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§CONSIGLI DI LETTURA: BRIGATE RUSSE. LA GUERRA OCCULTA DEL CREMLINO TRA TROLL E HACKER

Brigate Russe. La guerra occulta del Cremlino tra troll
e hacker di Marta Ottaviani, Ledizioni, Milano,  2022

Questo libro è necessario sia letto, perché è un esempio pratico dell’esercizio dell’onestà intellettuale applicata al codice deontologico di un giornalista, di colui e di colei che democraticamente offre spicchi dell’oceano diveniente del reale, in notizie e fatti tendenzialmente coerenti e ben argomentati, all’interno di uno spirito che rispetta il pubblico in una agorà democratica,

È stato concepito e realizzato dopo anni di studio e di ricerca e pubblicato appena prima della tragedia in corso, dovuta all’invasione dell’esercito russo nel territorio ucraino.

L’autrice Marta Federica Ottaviani si interroga sul suo lavoro, e da questa analisi impietosa offre uno squarcio sul processo di creazione della notizia e del dato, che è il luogo dove identifichiamo le nostre convinzioni e giudizi sul mondo.

La responsabilità attiene a un criterio di testimonianza del proprio lavoro, che è tale perché dignitoso nell’offrire il tempo che scorre, incarnato in eventi, sul quale accostiamo le nostre parole per ricostruire continuamente la nostra biografia.

L’elemento contingente è riferito alla strategia di guerra intrapresa da anni dall’attuale regime russo nel produrre notizie false, giudizi che descrivono il mondo in assetti artefatti, minare e orientare il consenso delle popolazioni estere all’interno delle proprie controversie partitiche, relative alla redistribuzione economica e alla politica estera.

In questo libro si respira aria trasparente e non offuscata da linguaggi sotterranei: mostrare a nudo il proprio operato nello scopo di porsi al servizio del pubblico, e non a considerarlo un oggetto di manipolazione, fino a usarlo indirettamente uno come strumento di guerra.

Non è solo una questione di Menzogne (o volgarmente fake-news). Il giornalista che reperisce le informazioni per produrre le notizie e il pubblico correlato, è sottoposto alla questione delle fonti, che a differenza del passato, non ha il rischio della penuria, quanto una sovrabbondanza illimitata, dove però sotto sotto vi è una ripetizione e un rimando continua da una all’altra. Il giornalista, se ha un’agenda ricca, come scrive Marta Federica Ottaviani, è una buona cosa. Oggi il giornalista ha a disposizione più documenti, gestiti da enti diversi (in teoria), più soggetti giuridici e persone con le quali richiedere le storie, i fatti, i documenti, i testi (cartacei, audiovisivi, digitali) in un’ottica comparativa. La loro massa, però, non è sufficiente a porre un giudizio di verosimiglianza rispetto a ciò che si pubblica.

I soggetti possono produrre notizie false, ridotte, censurate, disposte in modo artefatto. I mezzi di comunicazione di massa, ora, con i nuovi assetti tecnologici, oltre a moltiplicare la quantità sterminata delle note che informano un fatto, producono linguaggi e codici che viaggiano su forme di comunicazione inedite.

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Un altro aspetto, non distaccato, ma concomitante e integrato ai nuovi istituti atti alla produzione del fatto, dell’informazione, e del dato, riguarda la relazione tra essi, che non è più solo di semplice logica “vero-falso”, o di una catena binaria di causa ed effetto. Le dimensioni aumentano, e si incrociano, sicché il fatto sottende strutture informative evidenti e nascoste. La notizia non è più solo veicolo di comunicazione, ma sostanza. È la stessa struttura concreta del mondo dei giudizi che lotta all’interno di valori orientati verso fini e intenti emergenti in modo acefalo, o indotti dai cosiddetti “Stati Profondi” in competizione tra loro, sia all’interno di un organismo statale propriamente detto sia contro altri stati nel senso classico con il quale li intendiamo.

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Attraverso i mestieri di reporter, di ricercatore e di investigatore, Marta Ottaviani offre lenti di ingrandimento e codici di decifrazione di questo oceano in mutamento nell’indefinita moltiplicazione nei suoi effetti. Di più: con le cosiddette “intelligenze artificiali” (locuzione oramai metaforica che indica in questo caso la rete delle strategie manipolative) si hanno applicazioni sconosciute nella loro configurazione e nei loro effetti, da parte dell’opinione pubblica. E anche dal singolo che le realizza. Tutto ciò fa parte delle istituzioni immaginarie del senso che le società da sempre lasciano trasparire. Il punto però è che ora l’immagine è forzata a intesa come <realtà>. Il senso del mondo, dei buoni e dei cattivi, del tempo e della memoria, dura e ha valore solo all’interno di quella notizia, e rimane lì da solo, per lasciare il passo al successivo.

