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@15 PoeticaMente: un mostro nella norma

21 maggio 2013 

Jorge Rafael Videla Redondo (Mercedes, 2 agosto 1925 – Buenos Aires, 17 maggio 2013) è stato un militare argentino, che fu dittatore e presidente de facto del suo paese tra il 1976 e 1981, nonché responsabile di crimini contro l’umanità.
Il suo governo fu contrassegnato dalle violazioni dei diritti umani e da contrasti frontalieri con il Cile che per poco non sfociarono in una guerra. È stato condannato a due ergastoli e 50 anni di carcere per crimini contro l’umanità, tra i quali l’assassinio e la tortura di 30000 persone. Scontò la pena nel carcere Marcos Paz di Buenos Aires, fino alla sua morte.

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Videla. Immagine presa QUI

TU, Videla metti a dura prova la laica pietà per i morti. Troppo facile inscriverti nella categoria dei tiranni o dei dittatori sadici e abietti, o in quella degli esecutori freddi e inumani.

TU, le forze di repressione, gli apparati finanziari e industriali assieme ad elementi del clero e della media alta borghesia (come si diceva decenni fa) avete abilmente intrattenuto rapporti commerciali e politici internazionali per mantenere il potere.

TU e i mezzi di riproduzione culturale ed ideologica avete sfruttato il simulacro della guerra fredda tra Unione Sovietica e Cina contro USA ed Europa, traslando scenari politici nell’America del sud, per il semplice predominio. Infatti hai contribuito ad uccidere comunisti, socialisti, cristiani, libertari, liberisti, atei, agnostici, apolitici, anarchici, e persone che nemmeno sapevano dove fossero le due grandi superpotenze.

Ma non hai soltanto incarcerato, represso ed ucciso. Hai organizzato un efficiente e razionale sistema di soppressione delle persone e della loro rispettiva biografia. Hai rubato i loro figli piccoli e anche quelli che dovevano ancora nascere, aspettando che le madri in carcere partorissero per poi ucciderle, senza che il figlio potesse toccarle. Hai marchiato i nascituri con altre identità e li hai dati in adozione anche alle famiglie dei carcerieri. Beffa nella beffa questo sistema utilizzato anche da regimi dittatoriali del passato nazisti e comunisti come in Cambogia. Questo per sottolineare quanto queste parole siano abusate.

TU non sei stato un capo carismatico o emblema quasi sovrumano del male, come altri prima di te per i quali, in particolare per quell’austriaco, provo fatica a scrivere anche il nome. Anzi addirittura signorile e a modo nelle apparenze. Come al solito le biografie informali vociferano di qualche vizio. Ma in ogni caso il tuo corpo, la tua voce, la tua immagine non è eccezionale. Non si può neanche liquidarti come genio del male e credere che sia stata tutta colpa tua, affinché un popolo possa compiere un rito di sacrificio totemico del leader. Non si può neanche considerarti mediocre, perché intelligente lo sei stato.

Ed è questo il punto: né inumano, né sovrumano, né malato, né genio. E nemmeno semplice impiegato, perché di qualità ne hai mostrate anche dopo la tua deposizione e tarda incarcerazione per tutti questi ultimi trenta anni. Hai continuato, TE, e gli altri assieme a TE, a celare, ad arrecare violenze indirette nel velare la verità e mantenere ancora in sesto gli antichi apparati, seppur in forme diverse.

Ancora oggi la verità è violata. Non hai fornito ammissioni, anzi hai narrato di aver agito secondo necessità ed ordine. Nella norma. E senza mostrare una volgare ostinazione nella menzogna, non hai spiegato, ma coerentemente agito in modo discreto. E ogni tanto incipriandoti con la retorica per il bene del popolo argentino. Già: il popolo argentino!

