Archivi categoria: Educazione

§CONSIGLI DI LETTURA: FACCIO MUSICA

Ezio Bosso Faccio musica Scritti e pensieri sparsi. A cura di Alessia Capelletti Prefazione di Quirino Principe.

Che bel dono che ci hai fatto con il tuo vivere Ezio Bosso..

Che regalo è questo libro nel camminare tra note e timbri di vita, tra suoni del cuore e melodie di concetti, trascritti in una biografia itinerante ancora in corso per noi lettori, e compagni di strada.

Il colloquio di Ezio Bosso, suddiviso in argomenti editoriali, individua un flusso continuo dell’impegno ad agire, praticando musica tra valori e pratiche di vita, dove il proprio vivere è anche uno strumento che riverbera il tratto comune di ogni vivente che esperisce la bellezza.

Poiché il mutamento delle onde sonore distillate nei secondi che scandiscono il ritmo del proprio passare nel tempo, cantano del panorama delle emozioni che passano dallo sgomento, al timore, e allo stupore, l’orizzonte è ordinato da un impegno etico, in cui si dichiara la testimonianza del proprio impegno a dire di sì al vivere che è bello, e che di tutti è l’essenza e quindi impossibile da afferrare e a ridurre come oggetto. La comunanza con ogni altro vivente incarna la pratica di questa testimonianza: vivere nella bellezza che è buona e saggia, provando la propria limitatezza infinita, nell’impossibilità a fermarsi in una opinione o in punto di vista che si crede perno del mondo e degli altri.

Nella consapevole sincerità di non poter negare ciò che nel bello noi si sia destinati per ogni desiderio più recondito anche se oltraggiato da pulsioni malevole, l’agire comune si individua singolarmente nel fare e nel patire della musica, come messaggio universale di vita, che è buona e infinitamente meravigliosa, anche all’interno del nostro ciclo limitato di vita in cui noi stessi ci facciamo risonanza di questa eterna melodia.

Comune è a tutti, ma per qualcuno, l’impegno è così coerente e limpido da poter essere accreditato come esempio vivente cui noi si possa trarre agio e sicurezza, nell’accostarci in questa ala protettiva. Le parole del libro invitano ad aprire le nostre possibilità di esistenza, che da sempre attendono la nostra attenzione, ma che, richiedono impegno e sincerità, che è appunto il vivere incarnato da Enzo Bosso.

Il suo vivere attraverso il suo corpo è l’indicazione di una strada percorribile dal lettore: una possibilità di vita.

Pag. 18 “[…] Oggi ho capito che un vero Maestro non è chi ti dice cosa fare, ma chi capisce chi sei e ti indica il tuo cammino […]”

Perché con la musica si nasce e si rinasce: si fa, e si fa noi stessi.

Pag. 24 “[…] La musica trascende e ci fa trascendere. Dai nostri difetti come dalle nostre difficoltà. È stata una vera rinascita, sì l’ho vissuta come una rinascita, ma con la memoria di una vita passata o tante vite passate. […]”

Tante vite passate che si riverberano nei limiti e negli impedimenti che si hanno nel vivere musicando, come le esigenze economiche, i progressivi impedimenti fisici che obbligano a ritornare indietro, per rendere presente l’attimo iniziale di studio. Proprio ciò che era considerato un limite dai più, cioè la tendenza a non fermarsi a musicare con un solo strumento, ma ad agire attraverso e intorno le orchestre, componendo all’interno di ogni sezione, e dirigendo attraverso il pianoforte, nelle infermità, divenne una risorsa atta a percorre nuove strade di vita e quindi sonore.

Tale unicità coinvolge il suono integrandolo tra fiato, percussione, arco, e tasto: il timbro di un uomo suona ogni singolo strumento, pensandolo come un’intera orchestra.