Ogni contingenza, essendo artefatta come totalità, permane esclusivamente per mezzo della violenza portata dal linguaggio assertivo che nasconde volutamente le sue premesse. Non si hanno soluzioni di continuità. Solo strappi di memorie e di giudizi, che vengono sparati come pallottole: è una guerra. È una guerra che dura da anni e che continua.

8-9 “[…] Il testo consta di quattro parti. La prima aiuta a collocare il fenomeno dal punto di vista storico e geopolitico. La seconda è dedicata alla cyberwar degli hacker, inclusi tutti i tentativi fatti per destabilizzare alcuni Paesi, soprattutto gli Stati Uniti. La terza è dedicata ai troll e a come vengono utilizzati i social per manipolare l’opinione pubblica e mettere in difficoltà gli avversari. La quarta, infine, è dedicata alla propaganda di Stato, più o meno esplicita. Un soft power che però, inteso nell’accezione russa, mira a far ritagliare spazi di manovra sempre più alti. Perché, mentre leggevo il materiale da cui è nato questo libro, una cosa l’ho capita subito: la Russia ha un modo di chiamare e interpretare i fenomeni tutto suo, spesso in netto contrasto con quello dell’Occidente. Per questo, il testo è diviso in quattro parti. L’obiettivo è descrivere l’approccio di Mosca alla Guerra del Terzo Millennio nel modo più esaustivo possibile. Si tratta, però, di un sistema di vasi comunicanti, che nella sua azione va avanti in contemporanea […]”

Il libro è dotato di precisa e puntuale bibliografia. Offre l’occasione per interrogarci su noi stessi, sulle sfide che stiamo affrontando ora e per quelle del prossimo futuro. Solo negli ultimi due anni siamo stati manipolati e bombardati da false notizie relative al Covid, ai vaccini, alle cause della pandemia, o all’offerta di teorie “complottiste” che hanno poi in fondo la caratteristica di deresponsabilizzarci e semplificare la realtà, individuandola sempre in un comitato notturno di figuri che ci vuole annichilire. Certamente esistono i nemici o attori che sono direttamente in conflitto contro di noi a livello economico, politico e strategico. Quello che bisogna avere in mente però, è che non è detto che questa guerra sia a capo di un pazzo, o di un mister x nascosto, che voglia annullarci: vi sono più attori, più cause, e i fini non sono univoci e immediati. Inoltre noi stessi possiamo essere uno strumento che paradossalmente va potenziato ed eterodiretto. Il rischio è quello trascorrere una vita a parlare per bocca di altri, inchiodati a pensieri e visioni del mondo monche, deficitarie, pericolose per noi stessi e gli altri.

§CONSIGLI DI LETTURA: LE GUERRE DI MUSSOLINI. DAL TRIONFO ALLA CADUTA

John Gooch Le guerre di Mussolini dal trionfo alla caduta Le imprese militari e le disfatte dell’Italia fascista, dall’invasione dell’Abissinia all’arresto del duce.

Titolo originale: Mussolini’s War. Fascist Italy from Triumph to Catastrophe, 1935-43 Original English language edition first published by Penguin Books Ltd, London Copyright © John Gooch, 2019 The author and illustrator have asserted their moral rights All rights reserved Traduzione dall’inglese di Marzio Petrolo, Micol Cerato, Cecilia Pirovano Prima edizione ebook: settembre 2020 © 2020 Newton Compton editori s.r.l., Roma

Il libro di John Gooch offre una ricca bibliografia riferita agli attori istituzionali implicati nelle vicende delle guerre d’Italia durante il periodo del fascismo. Un puntuale resoconto storico che snoda le fasi di preparazione, di inizio, di svolgimento e fine dei conflitti. Passa dal livello di diario, a quello di lettera, al riassunto di una riunione, al dispaccio, e alle riflessioni scaturite dalla lettura dei documenti storici che negli anni si rivelavano dopo la seconda guerra mondiale.

