Tutti gli articoli di Lino

Tanti anni fa ho cominciato a scrivere poesie, per gioco, inconsapevolmente. Quei versi erano solo miei. Mi facevano compagnia, erano il mio modo personalissimo di esprimermi. All'inizio del 2012 ho cominciato a scrivere con più consapevolezza. Se nel mio primo periodo la mia espressione artistica riguardava la creazione al di fuori di me, ora la materia della mia espressione artistica sono io, le mie emozioni, le mie sensazioni. Un'introspezione dunque, profonda ma liberata. Ora voglio condividere. Ora posso svelare. Con i miei versi. Con le mie poesie.

§CONSIGLI DI LETTURA – Borderlife

“Borderlife” di Dorit Rabinyan Longanesi Editore, aprile 2016 traduzione di Elena Loewenthal, il romanzo è definito il moderno Romeo e Giulietta per via della diversa cultura che caratterizza i due amanti del libro.

America, 2003. Lei si chiama Liat e si trova a New York grazie a una borsa di studio della sua università israeliana, di Tel Aviv, che terminerà nel mese di maggio. Lui si chiama Hilmi: è palestinese e vive a Brooklyn praticando la pittura, sognando che sia il suo mestiere per abbandonare le lezioni di arabo che impartisce a diversi studenti.

Si trovano per caso insieme, per via di una persona che hanno come amico comune, si studiano, e nel pomeriggio che trascorrono in giro per la città nella loro testa passano tutte le differenze e le somiglianze che li stringono in una morsa. Liat viveva nelle città occupate qualche tempo fa dai palestinesi, prima che gli israeliani ci si insediassero. Hilmi abita a Ramallah. La sua famiglia vi si è trasferita scappando da un campo profughi. Nella mente di entrambi si affaccia in continuazione la possibilità di parlare della situazione spinosa che riguarda le loro genti ma che in qualche modo li fa sentire estranei, lì nella grande America che tutti accoglie.

Chiusi in casa di origine e della famiglia. Chiusi nella carta di identità del proprio io, della propria storia. E si incontrano muti e si amano, nonostante le pareti delle loro identità. Delle due case di origine Palestina e Israele in quarantena ultradecennale. Nella città di New York devastata dalle torri gemelle. Dalle torri fantasma, nelle strade aperte e ferite e loro aperti perché nudi. Una città nuda di quella via dove si incontrano. Destini di ferite intorno che cercano di darsi pelle e sangue. E vedersi tra il proprio io cieco.

“[…]

c’è sempre un bimbo che dorme e sogna il mare, quel mare di cui da ragazzo poteva cogliere appena un lembo, da lassù, al nono piano di un palazzo di Ramallah. Che questo amore sia un’isola nel tempo, si dice lei. Un amore a cronometro, un amore a scadenza, la stessa indicata sul visto, la stessa impressa sul biglietto del volo di ritorno per Israele, verso la vita reale.

[…]”.

Lui è al nono piano (il numero nove che ricorre nel libro), il piano del bambino che deve partorire in un palazzo, a Ramallah, mentre a New York le due gemelle sono morte anzitempo, in una via di New York di un amore a tempo, perché forse sterile. Loro sospesi. Lei ama la famiglia, e la patria, ma è fuori, senza identità, e anche lui. Lui dipinge un mare irraggiungibile perché confinato nel nono piano. E dorme in attesa di nascere. Non sa fare tre cose: non sa guidare, sparare, nuotare. Non impone, non uccide e non sa nascere. Le loro identità sono molte e rispecchiate dalla strada, fuori le case, senza chiavi e quindi senza una identità. Nella strada del cordone ombelicale.

Il giorno del loro primo incontro Hilmi perde le chiavi della sua casa e iniziano una ricerca forsennata per la via accanto alle fu torri gemelle e ripensano alla strada verso sud, chiusa con i confini della loro giovinezza di bambini perennemente in fuga. Lei con le spille per difendersi dagli operai arabi che costruivano scheletri di case, e lui anche da bambini ebrei. Le case della loro mente ancora in costruzione lì a New York violata con la distruzione delle torri. Che vanno in verticale, e ora anche nelle loro ombre orizzontali riversate nelle strade.

“[…]

Mentre Andrew, la sorella e l’amico per lo yoga inviano messaggi dalla segreteria che non possono venire, ecco lasciati lì da soli senza comunità che li raccolga nelle loro identità. Dicono il loro passato di esercito, di detenuto, di come cantano da una lingua all’altra, della frase dello scrittore Yesouha che la “«La musica è il linguaggio con cui l’anima parla a se stessa E si abbandonarono l’un l’altro e nell’altra: nelle lingue madri parlando sia arabo sia ebraico, lì nella sua casa, lei con il foulard viola intorno alle anche, nuda, balla sulle note di Rachid, e lui a gambe aperte sul letto la guarda. Tutti e due senza ruoli, ma tutto se stessi lì.