Pgg. 37-8 “[…] Noi siamo ciò che amiamo, noi siamo il risultato dell’amore, perciò quando componiamo, quando creiamo partiamo da ciò che amiamo. Ed è inutile e, a parer mio, anche un po’ stupido, pensare di essere il futuro, ma la vera responsabilità di un compositore è di essere il ponte che collega il presente col futuro. Poi io preferisco dire: scrivere musica. E non comporre musica, mi sento uno scrittore di musica. […]”

Essendo l’amore è una tendenza infinita, il movimento del musicare è un divenire del miglioramento di sé che si nutre anche dell’ascolto, e ciò, come in un solfeggio dall’alto in basso, riverbera tale mutamento nel proprio compagno orchestrale e nel pubblico, che sente allargare il suo spazio estetico.

Pag. 42 “[…]  Alla fine, se il disco è una foto, io non voglio una mia foto perfetta, ma voglio una foto di cui il pubblico, l’ascoltatore possa magicamente sentirsi parte di quella foto, protagonista di quella foto, possa sentirsi dentro quella foto. […]”

Perché il pubblico, l’esecutore, il compositore, tutti, entrano in ogni nota che è il teatro in cui la scena del vivere di ognuno trascende in un atto di comunanza che dichiara la responsabilità della bellezza in dono per incarnarla. Tutti diventano belli nel partecipare di ogni nota che è il timbro della bellezza, attraverso il suono.

Proprio perché ognun di noi è strumento che conferisce il senso al suono, nel linguaggio delle note, per ogni singolo accadimento, vi è l’infinito miglioramento nel renderci consapevoli di essere da sempre in una comunità musicante.

Pag. 76 “[…] perché alla fine di tutto una musica per essere davvero libera entra nella pancia, passa per il cuore e fa muovere la testa. E quando queste tre cose si muovono insieme diventiamo noi stessi davvero liberi. […]

Pag. 100 “[…]  Per questo io parlo di musica libera piuttosto che di musica classica. Ti costringe a essere ponte fra passato e futuro, a liberarti da te stesso. La nostra è una società che ha bisogno di definire e non ti permette di essere te stesso. […]

Fare la musica assieme.

Pgg. 116-17 “[…] La tv è la tv e io voglio uno studio televisivo, voglio i lustrini, le luci colorate, perché la vera scommessa non è portare il teatro, l’auditorium così com’è in tv, quello lo fa Rai5 e tocca sempre le solite corde già suonate, ma fare della musica di Beethoven un soggetto della tv per ciò che è la tv popolare, quella che entra nelle case e diventa il focolare attorno a cui vive la famiglia italiana. Quella che c’è anche quando non l’ascolti, quando non l’hai accesa tu, ma tu sei lì e magari ti fermi e la guardi. Tu pensi a un documentario, perché è più facile e scontato, ma io no, io voglio Beethoven protagonista della tv nazionalpopolare e ciò nonostante fatto bene, benissimo, fatto al massimo delle nostre forze, per tutti. […]”

Più volte è scritto che aveva una fragilità di cristallo imperniata su una determinazione di ferro a proseguire con disciplina e dignità da e verso il suo operato.

Fu un diamante duro, inscalfibile, ma con la possibilità di crepare internamente per suoni rancorosi, contraddistinti da una aggressività gratuita.

L’intento di rendere la piazza, un teatro concertante tra il pubblico, gli interpreti e i compositori mostra indirettamente la condizione dell’accesso al pubblico, a ognuno di noi, nel partecipare attivamente al suono che è il timbro musicale di una comunità. E non è un caso che Ezio Bosso nelle diverse interviste del libro ritiene che la visione politica della musica come mero intrattenimento sia la condanna a morte di essa.

Gli attacchi che ebbe Ezio Bosso furono così duri, irragionevoli perché, al di là dei suoi intenti pedagogici e musicali, egli attuò una pratica politica a tutto campo di partecipazione democratica che mostra la possibilità di ognuno di incarnare pienamente la propria cittadinanza alla bellezza.