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Videla – Immagine presa QUI  

TU, Videla, sei un problema per noi italiani, ancora di più che per le altre nazioni, perché alcune strutture ancora oscure nel nostro paese ti hanno aiutato. Ma questo è un elemento minore rispetto al dato di fatto che metà del popolo argentino negli anni ’70 e ’80 era ITALIANO. E tu sei presente anche da morto, perché tutto quello che avevi intorno, è qui in Italia. Noi non abbiamo fatto i conti con la nostra storia, avvolta in un apparente oblio che ci condiziona. Noi qui in Italia siamo schiavi di schemi e parole di decenni fa. TU sei un NOSTRO problema che continua.

TU non sei il male: lo hai accompagnato con discrezione e con sufficienti capacità. Consapevolmente hai arrecato dolore ogni giorno senza fermarti un secondo.

TU, anche da morto continui ad apparire come un rispettabile mostro nella norma.

@ 14 poetically: males in the mirror.

May 6, 2013

It sounds trite and boring to repeat it. Some of these killings have already announced before completion of their sad and then they are subsequently accompanied justifications that the blame due to unbalanced or marginalized.

But the bad man is a relative or trusted friend. The hypocrisy speaks of love and jealousy and it transposes it into a biological inability to restrain himself by the male. For sure it’s the woman’s body that continues to be violated after death in the images, in legal procedures and the reconstruction of the events.

We speak of an emergency. But it is not a phenomenon of today this murder with the obvious desire to annihilate a living being that is considered inferior by the violent as a mere object available.

These tragic events are narrated with shock and paralysis, and they are concluded with a general exhortation to understanding and combating of ‘phenomenon’.

The males refuse to turn over the matter and their victims: they are eclipsed.

Now, without invoking the common sense, intellectual honesty, the basic principles of ethics and law, it is sufficient for males to listen to your body.

Think about it, we males fugitives as if we were sprawled on the ground, undressed, with blood and urine, and the gaunt face in front of everyone, maybe neighbors who are scratching your head, sit down and nose and exchange phrases in the look for land , with the inevitable idiot which ranks near the cameras of some journalist. Think only physically in the cold, the stench in your body. Just this.

And of course everyone looks unhealthily the victim (on the street, in newspapers, on television) without thinking about the murderer.  Where is the murderess? It is the husband? The father? The brother? The victim in front of the public without compassion.

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Jakub Schikaneder, “Murder in the house”
– Picture taken HERE

Security is not everywhere: water, sun faded, sand and sea are already a hazard. And this is a lie: the one who generates life is offended by the complement of male generation that believes one unshaken principle.

She is alone: think of males in vain to ask for help to relatives, friends and judicial authorities. Imagine us walking the streets seeing everyone happy or upset to the everyday problems and feel marked and liable to be seized and crushed at any moment in front of indifferent gaze. Feel it in the stomach this horror. Listen in your veins awareness of being massacred in short, where even the crying will be punished.

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Jakub Schikaneder – Picture taken HERE

There are itchy hands? You feel the anger growing inside you? Here you multiply that feeling by a thousand in the stomach, knowing they can not do anything and that all this will explode inside. Imagine you how to get mangled trunks without memory in a dirty beach and desolate.

The red umbrella with traits defined as follows, with respect to the forms almost liquefied, picks up the warmth of the heart and the soul and reflects it to the surrounding environment. The rain does not refreshes: afflicts slowly to normality as an inevitable compulsion. The body of the woman and her walk are imposed by rains that cut and not soothe, like tears of acid. There is a mock sun and obscured by cultural requirements and power, which are passed off as natural and eternal.

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Andre Kohn – Picture taken HERE

Dear males think about the normality of every day, which is made of gray and oppression, like a simple to walk and dress imposed. Just think just that.

@14 PoeticaMente: maschi davanti allo specchio

6 maggio 2013  

Sembra banale e noioso ripeterlo. Alcuni di questi omicidi sono già annunciati prima del loro triste compimento e accompagnati successivamente da giustificazioni che imputano la causa a squilibrati o ad emarginati.