È utilissimo nell’approfondire il fascismo nella sua organizzazione militare ed istituzionale che pervadeva l’intera società italiana. Vi sono motivi storici per la rimozione di ciò che l’Italia e gli italiani furono in quegli anni nella messa in campo della politica coloniale, nelle repressioni interne, nella povertà, nel relativo miglioramento e progresso dovuto allo sviluppo tecnologico, e al lento ma continuo processo di alfabetizzazione, accompagnato da una limitazione ideologica e repressiva della libera ricerca e del libero pensiero. E ancora di più, nella nostra inclinazione ad abbandonare l’alleato di un’ora prima, per abbracciare il più forte che emerge nella contingenza.

Nel libro risultano tendenze di lungo periodo di noi italiani nella mancanza di organizzazione e della improvvisazione che si legano a una notevole creatività, associata però alla negazione della realtà dei fatti e dei propri limiti, per ottenere il consenso basato sulla suggestione, sulla bugia, sul plauso e sulla teatralità. Prevale in modo strutturale l’impreparazione, il clientelismo deleterio che premia figure analfabete, inadeguate, criminali e meschine. Sia chiaro: l’opera Benito Mussolini nell’accentrare il potere, inibire il coordinamento tra i vari corpi militari e nel disattendere i piani e i consigli preparati dai tecnici, dagli economisti, dai pochi generali valenti e onesti intellettualmente che lo criticavano nelle sue scelte portando argomenti chiari e coerenti, non è giustificata. No. Anzi: lui e l’apparato sono ancora più responsabili di aver portato a morire decine di migliaia di giovani consapevolmente e di averli lasciati allo sbaraglio senza armi, vettovaglie e indumenti.

La figura di Benito Mussolini risulta completamente inadeguata, limitata, folle nell’intendere la guerra, la tattica, la strategia. Considerando il contesto italiano deficitario di materie prime e di fattori di produzione siderurgici in una strutturale dipendenza dai capitali esteri, emerge l’ineludibile tendenza a finire nelle braccia della Germania durante il corso della guerra. Braccia velenose e crudeli.

Come in ogni guerra, in uno stesso esercito o battaglione vi sono atti di crudeltà e di orrore, assieme a quelli di eroismo, umanità e di fraterna compassione anche per i civili. Nel libro è descritta passo passo la nostra responsabilità, censurata nella memoria collettiva, della guerra di Spagna: fummo risoluti nella letalità e nella crudeltà, come nella guerra d’Etiopia. Nonostante tutto, però, a molti generali e alti funzionari delle istituzioni governative, fu chiaro che non eravamo in grado di sostenere una guerra contro le forze imperiali. Nel libro è trattata in parallelo l’invasione delle Jugoslavia, della Grecia e dell’Albania. E in ognuna di queste tragedie emerse rispettivamente l’orrore che compimmo, la valida resistenza dei greci e la nostra impreparazione che ci obbligò a richiedere l’aiuto della Germania. Fu l’inizio della fine che fu anche declinata nella ridicola invasione in Francia; ridotta a una serie di scaramucce nei confini, che causarono una seconda richiesta di aiuto alla Germania. Vi sono preziose pagine relative alla preparazione e alla conduzione della “gloriosa” campagna in URSS. Il disastro consapevolmente voluto.

I militari italiani al netto dell’impreparazione organizzativa e logistica di queste campagne di guerra, furono simbolicamente fucilati alle spalle dai generali; descritti uno per uno. Nonostante tutto, alcuni reparti delle forze armate italiane furono ammirati e rispettati sia dai tedeschi, come Rommel, sia dagli inglesi, in particolare gli alpini e i bersaglieri che combatterono con il nulla che avevano a disposizione.

Vi sono anche le descrizioni dettagliate degli scontri tra i croati e i serbi e tra questi, tra i cetnici, i repubblicani, i comunisti, i musulmani, gli albanesi, i kosovari e i montenegrini. Non furono   da meno anche loro nelle azioni crudeli. I fattori di quei conflitti sono utili a comprendere le instabilità politiche del presente in Europa.

È un libro veramente storico: una miniera per comprendere oggi e ieri, indirettamente anche prima del fascismo. L’autoritarismo. La formalità stucchevole e polverosa, quasi tenue che nasconde però il disprezzo totale per il popolo. Una nazione di mentalità signorile che tende ad accentrare il potere in pochi cooptati per la benevolenza da parte dei potenti, e che tiene il controllo verso i cittadini con un paternalismo a gocce da una parte e da una fredda autorità verso i sottoposti. Una mentalità signorile che fa la voce grossa con i più deboli, ma pronta a riverire chiunque gli si mostri di poco più forte. Compiacente verso il miglior offerente in modo sciatto, meschino, goffo e assurdamente controproducente.