Ezio Bosso prima di suonare ci fa entrare nella sua dimora sonora. È colui che apre la porta, e indica il luogo dove ognuno possa stare a suo agio: “fa entrare la gente” nella musica, sia lo spettatore sia l’esecutore. Tutti assieme in un convivio in cui le note ricevono timbro e frequenza in base alle esigenze dei singoli. Qui si connota l’incontro musicale partecipato che trascende l’armonia interiore delle aspettative ludiche, estetiche e corporee dei partecipanti.

La dimora trasmuta in una piazza che trascende il luogo in cui avviene l’incontro per investire in differita nella linea del tempo, altri ospiti che ricevono ulteriori appigli per incontrare l’avventura inesausta di quella voce che rende simile il dissimile: la musica come origine dei linguaggi.

Ci si potrebbe domandare cosa volesse dimostrare Ezio Bosso con il suo approccio fisico, totale, nel fare musica:

pag. 247  “[…] Non ho niente da dimostrare. Per me bisogna ritornare allo scambio. Nello statuto che abbiamo fatto, nella casa che vorrei, tutti partecipano perché di fatto tutti partecipano e completano il fenomeno della musica. Lo completano attraverso che cosa? Attraverso la cosa più profonda che esiste: il silenzio condiviso. Come dico spesso in alcuni miei concerti: «Prendetevi la responsabilità del silenzio del vostro vicino. Non del vostro», un po’ petrolinianamente. Però sei tu responsabile, sei tu che devi spiegargli cosa succede a stare in silenzio, a non guardare il telefono, a spegnere il telefono. […]”

Il testo descrive la sua musica itinerante nella quale si evidenzia l’etica che predispone l’offerta di sé, fino a simulare la propria scomparsa, ma, che in realtà, nell’atto sonoro, ritorna tutto se stesso, pieno con la traccia di tutti, assisi lì e qui in un convivio continuo. La relazione è attorno e oltre la comunicazione inter mediatica del clic e della condivisione, nell’attimo che nega di essere una successione di un atto in un discorso sordo.

Ezio Bosso, invece, non usa complementi di specificazione od oggetto. No. Si lancia dentro l’atto musicante e se si è musicisti e pubblico in quel momento, è impossibile non seguirlo, e quindi dimenticare tutti noi stessi, nel seguire la corrente di questo tempo che trascende il singolo giudizio. Tutti perennemente inadeguati per la spinta irresistibile a questo bello primordiale, e mai compiuto.

Che bel dono che ci hai fatto con il tuo vivere Ezio Bosso..

§CONSIGLI DI LETTURA: KARIN BERGOO. L’ARTISTA CHE MODELLA IL FUTURO

Karin Bergöö Larsson, fotografata attorno al 1882

La vita e la creatività di Karin Bergoo attraverso i quadri di suo marito Carl Larsson. La donna che ha concepito una nuova estetica della famiglia.

Consiglio di leggere l’opera di Karin Bergöö 83 ottobre 1859, Örebro, Svezia – 18 febbraio 1928, Fogdö parish) attraverso i quadri di suo marito Carl Larsson (28 maggio 1853, Stoccolma – 22 gennaio 1919, Falun, Svezia): fu un pittore e ritrattista famoso per la pittura della tecnica ad acquerello, adattata anche per le nuove forme di stampa che si approssimavano alla fine del 1800 e agli inizi del 1900. Versatile e innovativo nel dipingere su tele di diverse dimensioni, denso di immagini innestate in sequenze che furono poi dilaganti per tutto il secolo nei cartelloni, nei calendari e nei fumetti.

– 

Carl Larsson ritraeva principalmente tratti di vita quotidiana e famigliare. I soggetti erano la moglie Karin,  i figli e la casa dove risiedettero dopo un anno di matrimonio e di ritorno da Parigi, nel piccolo villaggio svedese di Sundborn, presso Falun. L’umorismo e la leggerezza erano i tratti distintivi del suo estro pittorico. La moglie nella storiografia e nell’opinione comune è ricordata come una madre di sette figli energica, dotata di capacità organizzative notevoli, anche nel seguire l’educazione e la formazione della prole in modo avanzato assieme al marito.