E invece l’uomo nero è il parente o l’amico fidato. L’ipocrisia parla di amore e gelosia e traspone il tutto in una incapacità biologica a trattenersi da parte del maschio. Di sicuro è il corpo della donna che continua ad essere violato dopo la morte nelle immagini, nelle procedure giuridiche e nella ricostruzione degli eventi.

E si dice emergenza. Ma non è un fenomeno di oggi questo assassinio con la volontà manifesta di annichilire un essere vivente, ritenuto inferiore come un mero oggetto a disposizione.

Questi tragici eventi sono narrati con sgomento e paralisi, e si concludono con una generica esortazione alla comprensione e al contrasto del “fenomeno”.

I maschi rifiutano la questione e la rivoltano verso le vittime: si eclissano.

Ora, senza richiamare buon senso, onestà intellettuale, principi fondamentali di etica e del diritto, è sufficiente per i maschi ascoltare il proprio corpo.

Pensiamoci, maschi latitanti, riversi a terra, svestiti, con sangue e urina e faccia macilenta davanti a tutti, magari vicini di casa che si grattano la testa, il sedere e il naso e si scambiano frasi fatte nel guardarci per terra, con l’immancabile idiota che si colloca vicino alla telecamere di qualche giornalista. Pensate solo fisicamente al freddo, alla puzza nel vostro corpo. Solo questo.

E ovviamente tutti guardano con morbosità la vittima (per strada, nei giornali, nella tv) senza pensare all’omicida. Dove è l’assassino? È il marito? Il padre? Il fratello? La vittima davanti al pubblico senza compassione.

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Jakub Schikaneder, “Omicidio in casa”
– Immagine presa QUI

Perché la sicurezza non è ovunque: acqua, sole sfumato, spiaggia e mare, sono già un pericolo. E questa è la bugia: colei che genera vita è offesa dal complemento di generazione maschile che si crede principio unico e indefettibile.

Si è soli: pensate maschi a chiedere invano aiuto a parenti, amici e alle autorità giudiziarie. Immaginate di camminare per le strade e vedere tutti felici o irritati per i problemi di ogni giorno e sentirvi marchiati e passibili di essere presi e maciullati in ogni momento davanti a sguardi indifferenti. Sentitelo nello stomaco questo orrore. Sentitela nelle vene la consapevolezza di essere massacrati a breve, dove anche il pianto verrà punito.

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Jakub Schikaneder – Immagine presa QUI

Vi prudono le mani? Sentite la rabbia dentro che cresce vero? Ecco moltiplicate questa sensazione per mille dentro lo stomaco, sapendo di non poter fare nulla e che tutto questo vi esploderà dentro. Rimanendo come tronchi martoriati senza memoria in una spiaggia sporca e desolata. 

L’ombrello rosso con tratti così delineati, rispetto alle forme quasi liquefatte, raccoglie il calore del cuore e dell’animo e lo riflette verso l’ambiente circostante. Questa pioggia non ristora: affligge lentamente nella normalità come una inevitabile costrizione. Il corpo della donna e il suo cammino sono imposti da piogge che tagliano e non leniscono, come lacrime di acido. In un Sole finto e oscurato di prescrizioni culturali e di potere, spacciate come naturali ed eterne.

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Andre Kohn – Immagine presa QUI

Cari maschi pensiamo alla normalità di ogni giorno, fatta di grigio e oppressione, come il semplice camminare e il vestito imposto. Basta pensare solo a questo.  

# 16 Contamination: appointments stolen

April 29, 2013  

The childhood, youth and adulthood are marked by rituals and sharing with their peers that permeate and strengthen ourselves and the past that lives with us. We are confident that occur in a similar manner to those of a little more ahead of us, accompanying safety and certain promises for the future.

It is not always so for the peoples of the Earth, and for individuals.