Forse sono caratteristiche che si possono ritrovare ancor oggi.

È sorprendente come i pochi generali, nell’aderire al fascismo e alle sue caratteristiche più oscure, alla fine mostrando anche un amor proprio per sé e per la patria, opponendosi alla sciatteria guascona del regime e dello stesso Benito Mussolini, fossero rimossi immediatamente, inascoltati dai loro colleghi, i quali mostrarono un atteggiamento meschino e rivoltante nell’evitare le proprie responsabilità, accusando i propri sottoposti.

Leggendo questo lavoro imponente si prova vergogna per ciò che siamo stati, e compassione per le donne e gli uomini traditi e mandati allo sbaraglio. Un paese che uccide i propri figli e che nega una visione strategica per le generazioni future. E forse anche queste sono caratteristiche attuali.

Un libro di altissimo livello storico che, oltre a fornire un quadro a tutto campo delle relazioni sottostanti al fascismo durante la guerra, offre specchi caleidoscopici nel futuro, cioè nel nostro presente.

§CONSIGLI DI LETTURA: vita e destino

Uno struggente, continuo, poetico inno alla vita

È motivo di imbarazzo la volontà di scrivere qualche riflessione su “Vita e destino” di Vasilij Grossman nella ristampa del 2008, Gli Adelphi, Milano. Semplicemente: è un capolavoro monumentale. È un viaggio nell’animo umano: di ciò che più intimo abbiamo nello splendore e nella dignità del vivere di ognuno e del suo morire. In questo libro vi è la compassione, l’amore, l’odio, la bassezza e la meschinità, la crudeltà, l’assassinio voluto e progettato, l’orrore, il razzismo, la guerra, i lager, i gulag, la fame, la malattia, la speranza, la dolcezza, la voglia di amare se stessi, i propri cari, i figli e le figlie.

Fu terminato nei primi anni sessanta del secolo scorso. Vasilij Grossman combatté a Stalingrado durante la seconda guerra mondiale. Fu un giornalista, un saggista, un romanziere, un lettore attento dell’animo umano, un esperto di politica, e, per le sue esperienze, un profondo conoscitore della guerra e dell’oppressione. Scrisse diari e libri sulle vittime per opera dei tedeschi in URSS. Ebbe una lunga gavetta dura di sangue e di letture, di vita e di morte. Padroneggiava gli stili dello scrivere. Profondo conoscitore della letteratura russa e, nelle pieghe della censura sovietica, anche di quella degli altri paesi.

Il libro fu censurato dall’Urss e anche da noi, qui in Occidente. Da colui che visse Stalingrado, prima della guerra e dopo, e la censura di Stalin e di Krusciov. Si sente la Russia che è prima e continua a esserci nell’URSS. La Russia che non è solo dei russi, ma dei popoli che lì dimoravano nelle pianure infinite. Riformula continuamente la nozione di popolo, di epica, e della madre Russia. Non a caso è stato definito il libro che segue “Guerra e Pace” di Tolstoj, che in realtà il titolo dovrebbe essere “Guerra e vita”. Un libro imbarazzante per il mito del cuore del popolo russo e anche del nostro, di noi (non gli italiani, perché combattevamo con i tedeschi) alleati. Colpevoli di aver chiuso gli occhi sui lager e anche sulle epurazioni che dopo la guerra l’URSS intraprese contro coloro che professavano la religione ebraica.

Vasilij Grossman è consapevole che il processo storico sociale del nazismo non può essere semplicemente equiparato a quello del comunismo, ma, a costo di rischiare la vita o di finire povero e isolato (e ciò accadde, dopo i fasti e gli onori per le sue attività di guerra e di scrittura durante la guerra e nei primi anni successivi ad essa), volle affrontare la verità: la rivoluzione russa con Stalin e con l’URSS è stata tradita. I popoli dell’URSS dopo il nazismo vivono un comunismo che tale non è, perché in realtà ha un elemento comune con coloro che sconfissero in guerra: il totalitarismo che è basato sulla violenza. Ma, secondo Vasilij Grossman, l’uomo ha un anelito irresistibile alla libertà, perché ogni uomo è unico e irripetibile.