Di solito è scritto quasi sempre in una o due righe, che anche Karin Bergöö fu una pittrice e studentessa dell’Accademia Reale delle belle Arti, versatile per il suo estro artigianale e di arredamento. I testi degli ultimi due decenni,  mostrano invece l’influenza fondamentale che ebbe per il design e lo stile architettonico da interni per la Svezia, e successivamente per tutti i paesi del nord Europa.

Soggiorno
Poltrona per la lettura
Sedia da giardino

Verrebbe da pensare al detto ipocrita e omissivo “Dietro un grande uomo vi è una grande donna”. Carl Larsson per il contesto del periodo in cui visse, fu un uomo che oggi diremmo “femminista” e non tanto nei proclami, quanto nella vita quotidiana nel condividere tempo e lavoro con la moglie per la cura dei figli e della casa e nel dialogare tra pari in termini di arte, di produzione artistica, di creazione di manufatti utili per il quotidiano, e per l’educazione da impartire alla prole. Non basta però, la benevolenza di un singolo uomo. Sebbene Karin Bergöö fosse figlia di una famiglia agiata e di larghe vedute, che permisero a lei di studiare e di intraprendere anche l’attività di pittrice, gli spazi di autonomia economica e del diritto erano ben lontani rispetto alle prerogative maschili.

In altri termini: “Dietro un grande o normo uomo, vi è accanto una donna che è costretta a mantenere un passo indietro”.

Karin Bergöö concepì e realizzò nuovi modelli intimi e abiti per i propri figli e le figlie. Agili, funzionali per la vita all’aria aperta, e per i lavori e le attività quotidiane. Comodi ed eleganti in particolar modo per le figlie. E con lo stesso impegno si cimentò per vestiti più formali, anche per sé e suo marito che li raffigurò nei suoi dipinti con le sue famose scene di vita domestica.

Carl Larsson https://www.tuttartpitturasculturapoesiamusica.com

Dipinto di Carl Larsson del 1912 di suo figlio che studia. I vestiti e i mobili furono disegnati e realizzati da Karin.

Vi è un tema però che è lasciato solitamente nello sfondo: l’infanzia e l’adolescenza sono allungate e i figli sono considerati soggetti autonomi nel leggere, nel giocare, nello scoprire la natura con il gioco e lo studio. Vi sono scene in cui mangiano all’aperto su tavoli allestiti fuori casa, e anche nei pic nic, vestiti in modo elegante. Vi sono indumenti di mezza stagione per le passeggiate, per le letture, e quelli sportivi. Vi è una idea dell’adolescenza e della crescita che stava prendendo piede tra la fine dell’ottocento e all’inizio del novecento, come quella di Maria Montessori, per la quale il bimbo costruisce l’adulto dentro di sé e quindi è già un soggetto degno di rispetto nell’intendere con estrema serietà le sue attività quotidiane.

I vestiti ampi, chiari, multicolore, variabili nello stile in base all’età dei giovani e degli adulti, furono presi a modello dalla borghesia Nord Europea. Eleganza e leggerezza.

Figli in lettura nel giardino in estate, del 1916 di Carl Larsson.

Karin Bergöö progettò sedie, tavoli, armadi, seggiole, letti, con materiali poveri e di qualità con uno stile completamente diverso rispetto a quello tipico svedese che era plumbeo, monotono, grigio e marrone scuro. La comodità, la leggerezza e l’esplosione dei colori nella essenzialità e semplicità delle forme, furono gli indicatori che mutarono radicalmente lo stile del design svedese che si propagò poi in tutto il Nord Europa.

Emerge una fusione dell’arte giapponese e degli stili modulari inglesi e in questi lei elaborò trame astratte per le tende, per decorare gli armadi, i divani, le poltrone, immettendole in forme curve di Art Noveau.

