi economici, con delle economie neonate come quella di Artemis». «Mmm…», mormorai. «Insomma, per far figli devi farti fottere». Scoppiò a ridere. «Tu e io c’intendiamo alla perfezione, Jasmine».
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E da qui consiglio la lettura del libro, senza anticipare gli avvenimenti, perché il ritmo è avvincente con molti colpi di scena.
Una nota finale, Andy Weir alla fine del romanzo nella parte relativa ai ringraziamenti cita coloro che lo hanno aiutato a realizzare l’opera. Sono quasi tutte donne che lo hanno supportato per migliorare la scrittura, per conoscere l’Islam, e per scrivere fingendo di stare dentro un punto di vista femminile.
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4820-4829 Persone che vorrei ringraziare: David Fugate, il mio agente, senza il quale starei ancora scrivendo sui blog di notte e nei fine settimana. Julian Pavia, il mio editor, per essere un rompiballe quando ce n’è bisogno. L’intera squadra della Crown e della Random House per il loro lavoro e supporto. Siete troppo numerosi e qui non posso citarvi individualmente, ma, per favore, sappiate che sono incredibilmente grato di avere così tante persone intelligenti che credono nel mio lavoro, tanto da diffonderlo nel mondo. Un ringraziamento speciale va al mio agente pubblicitario di lunga data Sarah Breivogel, i cui sforzi sono stati essenziali nel farmi rimanere lucido negli ultimi anni. Per i loro intelligenti commenti in varie aree, ma soprattutto per avermi aiutato a superare la sfida di scrivere “al femminile”: Molly Stern (editor), Angeline Rodriguez (l’assistente di Julian), Gillian Green (la mia editor inglese), Ashley (la mia compagna), Mahvash Siddiqui (un’amica, che mi ha dato una mano a rendere accurata l’immagine dell’Islam), e Janet Tuer (mia madre).
Questo capolavoro è un inno al nostro bisogno di elevazione.
Il romanzo di Arthur Charles Clarke parte da una idea iniziale corrispondente a quella dell’ascensore spaziale. Questa idea in realtà è molto antica, e fu presa in seria considerazione agli inizi del 1900, in corrispondenza alla effettiva realizzazione del volo aereo che ha bisogno di energia per raggiungere le zone sempre più estreme dell’atmosfera.
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L’energia costa ed è un problema immagazzinarla. Gli scienziati si posero il problema di realizzare un ascensore che arrivasse fino alle zone estreme dell’atmosfera e, dalla seconda metà del ‘900, che fosse anche una piattaforma di lancio per le rotte orbitali esterne al nostro pianeta.
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Nel 1894 il fisico e scienziato russo Konstantin Ciolkovskij, si ispirò alla Torre Eiffel per ipotizzare un’analoga struttura capace di raggiungere il limite dell’orbita geostazionaria. Nella sommità della torre, un qualsiasi oggetto in movimento sincrono avrebbe avuto una velocità angolare sufficiente a sfuggire all’attrazione terrestre e a essere lanciato nello spazio. Tuttavia lo stesso Ciolkovskij la ritenne irrealizzabile perché secondo il suo progetto, qualsiasi corpo capace di raggiungere l’altezza di circa 36 000 km, avrebbe dovuto prevedere un diametro di base di centinaia di chilometri. Senza contare il problema del peso e della resistenza del materiale d’uso.
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Nel 1957 lo scienziato sovietico Yuri Artsutanov ipotizzò l’uso di un satellite geosincrono come base da cui costruire la torre, nel quale fosse utilizzato un cavo come contrappeso, abbassato dall’orbita geostazionaria fino alla superficie della Terra, mentre il simmetrico sarebbe stato esteso dal satellite allontanandolo dalla Terra, mantenendo il centro di massa del cavo immobile rispetto alla Terra. Insomma una forma sferoide con due lunghissime antenne perpendicolari rispetto a un punto del pianeta terra, ognuna propagantesi in direzione opposta all’altra.
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E qui venne l’altro problema, perché non si conoscevano materiali adatti a produrre cavi lunghi oltre 36.000 chilometri. Nel 1966 quattro ingegneri statunitensi calcolarono che il carico di rottura avrebbe dovuto essere il doppio di quello del diamante.
