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@12 PoeticaMente: Panoramiche contemplazioni

15 aprile 2014 

Esiste una giovinezza immaginata e collocata in un tempo, forse mai accaduto, dove il cammino, e la stasi su un gradino di casa, o in una panchina nella strada, o di un locale all’aperto, era più di un semplice stare o riposare.

Vi era l’eccitazione di incontrare amici e persone care, dopo un giorno di lavoro o di minimi impegni formali. Camminare a zonzo, indugiare in circuiti appena percorsi nel parlare o nell’osservare i passanti, era già una risposta momentanea alle domande inespresse dei sonni della notte e delle albe tormentate. Sia nel clima umido, ma di più per le giornate miti con il Sole infastidito dai pizzichi delle nuvole, spinte da venti dispettosi, si sorrideva appena usciti dagli spazi murati della mente e del corpo.

Gli eventi del passato anche se così non sono accaduti, però comparendo nel presente, si trovano a loro agio. Si vestono di un’armonia assonante tra le sensazioni del proprio corpo rilassandosi nel compiere azioni primordiali e con le emozioni che invocano una visione panoramica dello spazio circostante.

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Jean Béraud, Avenue Parisienne

Le contemplazioni offrono attimi d’esser lieti con la sensazione fisica di stare semplicemente senza chiedere il perché e senza concentrarsi sul come. La sensazione di respirare sorridendo nell’osservare i posti familiari e sempre omessi nelle faccende di perseguimento di scopi ben delineati, offre una appagante visione estetica che si tramuta in un immediato benessere fisico.

Questa sensazione ritenuta normale quando appare, e sempre perseguita nei luoghi dell’isolamento e negli spazi dell’angoscia, è l’espressione della contemplazione di essere distinti ma in assonanza con ciò che ci accompagna nel divenire di tutte le cose.

Compagnie

Siedo assolato
d’ombra coperta
con bevanda
d’oro colato
dalla fonte infinita.

Assenti freddure
congedano arie
granulate da
ipocrite pretese
di compagnie
inutilmente contese.

Contemplo pieno
di buona indole
ogni orma accaldata,
che sfiora nell’ombra,
piani lasciti
riflessi da schegge
della mia armonia.

Per ascoltare Buena Vista Social Club— “Chan Chan” Premi QUI

* 6 Special Guest: Choral allegories

April 10, 2013 

The painting of Jan Vermeer (Delft, October 31, 1632 – Delft, December 15, 1675). Allegory of painting, offers a variety of plans to interpret the art and technique of painting, in addition to the object represented. It is a relationship that for thousands of years by the mutants technological support, we always use: the cave, the totem, the television, the phone, the billboard. It’s almost natural look and contemplate. Of course, the artist takes a step forward in design and creation.

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Picture taken HERE

The picture shows a view of modern man conscious of being an autonomous entity of action towards an environment that it is ready to be evoked and imagined through the play of light and shadow.

This painting is an allegory and then each item that is pictured, invite a reference to a conception of the world, the role of the artist and the observer. What would you like allegories?

Who or what would you like to be in the picture? Or what would you like to do?

*6 Special Guest: Corali allegorie

10 aprile 2013  

Il quadro di Jan Vermeer (Delft, 31 ottobre 1632 – Delft, 15 dicembre 1675) . Allegoria della pittura, offre molteplici piani nell’interpretare l’arte e la tecnica della pittura, oltre all’oggetto rappresentato. È una relazione che da millenni attraverso i mutanti supporti tecnologici, noi da sempre utilizziamo. Dalla caverna, al totem, alla televisione, al telefonino, al cartellone pubblicitario. È quasi naturale guardare e contemplare. Certamente il pittore compie un passo innanzi di ideazione e creazione.

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Immagine presa QUI 

Il quadro mostra una concezione dell’uomo moderno consapevole di essere un soggetto autonomo di azione e giudizio, rispetto ad un ambiente esterno pronto ad essere evocato e immaginato, attraverso il gioco di luce e ombra.