Those that promise, they can lie about moments of our lives and lead us in ways scornful and cruel sac, as if they were appointments stolen. Compared to the aspirations of every day, the dissatisfaction is winning. If we base the future and the image of our lives by virtue of what you promised yourself, the result will always be limited. Despite all this we can not say incontrovertibly to passively accept everything, because the environment and the men, however, can cause damage.

We succumb, despite the fact that the self-respect to stand circles with your fingers downward on the cliff into the abyss of the soul without hope. Aid to continue to imagine new lives, can be supplied by the example of those who, while living at the antipodes, through the weaknesses and failures, have managed to survive and ultimately to live.

Ko Un, Kunsan, August 1, 1933, is a poet, writer, essayist, playwright and painter South Korea, one of the most representative figures in contemporary South Korea.

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KO UN– Picture taken HERE

A KO was forced to learn the Japanese Empire during the Japanese rule, and then the Chinese language. He cultivates learning Korean anyway. When war broke out in 1950, he was shocked by the horror and attempts suicide. He saves and takes refuge in Buddhism. He begs and teaches free Korean language and art, and in addition he writes essays and poems. In 1962 he abandoned Buddhism, disillusioned by the corruption of the clergy. He reads foreign authors, and continues to write, alternating periods of prostration. Twice he attempts suicide.

But at the beginning of the 70s he continued confidence. He is responsible for human rights and became an activist against the Korean dictatorship and for this he was imprisoned several times and he was sentenced to life imprisonment in 1979, and also primarily for his literary and political.

In 1982 he gets amnesty. He falls in love and marries and starts a new phase of artistic production, publishing numerous works, ranging in different styles, receiving awards of any kind and repeated nominations for the Nobel Prize. The poetry, essays, plays, translations, has characterized his underground path of fall and rebirth.

From “Flowers of a moment” KO ONE

The soul of a poet

A poet is born in the spaces between the crimes,
theft, murder, fraud, violence,
the darkest part of this world.

The words of a poet insinuate themselves between the
expressions most vulgar and low,
in the poorest neighborhoods of the city,
and dominate for some time now.

The soul of a poet reveals the lonely cry of truth
emanating from the spaces between lies and evils of his time.
It is a mood beaten to death by everyone else.

The soul of a poet is doomed, there is no doubt.

And I listen to you and answer Ko Un.

The answers are due – Flax Milita

The testimonies of the suffering endured,
are required attention
for the lazy ears horror suffered.

The soul of a poet is obliged to ask for listening,
and if he receives it, he reveals the interstices of light
between walls without reflection, collected by anyone.

And then every rhyme in time crushed,
propagates in the faint wind waves rebel
to be reborn from the pain exhumed.

#16 Contaminazioni: appuntamenti rubati

29 aprile 2013 

L’infanzia, la giovinezza e l’età adulta sono contraddistinte da riti e condivisioni con i pari che permeano e consolidano noi stessi e il passato che vive assieme a noi. Confidiamo che avvengano in modo analogo a quelli di poco più avanti di noi, accompagnando sicurezze e certe promesse per l’avvenire.

Non sempre è così per i popoli delle Terra, e per i singoli individui.

Coloro che promettono, possono mentire su momenti della nostra vita e condurci in vie beffarde e crudeli senza uscita, come se fossero appuntamenti rubati. Rispetto alle aspirazioni di ogni giorno, l’insoddisfazione è vincente. Se si basa l’avvenire e l’immagine del proprio vissuto in virtù di ciò che da soli si è promessi, il risultato sarà sempre limitato. Nonostante tutto non si può affermare in modo incontrovertibile di accontentarsi, perché l’ambiente e gli uomini possono arrecare comunque un danno.

Si soccombe, nonostante che l’amor proprio cerchi di reggersi con le dita sul dirupo calante nell’abisso dell’animo senza speranza. Un aiuto per continuare a immaginare nuove vite, può essere fornito dall’esempio di coloro che, anche vivendo agli antipodi, attraverso le debolezze e le sconfitte, sono riusciti a sopravvivere e infine a vivere.