Lei cambiò l’idea dello spazio domestico: assieme al marito, ad esempio, tolsero le tende e alcune pareti divisorie nel soggiorno, per porre nel centro un piano rialzato, confinandolo con la mobilia. E lì ci si poteva riposare o mangiare, lasciando i quadranti esterni per altre attività, concedendo una intimità nuova in cui la casa diveniva un luogo in cui moltiplicare le attività ricreative e di riposo, e il tutto mantenendo giochi di luce, tal, da non creare zone di ombra aggiuntive.

Karin Bergöö ha inteso il suo vivere in una espressione artistica che ha definito una nuova sociologia della famiglia, e ha perfezionato nella pratica quotidiana le nuove proposte pedagogiche del periodo. Cambiò il rapporto tra il dentro e il fuori, tra il domestico e il pubblico. Le attività fino ad allora reputate non degne di nota dal punto di vista della cronaca e dell’arte, divengono il soggetto principale che è la fonte di nuovi modelli del vivere nel mondo, e di nuove concezioni nell’elaborare manufatti.

Lei dipinse pochissimi quadri rispetto al marito, ed è ovvio: aveva più incombenze quotidiane. Inoltre la società svedese dell’epoca non è che fosse così aperta ad accettare una imprenditrice e artista autonoma.

Carl Larsson è famoso per aver ritratto la sua vita famigliare, e si sorvola sull’elemento sotterraneo: il mondo ritratto fu CREATO da Karin Bergöö. Non solo come mera organizzazione dei tempi e degli spazi, non solo per aver ampliato uno stile e un’anima artistica alla casa, alla natura e agli ambienti sociali circostanti, e non solo per aver determinato nuove scansioni sociali dell’infanzia e dell’adolescenza. No. Non solo questo. Lei ha anticipato il futuro. Noi, vedendo queste scene di vita, abbiamo una sensazione di felice nostalgia e di famigliarità. Non può che essere così, perché l’opera di Karin, certamente non l’unica, è un puntello della visione del mondo a noi contemporaneo.

Qui vi è un doppio inganno che è anche patrimonio dell’opera d’arte. Il pubblico che vede queste opere ritratte da Carl Larsson, sono dipinte, scolpite, cucite, segate, levigate da Karin Bergöö. Non sono dolci e infantili segni del passato che più non è, rispetto a una natura quasi edenica.

La natura dei boschi, dei giardini, dell’armonia che per noi sembra perduta, è invece una creazione nuova dell’uomo, anzi della donna contemporanea, che emerge in autonomia nei fatti, nella visione, nelle creazioni artigianali ed artistiche. È una visione estetica futura, a NOI contemporanea. La borghesia alfabetizzata, industriale nella suddivisione degli spazi e del tempo, nella concezione progressiva e sovrabbondante delle fasi di crescita.

L’estetica fornita da Karin Bergöö è subita da Carl Larsson nelle sue composizioni che mostrano un ambiente che poi divenne popolare nei fumetti, nei dipinti, nella formazione primaria di tutto il novecento. La fantasia e l’immaginazione di intere generazioni hanno attinto estro e creatività da questi luoghi, per comunicare immagini di sé che sono il tesoro della nostra crescita d’infanzia e delle età adulte.

Lei, vivendo, ha creato un futuro, che noi non approfondiamo e non riconosciamo, perché ne siamo totalmente immersi: è il nostro presente: l’apparentemente leggera apertura alla varietà delle forme del mondo con le quali noi riconosciamo il nostro corpo, come spazio di relazione di apprendimento nel gioco e nella individuazione delle future immagini di sé.

Lei è la testimone di una nuova estetica nel determinare le interazioni sociali all’interno dei processi di crescita in un mondo in fase di costruzione, dove lo spazio privato e lo spazio pubblico, ampliano le loro reti di significato in un contesto per noi contemporaneo.