Essendo una allegoria, ogni elemento raffigurato, invita un rimando ad una concezione del mondo, al ruolo dell’artista e di colui che osserva. Che allegorie vorreste?

Chi o cosa vorreste essere nel quadro? Oppure che vorreste fare? 

 

# 14 Contamination: An answer of the East

April 3, 2013 

Of course the West that anticipates and provides for the course of events on Earth, it is now considered the most effective and consistent way to appear. The problems, however, sometimes arise in considering the East, such as India, for example, a remnant of our action and knowing. As if the lands where the sun rises, they said it all.

The poems of East how I respond to the world offered by the poems of the West? What they say to the emotional style of the West? How do you respond Rabindranath Tagore?

One of the many responses came from Rabindranath Tagore, born in 1861 and died in 1941, the poet was awarded the Nobel Prize in 1913, musician, composer, painter, educator and philosopher Indian primary protagonist along with Mahatma Gandhi, including religious movements, political and social . Tagore uses the tools of the West, but he attempts a poetic language that Buddhism takes the idea of ​​a separate nature from Nirvana and that makes contradictory picture of Western history as a struggle for biological life.

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Rabindranath Tagore image taken HERE

Gitanjali VII

MY song has put off her adornments.
She has no pride of dress and decora-
tion. Ornaments would mar our union ;
they would come between thee and
me; their jingling would drown thy
whispers.

My poet’s vanity dies in shame before
thy sight. O master poet, I have sat
down at thy feet. Only let me make
my life simple and straight, like a flute
of reed for thee to fill with music.

 

Tagore in the hollow tube is not the West that it runs the risk of being weak to be eradicated, or as the poem “Broom” by Giacomo Leopardi in which this flower tries to resist and to fight against forgetting.

Here the barrel is already full, because it takes on new forms and substances Sheet.

 

#14 Contaminazioni: Una risposta dell’Oriente

3 aprile 2014 

Da sempre il mondo visto come uomo e natura ha avuto denominazioni razionali con l’avvento del linguaggio. Però circa 2500 anni fa in Grecia, un modo di pensare oggi predominante e ora diffuso in ogni lingua, affermò l’Occidente. E immediatamente apparve anche l’Oriente, sebbene quest’ultimo non sapeva di esserlo.

Certamente l’Occidente nell’anticipare e prevedere il decorso degli eventi sulla terra disponibile è oggi considerato il più efficace e coerente modo di apparire. Talvolta però i problemi scaturiscono nel considerare l’Oriente, come l’India ad esempio, un residuo del nostro agire e sapere. Come se le terre dove sorge il Sole abbiano già detto tutto.

La poesia è produzione. Cosa rispondono le poesie dell’Oriente alle tecniche produttive delle emozioni e dei sensi proprie dell’Occidente?

Una delle tante risposte proviene da Rabindranath Tagore, nato nel 1861 e morto nel 1941, poeta premiato con il Nobel nel 1913, musicista compositore, pittore, educatore e filosofo indiano, protagonista primario insieme al Mahatma Gandhi, anche di movimenti religiosi e politico-sociali. Il quale utilizza comunque gli strumenti dell’Occidente ma tenta un linguaggio poetico che dal Buddismo toglie l’idea di una natura separata dal divino nirvana e che renda contraddittoria l’immagine occidentale della storia come lotta per la vita biologica.

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Rabindranath Tagore immagine presa QUI

 

Da i Gitanjali

Il mio canto ha deposto ogni artificio.
Non sfoggia splendide vesti
né ornamenti fastosi:
non farebbero che separarci
l’uno dall’altro, e il loro clamore
coprirebbe quello che sussurri.

La mia vanità di poeta
alla tua vista muore di vergogna.
O sommo poeta,
mi sono seduto ai tuoi piedi.
Voglio rendere semplice e schietta
tutta la mia vita,
come un flauto di canna
che tu possa riempire di musica.