Ko Un, Kunsan, 1 agosto 1933, è un poeta, scrittore, saggista, autore teatrale e pittore sudcoreano, tra le figure più rappresentative della Corea del Sud contemporanea.

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KO UN – Immagine presa QUI 

Costretto a imparare il Giapponese durante la dominazione dell’impero nipponico, e poi la lingua Cinese. Coltiva comunque l’apprendimento del Coreano. Quando nel 1950 scoppia la guerra, sconvolto per l’orrore tenta il suicidio. Si salva e si rifugia nel Buddismo, e tra elemosine e insegnamenti gratuiti di coreano e arte, scrive saggi e poesie. Nel 1962 abbandona il buddismo, deluso dalla corruzione del clero. Legge autori esteri, continua a scrivere, alternando periodi di prostrazione che lo portano per due volte a tentare il suicidio.

Ma all’inizio degli anni 70 riprende fiducia. Si occupa dei diritti umani e diventa un attivista contro la dittatura coreana e per questo fu imprigionato più volte e condannato all’ergastolo nel 1979, anche e principalmente per la sua attività letteraria e politica.

Nel 1982 ottiene l’amnistia. Si innamora e si sposa. Inizia una nuova fase di produzione artistica pubblicando numerose opere, spaziando in diversi stili, ricevendo premi di ogni tipo e ripetute candidature al premio Nobel. La poesia, tra saggi, opere teatrali, traduzioni, ha caratterizzato il suo sotterraneo percorso di caduta e rinascita.

Da “Fiori di un istante” di KO UN

L’animo di un poeta

Un poeta nasce negli spazi tra crimini,
furti, uccisioni, frodi, violenze,
nelle zone più oscure di questo mondo.

Le parole d’un poeta s’insinuano tra le
espressioni più volgari e basse,
nei quartieri più poveri della città,
e per qualche tempo dominano la società.

L’animo d’un poeta rivela il solitario grido di verità
che emana dagli spazi fra mali e bugie del suo tempo,
è un animo picchiato a morte da tutti gli altri.

L’animo d’un poeta è condannato, non v’è dubbio.

—-

E io ascolto e rispondo a te Ko Un .

Risposte dovute. – Lino Milita

Testimonianze del dolore patito,
richieste sono d’attenzione
per orecchie pigre d’orrore subito.

L’animo d’un poeta è obbligato a chiedere ascolto,
e se lo riceve, rivela interstizi di luce
tra muri senza riflesso, da nessuno raccolto.

E quindi ogni verso nel tempo frantumato,
riecheggia nelle flebili onde del vento ribelle
per rinascere dal dolore riesumato.

@ 13 poetically: To be born from the wind

April 22, 2013 

Sometimes we complain about the winds and we consider them oppressive and annoying because they freeze the neck, or we want them in the warm and pleasant caress the cheeks. If then they spill splashing water, we respond with repercussions of ancestral curses.

The phenomena are expected and almost obvious from those accompanied the move. The wind passes and he has similarities with what is destined to disappear. It is the home state of the analogy between the word and the wind. We are solid, with our feet firmly on the ground. The horizon is the reference that provides and indicates the transition of the Sun and Moon, and the shape of the places where we ourselves transiting.

In Italy we depend on the winds of distant places. The alternation of heat and cold, where it is underpinned by seasonal cycles, it takes on different connotations for each year the winds that come from the Azores and from the Sahara.

The Azores anticyclone and high pressure African play continuously between them. Cleaning is one, and the other is wet. They appear exclusively, or coupled.

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We despise the air and see the clouds, but we depend on them. A variation or their whim, however, affects the way we live, rain or drought, or moisture. They delay the advent of spring, and anticipate the summer. They linger in the fall. Our way of life, from going out or not, the idea of cold and warm, our mood, depends on the unpredictable their incessant evolution.