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Nel 1975 lo scienziato americano Jerome Pearson progettò una sezione nastriforme nella quale il cavo completo sarebbe stato più spesso al centro di massa, dove la tensione era maggiore, e sarebbe stato più stretto alle estremità per ridurre la quantità di peso che la parte centrale avrebbe dovuto portare. Egli suggerì di usare un contrappeso che avrebbe dovuto essere esteso lentamente verso l’esterno, fino a 144.000 km (poco più di un terzo della distanza tra Terra e Luna) mentre la sezione inferiore della torre veniva costruita. E pensò che sarebbe stato possibile trasportare parte del materiale usando la torre stessa, non appena un cavo con una minima capacità avesse raggiunto il terreno o avrebbe potuto essere prodotto nello spazio utilizzando minerali lunari o asteroidali.
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Dal progetto verosimile di Jerome Pearson, Arthur C. Clarke scrisse questo romanzo nel 1979, in cui gli ingegneri costruiscono un ascensore spaziale sulla cima di un picco montano sulla fittizia isola equatoriale di Taprobane, ispirata al Picco di Adamo nello Sri Lanka.
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Anche questo romanzo, come tutti i suoi scritti, sono coerenti, ben strutturati, e corroborati secondo le conoscenze scientifiche a lui contemporanee. Questo romanzo non è fantascientifico per la trama e la possibilità di realizzazione di un’impresa del genere, ma è attualmente irrealizzabile dal punto di vista pratico, sia per i costi previsti sia perché non si hanno materiali così resistenti, anche se dal 1979 ad oggi, grandi passi in avanti sono stati compiuti per realizzare filamenti elastici e resistentissimi.
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Il romanzo non è un solo un trattato di ingegneria aerospaziale: si snoda attraverso una storia accaduta realmentemillenni fa proprio a Sri Lanka, dove le gesta sono intrecciate con il mito. Lì nella montagna sacra dove Kalidas uccise suo padre divenendo il re, e scacciò il fratello, parte una saga, comune a tante culture, nella quale proseguì la costruzione del palazzo di suo padre fino a toccare il cielo. E ci riuscì per i parametri del tempo, in cui le acque, le strade e l’ingegneria edile compirono un miracolo fino ad allora inaudito. La costruzione, il lago artificiale, i graffiti sulla montagna, le irte e impossibili scalinate e tradotte, riemersero dalla foresta dopo secoli fino ai giorni nostri.
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Le vicende percorrono un ritmo parallelo a quello dei protagonisti nel presente, che si intreccia con sprazzi del futuro. Un gradino temporale dopo l’altro, avanti e indietro tra cielo, terra e astri, e il mito. Il presente prosegue un discorso aperto dal passato, mentre il futuro gravita come un satellite geostazionario, rispetto al tentativo dell’umanità di domandare il senso del proprio stare e all’irresistibile tendenza a rendere plausibile la possibilità di oltrepassare il limite.
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Le vicende del sogno di un uomo intrecciano le conseguenze degli incubi di un altro, attorno ai desideri e alle paure, nello stupore di ciò che si può realizzare, attraverso la volontà di intendere l’immaginazione: il combustibile primo del viaggio verso l’orizzonte interiore e astrale.
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E non da ultimo, come in ogni capolavoro di Arthur C. Clarke, il lettore si sente fisicamente immedesimato nei protagonisti. Si provano le fatiche, il dolore, lo spasimo, la gioia: tutte le tensioni dei personaggi, mentre vivono in ambienti tecnologici per noi impossibili, agendo in ambienti astrali.
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Al netto di un elemento fantastico, tutto è di una superba verosimiglianza: il marchio distintivo di questo gigante della letteratura scientifica e di fantascienza.
È un romanzo di Andy Weir, dal quale è stato tratto un film di Ridley Scott “The Martian” (2015), in italiano “Sopravvissuto”. Il romanzo narra dell’impresa di un gruppo di astronauti USA nell’intraprendere uno sbarco e un soggiorno su Marte. Accade un imprevisto e cinque componenti dell’equipaggio lasciano su Marte il sesto credendolo morto, l’ingegnere botanico Mark Watney. La trama si sviluppa narrando le vicende di Watney nel tentativo di sopravvivere su Marte, e nel contattare la Terra, affinché lo vengano a riprendere.