“Vita e destino” fu ripescato per caso, in una sola copia. E fu da monito per tanti scrittori all’epoca dell’URSS, come i fratelli Stugarskij che creavano copie nascoste e frammentate dei loro testi, per non farle sparire e diffonderle comunque, anche inviandole a editori che le avrebbero rifiutate (molti per non finire nei Gulag), con la convinzione che comunque sarebbero girate comunque.

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Il romanzo è uno struggente, continuo, poetico inno alla vita. La vita senza aggettivi, senza idee che pretendono di giustificarla, senza utopie che presumono darle uno scopo: la vita come dono. Questo lungo canto di sofferenza è una possente epica lirica che travolge qualsiasi narrazione ideologica, mostrandola piccola, statica e piatta nella sua visione del mondo.

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“Vita e destino” fa sentire i popoli delle steppe, tutti, non solo i russi e nelle sue pagine vi sono tratti altissimi di epica, lirica, mito, riflessioni filosofiche ed etiche profonde e capitali.

È impressionante la variazione degli stili letterari che compaiono in corrispondenza degli eventi, dei dialoghi e delle personalità dei protagonisti che sono tanti e tanti: sovietici e, ed è qui lo scandalo, anche i tedeschi. I tedeschi nella loro umanità come quella dei sovietici, sia nella loro terribile crudeltà sia nelle speranze, e nelle paure di alcuni.

Non è un libro da leggere in modo episodico e distratto. Il lettore sente i protagonisti vicino, nella loro carne, nel loro respiro, nelle loro gioie e dolori. Meravigliose le pagine dello struggimento d’amore, e terribili quelle delle azioni di guerra, vere, dure, crude, senza retorica. Ma, ancora di più, quelle relative ai lager e ai gulag. E da lì si comprende, perché nessuno, fino a che Vasilij Grossman fu in vita, volle pubblicare il romanzo. NESSUNO, ovunque.

Impossibile trascrivere un frammento di questo capolavoro: non rende giustizia a questo monumento sull’umanità. Veramente: questo è un libro che va vissuto integralmente, con tutto il proprio cuore.

§CONSIGLI DI LETTURA: la citta’ condannata

Arkadij e Boris Strugackij LA CITTÀ CONDANNATA Traduzione di Daniela Liberti

Titolo originale Град обреченный – The Doomed City

Strugackij, Arkadij. La città condannata (Italian Edition) . Carbonio Editore.

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Copyright © 1988, 1989 by Arkady & Boris Strugatsky © 2020 Carbonio Editore srl, Milano Tutti i diritti riservati Traduzione dal russo di Daniela Liberti Pubblicato con il supporto del TRANSCRIPT Programme to Support Translations of Russian Literature della Mikhail Prokhorov Foundation

Un libro destinato a non uscire secondo le stesse intenzione dei due scrittori. Dai contenuti e dalla trama, quando iniziarono a comporlo nel 1967 nel tempo dell’Unione Sovietica, e alla luce delle enormi difficoltà per pubblicare le loro precedenti opere, i fratelli Strugackij sapevano che sarebbero incorsi nella censura in una previsione ottimistica, se non in carcere, o direttamente nei Gulag. Le esperienze dei loro colleghi scrittori erano evidenti.

Come per i precedenti libri, spedivano in prima lettura ad editori fidati, i quali rispondevano di non poterli pubblicare, perché, nonostante i temi fantascientifici, lo stile che oggi noi diremmo distopico, i temi delle fiabe, la descrizione del vivere russo e dei popoli all’interno dell’URSS, vi erano critiche all’amministrazione, al vivere civile, alle leggi, agli scopi e alla logica stessa di un apparato che si diceva rivoluzionario da anni e anni.

Lo stile delle loro opere, e di questo romanzo, è ricco di variazioni tra il favolistico, l’umoristico, accompagnato da un’analisi fredda dei meccanismi del consenso, del potere, dell’asservimento. Nonostante che i temi siano dissimulati e narrati con il meccanismo del paradosso e dell’ironia, la critica emerge netta e dura. Anzi, proprio per lo stile apparentemente leggero, pazzo a tratti, e quasi da cabaret, che aveva la funzione di occultare la critica radicale all’URSS e in più in generale alla costruzione dei miti usati dal potere politico ed economico per asservire le persone, per contrappasso, si traduceva in una condanna senza appello.