The cold winds of the East as the Brujan are constant, precise, direct like a train, but they live in the house of winter. And here in Italy we have different perceptions. In the Tyrrhenian Sea to the Apennines holding back the winds of the East and those of the polar cold. The Azores anticyclone and high pressure African, give both cascades of moisture, in the Po Valley, Sicily and Sardinia. In the Ionian these two jokers quarrel with the shower heads of the Middle East, and their oscillating between drought or frost as if every time we had for the first.

The same glaciations have had easy game when the winds of the Azores have been lazy in the Atlantic and high pressure African, shy, remained in the Sahara. We draw from the fruits and thorns, sometimes we fight. But it is a rigged match. We are also made of wind, in the heart and in issuing of the voice, and in the interplay between the eardrum and Eustachian tube.

And of all the sorrows and pains, we sentiamoe The Wind That Shakes or pushes the branches, or that he travels and appears in the narrow streets and the walls of the houses, he informs us of the time, of our body that is made by him, and he leads us to the places still hidden from our sight.

We are nourished of the wind, we are in the wind, because he is an indicator of becoming and time. We, the men made ​​from water and dust, we are born with the wind.

By Rainer Maria Rilke (my traduction) 


 The awakening of the wind

In the middle of the night, sometimes, it happens
you wake up, like a child, the wind.
Only, slowly, he comes down the path,
and he enters the sleeping village.

He gingerly strip, until the fountain;
Then he pauses, unspoken, listening.
The houses sit pale, around;
and all the oaks are silent.

The poem is taken HERE

And the wind is always the child: he is born every time. He is not polite at first. He always wants to play. Wild, irreverent, mischievous, wretched occasionally, but he always brings countless gifts from one part of the globe.

To listen to “The Stone and the Wind” by Aldo Tagliapietra click HERE

@13 PoeticaMente: Nati dal Vento

22 aprile 2013 

Talvolta ci lamentiamo dei venti e li consideriamo opprimenti e fastidiosi nel gelare il collo, oppure caldi e gradevoli nell’accarezzare le guance. Se poi riversano scrosci d’acqua, restituiamo contraccolpi di maledizioni ataviche.

Fenomeni scontati e quasi ovvi quelli accompagnati dall’aria in movimento. Il vento passa e offre analogie con ciò che è destinato a sparire. È di casa affermare l’analogia tra la parola e il vento. Noi siamo solidi, con i piedi nella salda terra. L’orizzonte è il riferimento che offre e indica il passaggio del Sole e della Luna, e la forma dei luoghi dove noi stessi transitiamo.

In Italia dipendiamo dai venti di luoghi lontani. L’avvicendarsi del caldo e del freddo, puntellato dai cicli stagionali, varia e assume connotati diversi ogni anno per i venti che vengono dalle Azzorre e dal Sahara.

L’anticiclone delle Azzorre e l’alta pressione africana giocano continuamente tra loro. Secco uno, umido l’altro. Appaiono in modo esclusivo, oppure accoppiati.

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Noi che disprezziamo l’aria e il veder le nuvole, dipendiamo da loro. Eppure una loro variazione o capriccio condiziona il nostro modo di vivere, con la pioggia o la siccità, o con l’umidità. Ritardano l’avvento della primavera, anticipano l’estate. Si attardano con l’autunno. Le nostre scelte di vita, dall’uscire o no, dall’idea del freddo e del caldo, del nostro umore, dipende dalle imprevedibili loro incessanti evoluzioni.

I venti freddi dell’est come il Burjan sono costanti, precisi, diretti come un treno, però abitano nella casa dell’inverno. E noi qui in Italia abbiamo percezioni diverse. Nel Tirreno gli Appenini frenano i venti dell’est e del freddo polare. Nella pianura padana l’anticiclone delle Azzorre e l’alta pressione africana, come in Sicilia e in Sardegna, si attardano e regalano cascate di umidità. Nella parte ionica questi due buontemponi bisticciano con i soffioni del Medio oriente, oscillando tra siccità o gelo come se ogni volta per noi fosse la prima.