“[…]

L’inconfessabile senso di trionfo che ci prende quando siamo fuori, quando passiamo insieme per le strade, abbracciati, anonimi, due fra la folla. Lo sfavillio delle luci e l’animazione della città, un palloncino smarrito che sale sopra le teste della gente e noi che lo seguiamo con lo sguardo, e con il palloncino sale e volteggia anche il mio cuore che quasi scoppia di felicità, sale come quel palloncino, come quel punto argentato che sparisce lassù fra i grattacieli.

[…]

La sua mano è calma, sicura di sé, indugia da un seno all’altro. Con lo sguardo seguo il movimento circolare intorno al capezzolo, le sue dita e le macchie di colore che le costellano. Con stupore, con il fiato sospeso, le vedo passare sull’altro seno, cerchiarlo lasciando tracce di colore e strisce pallide lungo il cammino delle carezze, e un sussulto d’ansia mi lampeggia dentro, come una luce distante nella nebbia: siamo come quei colori – versati, mescolati tanto che non ci si riconosce più, verde, giallo e blu.

[…]

a volte sento che sto quasi diventando lui, sono così vicina a lui, dissolta in lui che posso quasi sentire cosa significa essere lui.

[…]

Lo avevo sentito tremare quando gli avevo infilato una mano nel colletto, lasciando scivolare le dita sui peli del petto. «Immersi nel presente, provvisori come la vita, come tutto il resto. Effimeri.»

[…]

Al notiziario dicono che è uno degli inverni più freddi e lunghi nella storia di New York, uno dei più nevosi di sempre. La prima neve è arrivata poco prima del Ringraziamento, poi è caduta svariate altre volte, in dosi che non si vedevano da ventidue anni, coprendo la città e accumulandosi sulle strade. Dalla fine di novembre sino ad aprile inoltrato, per più di cinque mesi New York è tutta bianca e grigia, sigillata dal gelo.

[…]

La neve che tutto copre e sospende del loro amore provvisorio.

Nell’ultima parte del libro ambientata in Israele, la divisione forzata impone che solo lei divenga l’io narrante, trasformando lo stile in un monologo sdoppiato e separato. Il monologo diventa in una meravigliosa poetica, il luogo di sospensione come era la città di New York. Ancora qui emerge la necessità di staccarsi dai limiti fisici imposti dalle barriere e dai divieti. Ed ecco che in quei nuovi luoghi della mente, entrambi continuano a spogliarsi dalle identità nel riappropriarsi dei mondi lontani, ripartendo dall’infanzia, rimanendo però nella consapevolezza della provvisorietà  e [Buona lettura …].

L’amore oltre le identità

#RACCONTARE LA SCRITTURA. QUINTA PARTE.

Dal mese di dicembre 2018 al mese di gennaio 2019 mi fermai per saturazione e per dedicarmi ad altre attività. L’insoddisfazione riprese. Ricominciai a scrivere nel mese di febbraio 2019 e nel mese di marzo del 2019. Arrivai alla fine già riposta nei mesi precedenti, scrivendo una o due pagine al giorno, che risultarono più dense, coerenti e lineari. Mi imposi di non pensare a ciò che fu scritto in precedenza, confidando nel flusso del mio inconscio nel mantenere la trama, cioè nello scriver facendo.

Nel mese di aprile 2019 ricominciai dalle pagine con la data del giorno 1 settembre 2017. A parte le prime pagine che erano già strutturate perché tante volte immaginate negli anni, mi resi conto che un taglio netto di intere parti, avrebbe comportato una soluzione pigra e ottusa. Dovevo, invece, decantare ogni riga, analogamente al vino e all’aceto, trasferendole in altre botti e cisterne sintattiche, depurandole per ogni passaggio.

Ricopiai il testo in un’altra cartella denominata “Secondaversionlibroeaprile2019”.

Nei primi giorni di aprile 2019 cominciai a riscrivere trasformando, se necessario, le parafrasi e le mie introduzioni in dialoghi, con la postilla di porre in risalto la fisicità, il tratto e le caratteristiche dei personaggi. Al lettore occorre fornire la possibilità di percepire senza sforzo il personaggio nella sua interezza, che naturalmente si svela e si forma attraverso gli eventi in un lento e costante cammino, senza sosta.

I personaggi dovevano essere caratterizzati maggiormente nei tic e nelle loro movenze sporadiche per fornire indizi circa gli avvenimenti futuri. Tutto ciò era accompagnato dalla correzione dei refusi più grossolani e dall’analisi delle ripetizioni. Quando notavo che in due o tre pagine si ripetevano i concetti, mi imponevo di non cancellarle, dandomi il tempo di comprendere il motivo della mia ostinazione a indugiare in quei luoghi retorici. Quasi sempre nella lettura del giorno dopo, rilevavo temi nascosti, fino a quel momento impossibilitati a emergere. Da questa analisi retrospettiva le centinaia di pagine dei primi capitoli furono condensate in stesure più ordinate.

Nel mese di maggio 2019 procedetti più velocemente. Negli ultimi giorni del mese mi fermai per analizzare la scansione degli eventi, spostandone alcuni che reputavo non conformi alla logica della trama. Configurai una prima linea dei capitoli, disponendoli in temi omogenei. Ne primi giorni di giugno, arrivai quasi alla fine.