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È un libro avvincente. Il lettore è risucchiato da un ritmo che avvinghia lo stomaco. Oggettivamente il protagonista è sempre al limite di un disastro. E non può che essere così nell’atmosfera marziana, con poco cibo e con la costante paura di dover tenere in assetto i regolatori di ossigeno, di anidride carbonica, e del calore. Senza contare i problemi causati dalle tempeste di sabbia.
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Lo stile è alternato sapientemente dal monologo del novello Ulisse – Robinson Crusoe ai resoconti del diario di bordo, anzi è proprio in essi che il protagonista comunica su due livelli discorsivi. In uno a se stesso e all’altro alla NASA. L’espediente permette ad Andy Weir di variare il registro linguistico che spazia da uno stile amministrativo, allo scientifico ingegneristico, fino a quello colloquiale. Il protagonista e non solo lui, utilizzano modi di dire tipicamente USA, in particolare per gli insulti, le battute, le parolacce. Nella tensione del racconto, quindi, vi sono fasi di rilassamento per i giochi di parole, i riferimenti a serie di telefilm, musiche, vicende sportive che producono un effetto comico. Anche greve.
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È un libro che ironizza anche verso le autorità amministrative e scientifiche, ma la sottigliezza delle critiche corrosive, proprio perché nascoste nel linguaggio colloquiale USA, renderebbe di più in una lettura in lingua originale. A latere si nota come in alcuni passi, la traduzione non sia ottimale, perché vi sono errori di coniugazione dei verbi e un uso di termini che facilmente avrebbero potuto essere sostituiti nella lingua italiana. Anche per la costruzione delle frasi volgari e quelle relative ai monologhi interiori. La nostra lingua ha un ampio spazio di registri linguistici atti a permettere la coesistenza di un livello formale e uno volgare all’interno di uno stesso periodo.
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All’inizio il libro è impegnativo per color che sono a digiuno di fisica, di ingegneria aerospaziale, di astronautica e di astronomia. Per poter apprezzare la densità concettuale e per distaccarsi dalle immagini del film, per coloro che lo avessero visto preventivamente, è consigliata una lettura lenta e inframmezzata da ricerche, eventualmente in rete web, circa i termini e le sigle utilizzate. È anche una piacevole esperienza per dotarsi di un vocabolario non usuale per la maggior parte di noi. Inoltre il libro fa riferimento a sonde, basi spaziali, robot, satelliti che negli anni sono stati inviati su Marte e sono ancora lì residenti. In più, il protagonista nel cercare di risolvere i problemi che via via appaiono, riflette sulle soluzioni praticate dalle missioni spaziali USA e URSS, poi russe, condotte nei decenni passati, anche con riferimento a stazioni e satelliti attualmente in orbita.
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È un libro verosimile. Ed è ingegnoso. La spiegazione dei veicoli da viaggio (i rover), le basi di atterraggio e di soggiorno seguono regole fisiche ed astronomiche coerenti e rigorose. Il lettore può leggere il libro non soffermandosi troppo su questi spunti, ma per chi abbia interesse, tutto ciò è una formidabile occasione della messa in pratica delle leggi della fisica, della chimica, della biologia e del loro impiego nella ingegneria aerospaziale.
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Essendo un romanzo di fantascienza vi sono elementi non realistici per noi, infatti è troppo semplice come su Marte il protagonista riesca a muoversi con una gravità minore di quella terrestre sui rover, sulla stazione spaziale, sulle rampe di partenza. Lo stesso discorso vale per l’astronave Hermes, seppure sia dotata di un disco rotante perpendicolare al proprio asse che permette una accelerazione centripeta. La potenza dei motori e la loro tenuta è attualmente ottimistica. In ogni caso, l’esercizio immaginativo è plausibile dal punto di vista scientifico. Le limitazioni sono tecnologiche.
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È un romanzo avvincente, comico e tragico nello snodarsi degli eventi, scientificamente e tecnologicamente chiaro, coerente e rigoroso, ma il nucleo dell’opera è famigliare per l’intera umanità: il mito di Ulisse, cioè il nostro inconscio più profondo.
Le mie sono solo risposte a un tuo continuo richiamo…