Le stesse glaciazioni hanno avuto gioco facile quando i venti delle Azzorre si sono impigriti nell’Atlantico e l’alta pressione africana, timida, è rimasta nel Sahara. Ne traiamo i frutti e le spine, talvolta lo combattiamo. Ma è un incontro truccato. Noi siamo anche fatti di vento, dentro il cuore e nell’emissione della voce, e nel gioco tra timpano e tromba d’Eustachio.

E di tutti i dispiaceri e dolori, sentire il vento che accarezza o spintona i rami, o che viaggia e appare tra i vicoli e i muri delle case, ci informa del tempo, del nostro corpo che da lui è formato, e ci conduce nei luoghi ancora nascosti al nostro sguardo.

Ci nutriamo di vento, siamo nel vento. Perché lui è un indicatore del divenire e del tempo. Noi, uomini fatti di acqua e di polvere, nasciamo con il vento.

Di Rainer Maria Rilke


Il risveglio del vento

Nel colmo della notte, a volte, accade
che si risvegli, come un bimbo, il vento.
Solo, pian piano, vien per il sentiero,
penetra nel villaggio addormentato.

Striscia, guardingo, sino alla fontana;
poi si sofferma, tacito, in ascolto.
Pallide stan tutte le case, intorno;
tutte le querce mute.

La poesia è presa QUI

E il vento è sempre bambino, nasce ogni volta. Poco educato all’inizio. Vuole sempre giocare. Selvatico, irriverente, dispettoso, tremendo ogni tanto, ma porta sempre innumerevoli doni da una parte all’altra del globo.

Per ascoltare “Nella Pietra e nel Vento” di Aldo Tagliapietra premere QUI

Contamination # 15: The race for Miguel

April 17, 2013 

The race evokes primal movements of every human being ….

But it is a fallacy! Up to 150 years before the use of plastics in the shoes, the ride was punctuated with steps, even barefoot. The very concept of destination was understood as a line run by an arrow shot towards a defined goal. But it was not so straightforward calculation and the manner of the way.

The race as a method and an expression of life and a conception of respect in the world is recent: it is not now runs to break down, kill, escape, raiding, arriving in a safe place, bringing to an end an office inevitable. Today we run for to express new conceptions of the body and to uphold freedom in harmony with everything that you come across. The races for runners who are not marches trample and stamp their feet.

It runs well who touches the ground. He enjoys the smile of the race with the others. The Marathon is the maximum expression of freedom and equality in a single gesture: the first who win the medal and the others who come after, all together. Freedom to run in safe ground in each country, that is all.

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Miguel Sanchez picture taken HERE

Benancio Miguel Sanchez was born on November 8, 1952, in Bella Vista, province of Tucuman, Northern Argentina. He loved life, athletics, Argentina. In the morning, at dawn, he went for a run. Train, work out, still training, night school to complete those studies that was not finished. He was a self-taught poet. His “Para vos athlete”, “For you, athlete,” was published by Gazeta Esportiva of São Paulo, December 31, 1977,

For you know that cold
and heat 
 of triumphs and defeats
losses that are not.

For you who have healthy body,
wide soul and big heart.

For you who have many friends and many 
 yearnings,
joy adult 
 and your child’s smile.

For you who do not know of frost or sun,
neither rain nor grudges.

For you, 
 athlete who walked countries and cities
States joining in your go.

For you, athlete, that you despise the war
dreams and peace.

Miguel loved the Argentine people, race, freedom and poetry. He was too dangerous for the dictatorship. They kidnapped him on the night of 8 January 1978.

#15 Contaminazioni: La corsa di Miguel

17 aprile 2013 

La corsa evoca movimenti primordiali di ogni essere umano….

Ma è un abbaglio! Fino a 150 anni prima dell’uso delle materie plastiche nelle scarpe, la corsa era intervallata con i passi, anche a piedi nudi. La concezione stessa della destinazione era intesa come una linea percorsa da una freccia scagliata verso un obiettivo definito. Ma non così immediato era il calcolo e le modalità del percorso.