Ecco perché spedivano comunque le loro opere: anche nel diniego, le copie passavano in una cerchia di lettori professionisti sempre più ampia, in modo che poi qualcuno di loro fosse stato in grado di stamparlo all’estero. Per molte delle loro opere così accadde. I due scrittori assunsero precauzioni da vere spie dei romanzi gialli, cercando di nascondere il libro e le versioni corrette. Lo rimaneggiarono fino al 1973. Poi finalmente riuscirono a pubblicarlo dopo il crollo dell’URSS, ma anche qui dissimulando in due parti, e riducendolo. Non si fidavano degli apparati che erano ancora presenti nella nuova Russia. Nel 2000 finalmente uscì una versione unica, ricorretta e limata.

La “città condannata” è l’URSS, anzi è ogni agglomerato statuale che dopo un presunto processo rivoluzionario, per tentare di sopperire alla contraddizione tra le teorie del mutamento e la volontà di rimanere stabilmente nei centri del potere, rende vuoti gli obiettivi e gli scopi, delineando la dichiarazione di una terra promessa sempre di lì da venire, per un uomo nuovo e una società nuova. Tutto è subito in vista della società dell’avvenire, e ognuno è un ingranaggio.  I fratelli Strugackij mostrano che l’insensatezza, l’assenza di ragionamento, le parole d’ordine vuote sono gli strumenti razionali e coerenti del potere che asservisce e che ha l’unico scopo di mantenere se stesso, vuoto, e rivestito di una promessa sempre futura.

Un libro complesso, durato trenta anni. Molte caratteristiche dei personaggi, dai tic, ai modi di dire ritornano continuamente, come un leit motiv di annuncio dei personaggi delle opere di Richard Wagner. Questa apparente ridondanza è dovuta anche alla ripresa di temi e dialoghi nell’arco di decenni, con pause dovute alla scrittura di altre opere. I personaggi sono descritti in modo fisico, carnale, dalla sporcizia ai tic. Si ha l’impressione di averli vicino, fino a sentire la puzza del loro sudore. Si conosce anche il modo di vivere dei russi, ma della Russia profonda, dalle loro bevande, agli strumenti di lavoro agricolo e di fabbrica, ai carri, e agli indumenti, dai riti e dalle ricette tipiche, anche dei popoli non russi dell’URSS. Questo libro mostra il grande arcipelago dei popoli di questa Unione imperiale. La loro commistione e l’evidenza di antichi conflitti.

Sono trattati i temi dell’amministrazione, dell’informazione, della violenza, della tortura, della carestia, della mancanza di libertà, del razzismo, dello sciovinismo, e del maschilismo: le donne sono trattate molto male, proprio da coloro che indicano nell’esperimento (la società rivoluzionaria comunista, socialista, non ha importanza, anche totalitaria in modo astratto) la volontà di perseguire l’uguaglianza per un uomo e una donna nuova.

Lo stile dei due scrittori è rivestito da una sintassi brillante che avvolge il lettore, e lo spinge ad andare avanti con un ritmo talvolta da fuochi d’artificio, oppure lento e riflessivo. Vi sono variazioni continue in un tema di fondo che fornisce il ritmo della scansione degli eventi. Le allegorie sono originali e comiche.

È il loro libro: l’opera che secondo gli autori non sarebbe mai potuta uscire. Completamente inattuale. E lo è ancora oggi, perché le riflessioni contenute sono vive nel nostro presente.

Secondo le analisi di questi anni il libro è catalogato nel settore della distopia. I due fratelli nel 1967 non avevano in mente tale termine. Comunque il libro è molto di più: uno scrigno che via via nelle sue secrete, mostra l’aberrazione di ciò che è ritenuto “normale”.

Un libro godibilissimo, ironico, d’avventura, e denso di temi.

Vi è un’analisi approfondita sul potere che asservisce, descritto con una ironia dissacrante: per togliere regalità al re, occorre che sia visto nelle sue concrete fattezze: ridicolo e nudo. La risata disvela l’orrore della apparente normalità e dell’accettazione di valori imposti e pienamente contraddittori nella loro formulazione.

I fratelli Strugackij perfezionano il loro stile, talvolta poetico, nel mostrare la normale violenza dell’assurdo che è il nucleo dell’attività politica e di indirizzo che pervade ogni amministrazione, fino a ogni modo di vivere del singolo. La denuncia di ciò è mostrata attraverso il lato comico dei tratti caratteriali dei protagonisti, oltre alle loro goffe e patetiche imprese.

La risata che condanna questa città.