Dove qui la canna vuota non è quella occidentale che, flebile corre il rischio di essere estirpata, o come la poesia “Ginestra” di Giacomo Leopardi che resiste e sempre in lotta contro l’oblio.

Qui la canna è già piena: acquista nuove forme e sostanze sonore.

@ 10 poetically: The disorienting attractions

April 1, 2013 

The fear of loss sometimes comes from the dissolution of things and memories. And even more when we are unable to comprehend what appears. The absence of a response and the escape of meanings, causing paralysis. Despite all this we also try to give an aesthetically meaning that allows us to conceive of a range of possibilities to determine a space of existence in the future.

We are afraid of the attractions of the motion of the water and the earth, where they open the doors to the vortex and whirlpool. We run away from them, but our eye is attracted.

Stasis resulting from the awareness of the futility of escape and attraction towards the maximum danger, because we feel the suggestion of a new form of existence and knowledge of the world.

We should sit in the edge of the coast near the sea evoked by eddies. Let’s see, finally, the mirror of the infinite backdrop that is our fear. Eddy and fear are two abysses that meet swirling in the center of anxiety.
And being stuck, let us approach the arctic wind that lingers on our shoulders, which is contrasted by the warm current of the Sargasso, silver crackling and flaring of the north with the purple tones of the south, in our speck of existence.

Imagine a sailing winds that embraces all the drops as possible, like a sailor who seeks the route in the eye of the hurricane. Hurricane that is its own eye.

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“Wanderer above the Sea of ​​Fog” by Caspar David Friedrich (1774-1840) – Picture taken HERE

 To listen to “Into The Sea” by Sivert Hoyem click HERE

@10 PoeticaMente: Spaesanti attrazioni

1 aprile 2013  

La paura della perdita talvolta scaturisce dalla dissoluzione delle cose e delle memorie. E ancora di più nell’incapacità di comprendere ciò che appare. L’assenza di una risposta e la fuga dei significati causano la paralisi. Nonostante tutto cerchiamo anche esteticamente di attribuire un significato che ci permetta di concepire un ventaglio di possibilità, per determinare uno spazio di esistenza nel futuro.

Abbiamo paura delle attrazioni del moto delle acque e della terra, che aprono le porte al vortice e al gorgo. Fuggiamo da essi, ma l’occhio ne è attratto.

La stasi risulta dalla consapevolezza dell’inutilità della fuga e dall’attrazione verso il pericolo massimo, perché avvertiamo la suggestione di una nuova forma di esistenza e di conoscenza del mondo.

E allora che si provi a sedere nel ciglio delle coste a ridosso del mare evocato dai gorghi. Si veda lo specchio di quel fondale infinito che è il nostro timore. Due abissi che si incontrano vorticando nel centro dell’angoscia.
E impietriti, lasciamo avvicinare il vento artico che indugia sulle nostre spalle, contrastato dalla calda corrente dei Sargassi, crepitando colori argento del nord con i corrispettivi viola del sud, nel nostro fuscello d’esistenza.

E si acconsenta a trasfigurarsi nella vela dei venti e abbracciare tutte le gocce del possibile. Come un marinaio che cerca la rotta nell’occhio dell’uragano. Dell’uragano che è il suo stesso occhio.

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“Viandante sul mare di nebbia” di Caspar David Friedrich (1774-1840) – Immagine presa QUI

 

Per ascoltare “Into The Sea”  di Sivert Hoyem premere QUI

@ 9 poetically: Folly and celebration

March 28, 2013 

We want, in general, a complete sense that offers stability and that it confers to become a purpose that is in line with the cause, although it appears that manifests itself indefinitely. The variety and unpredictability are concepts that attempt to harness what we do not see and do not intend to.

We usually imagine a recipe, a formula and a belief that it is a shield to infinity appear. We sublime anguish towards becoming a tremor and crippling fall forever into nothing.