La corsa come metodo ed espressione di vita e di una concezione rispetto al mondo è recente: non si corre ora per abbattere, uccidere, fuggire, razziare, giungere in un posto sicuro, portare al termine un ufficio inevitabile. Oggi si corre per esprimere nuove concezioni del corpo ed affermare la libertà in armonia con tutto ciò che si incontra. Le gare di podismo non sono marce che calpestano e battono i piedi.

Corre bene chi sfiora il terreno. Si gode nel sorriso della gara assieme agli altri. La Maratona è l’espressione massima della libertà e dell’uguaglianza in un solo gesto: dei primi che vincono la medaglia e degli altri che arrivano dopo, tutti assieme. Libertà di correre nella terra sicura di ogni paese, che è di tutti. 

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Miguel Sànchez immagine presa QUI

Miguel Benancio Sanchez nacque l’8 novembre del 1952,
 a Bella Vista, provincia di Tucuman, Nord 
dell’Argentina. Amava la vita, l’atletica, l’Argentina.
 Di mattina, all’alba, andava a correre. Treno, lavoro, ancora 
allenamento, scuola serale per completare quegli studi 
che non aveva finito. Era un poeta autodidatta. Il suo “Para vos 
atleta”, “Per te atleta”, fu pubblicato dalla Gazeta
 Esportiva di San Paolo, il 31 dicembre del 1977,

Per te che sai di freddo
e di calore 
di trionfi e di sconfitte
che sconfitte non sono.

Per te che hai corpo sano,
anima vasta e grande cuore.

Per te che hai molti amici 
e molti aneliti,
l’allegria adulta, 
e il sorriso del bambino.

Per te che non sai di gelo né di sole,
né di pioggia né di rancori.

Per te, atleta
 che traversasti paesi e città
unendo Stati nel tuo andare.

Per te, atleta, che disprezzi la guerra
e sogni la pace.

Amava la vita, il popolo argentino, la corsa, la libertà e la poesia. Troppo pericoloso per i dittatori argentini. Lo prelevarono nella notte fra
 l’8 e il 9 gennaio 1978.

@ 12 poetically: the panoramic contemplations

April 15, 2014

There is a youth imagined and placed in a long time, perhaps never happened, where the walk, and stasis on the steps of the house, or on a bench in the street, or a local pool, it was more than just a stand or rest .

There was the excitement of meeting friends and loved ones, after a day of work or minimum formal commitments. Walking strolled paths in the circuit just talking or to observe passers-by, this was already a momentary response to the unspoken questions of the dreams of the night and the sunrises tormented. Both in wet weather, but more to the mild days with the Sun bothered by pinches of the clouds, they are driven by winds naughty, we just smiled out from the walled spaces of the mind and body.

The events of the past even if that did not happen, though they appear in the presentee they are comfortable. They dress the consonant harmony between the sensations of your body relaxing in the primordial perform actions and emotions, which call for a panoramic view of the surrounding space.

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Jean Béraud, Avenue Parisienne

The contemplations offer happy moments with the physical sensation of being simply without asking “why” and not focus on the “how.”

If you looked at us smiling at the familiar places, almost always felt indifferent with respect to our common daily chores, we would have a fulfilling aesthetic vision that turns into an immediate physical well-being.

This particular sensation that is considered normal when it appears and that it has always pursued in places of isolation and anguish, is an expression of contemplation to be distinct, but in consonance with what accompanies us in becoming all things.

Affinity – Lino Milita 

I sit sunny
covered in the shadows
with drink
of gold is leached
from the infinite source.

The absent frosts
dismiss tunes
granulated by
hypocritical pretensions
affinity
that are unnecessary disputes.

I contemplate full
good-natured
each footprint hot,
she grazes in the shade,
leaving plans that are
reflected by splinters
my harmony. 

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