Everything in order, both in time, both in the report that goes from the origin to the end. Birth and death of the subject and the verb, soul and body, invite you to consider us in splits with a fake faith, agnostic, scientific, religious, we recomposed entirely or leave us in an indistinct appear that we will be silent and into oblivion.

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And the silence due to fear, pushes the imagination to invent other languages ​​that they are not so in the belief that a mechanical cause (genesis) is unquestionably the effect arrivals (dissolution). And we want other words, other sequences and suggestions. Other forms of suffering which are not the rationality of fear. A folly that multiply in the game other ways of becoming, for further shores of existence.

We want the folly that translated into two notes, gifts of faith multiply different sounds in an infinite composing that makes it suspended the silence of nothingness.

To listen to “La Follia” –  Arcangelo Corelli, click HERE

@9 PoeticaMente: Follia e celebrazione

28 marzo 2013 

Vogliamo, in genere, un senso compiuto che offra stabilità e che conferisca al divenire uno scopo che sia in linea con la causa, sebbene ciò che appare si manifesta in modi che il nostro linguaggio lo appelli come indefinito. La varietà e l’imprevedibilità costituiscono concetti che tentano di imbrigliare ciò che non vediamo e non intendiamo.

Immaginiamo solitamente una ricetta, un credo e una formula che sia da bastione all’infinito apparire e al timore della sua assenza. Abbiamo un’angoscia sublime verso il divenire e un tremore paralizzante verso il sospetto di cadere per sempre nel niente.

Tutto in regola, sia nel tempo, sia nella relazione che va dalla genesi alla fine. Nascita e morte del soggetto e del verbo, dell’anima e del corpo, invitano a considerarci in finte scissioni con una fede, agnostica, scientifica, religiosa che ci ricomporrà in modo senziente oppure in un indistinto apparire cui noi saremo senza dire e pensare e ricordare.

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Immagine presa da QUI 

E il silenzio dovuto al terrore, spinge la fantasia a elaborare altri linguaggi che non siano così meccanici nel credere che da una causa (genesi) si arrivi incontrovertibilmente all’effetto (dissoluzione). E vogliamo altre parole, altre sequenze e suggestioni. Altre forme di patire che non siano la razionalità della paura. Una follia che nel gioco, moltiplichi altre strade del divenire, per ulteriori sponde dell’esistenza.

Vogliamo la follia che tradotta anche in due note, regali la fede di moltiplicare differenti sonorità in un infinito comporre che renda sospeso il silenzio del nulla.

Per ascoltare “La Follia” Di Arcangelo Corelli, premere QUI

 

# 13 Contamination: the Passacaglia: The present and the past

March 26, 2013

In the curious and friendly gaiety that sometimes appears in walking into unknown territories, immediately after the first breath solitary, here flows the past who accompanies us on the trail. The crowd of possible events and those that occurred, offering a rainbow of emotions, as this Passacaglia from the Suite no. 7 Friedric George Handel arias which provides progressive, with a sequence of repeated notes in a similar manner to the art of fugue by Johann Sebastian Bach. In fact, we already have an idea of ​​where it will go the musical cell that is repeated in slightly different tones.

Listening and contemporary recollection of the previous plea, it vibrates in us with sweetness and nostalgia. The notes open in the run-up of the arches that fall like tears on smiles plucked harp. Any reason not close, because it starts as a step after the other in a staccato rhythm of a trail off in a more indefinite progression towards ourselves. In fact, the harp collects all the segments of the previous sounds.

Like a fountain that collects flows, so as soon as the water jet is finished, it reclines and is preparing to start a cascade of notes collected in the violins, which are ready to throw in the higher tones.

As the harp is ready to receive the new ad, after a brief suspension, so we astonished with wonder, we start the journey that accompanies us with new reflections of what we were.

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Georg Friedrich Handel portrait by Thomas Hudson in 1749.
Image taken from HERE

To listen to the Passacaglia from the Suite no. 7 George Handel Friedrich click HERE