Ricominciai daccapo in una nuova cartella denominata “Terzaversionelibrogiugno2019”. Affinai ancora di più i dialoghi. L’opera di sintesi continuò tra gli stessi e le descrizioni. Mi imposi di ridurre i miei interventi diretti per trasformarli o in dialoghi o in una singola frase di un personaggio. La mia precedente attività poetica mi aiutò nel gestire la tensione per sintetizzare il ritmo degli eventi. Parallelamente continuai a correggere la sintassi, nel tentativo di alzare il livello dello stile narrativo.

Nel mese di luglio 2019 ricominciai daccapo con una nuova cartella denominata “Quartaversionelibroluglio2019”, – ovviamente conservando tutte le altre – e affiancando le nuove date alle precedenti, come una collana temporale. Ogni testo aveva all’inizio date che partivano dal 2017 fino al 2019. Nel mese di luglio 2019 mi sentivo in stato di grazia. Avevo la sensazione che gli stessi personaggi mi stessero indicando le correzioni, le piccole aggiunte e le condensazioni. Emergeva un ritmo della narrazione non più episodico, ma correlato per ogni paragrafo. Condensai moltissimo, senza programmarlo. In questa fase fui attento a togliere le frasi gergali. Mi accorsi che inconsciamente usavo dei “leitmotiv”, cioè riusavo frasi, modi di dire, locuzioni che mi permettevano di ritornare su ciò che era sedimentato da settimane. Scrissi locuzioni del tipo: “sarebbe stato” – “come” – “fosse stato” – “avrebbe” – e tante altre.

“Perché li usavo?”

Interpretando foneticamente i dialoghi e i personaggi, mi davo inconsciamente una cadenza per connettere i periodi in un flusso continuo paratattico. Dovevo, quindi, trasformarli in una sintassi lineare, perché l’ipotetico lettore non è nella mia testa e in particolare nella mia sfera emotiva. L’autore distaccandosi dal testo, bussa alla porta del pubblico porgendo le pagine e i segnalibri, ma rimanendo fuori dall’uscio.

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Nel mese di luglio 2019 andai velocissimo, nonostante non badassi al tempo.

Nel mese di agosto 2019 scrissi un’altra cartella “Quintaversioneagosto2019”. Parallelamente all’opera di condensazione, affinai lo stile e la sintassi e scrissi anche le parti lasciate in sospeso. Nell’ultima decade di agosto scrissi un’ennesima cartella “Sestaversioneagosto2019”, e ricominciai daccapo, delineando i capitoli con i nomi che finalmente avevo individuato. La struttura era fitta di intrecci: era giunto il momento di semplificare i dialoghi. Ricominciai leggendo e reinterpretando anche in piedi ogni fase, adeguando la prosodia di ogni parlante in una fisicità sempre più spinta per offrire una densità maggiore di sensazioni e concetti in un modo più leggero. Nuove sintassi apparvero nella scrittura condensando alcune mie digressioni superstiti, incastonandole tra i dialoghi, affinché apparissero conseguenti al flusso degli eventi.

La redazione della “Sestaversioneagosto2019” continuò per tutto il mese di settembre 2019. Copiai il testo in un’altra cartella denominata “Settimaversioneottobre2019”. Iniziai daccapo stavolta interpretando la parte del redattore di giornale. Considerando i diversi stili di scrittura in base agli eventi e ai personaggi, modulai la prosodia, distaccandola dal mio ritmo nel parlare e nel muovermi. Analogamente a un’autovettura che usciva da un autolavaggio, ne intravedevo la carrozzeria a lucido, senza le mie orme.

La nuova cartella “Ottavaversionenovembre2019” fu pronta per ricominciare daccapo una feroce correzione della sintassi, accompagnata però da una giustapposizione logica degli eventi tra un capitolo e l’altro. A malincuore abbandonai alcune parti che avrebbero appesantito la linea degli eventi. Emerse la nausea: buon segno!

Era ora del congedo. Non sentivo più nessuno dietro le spalle. Mi ridussi a esser un redattore freddo e distaccato. Durante la metà di novembre 2019 scrissi ancora una “Novaversionenovembre2019”. Iniziai dall’ultimo capitolo a ritroso. Sintetizzai la sinossi iniziale di due anni prima, con l’aggiunta dei nomi che avevo deciso per i protagonisti. Inviai il testo per un controllo redazionale esterno nel mese di dicembre del 2019. E questo fu il trapasso: il libro è distaccato da me.

#RACCONTARE LA SCRITTURA. QUARTA PARTE.

Vi sono molti manuali per scrivere un romanzo: dal numero delle battute, dal ritmo di scrittura, dal consiglio dei tempi di pausa e di rilettura, dei tempi di risistemazione dell’intero impianto che via via si costruisce, dall’attenzione verso lo stile. Lessi così tanto nei decenni passati che nel momento di scrivere, invece non badai ad alcuna regola manifesta, generando un flusso, dotato, però, di trame articolate. Fu un indicatore che confermò di aver interiorizzato l’abissale mole di nozioni relative alle tecniche di composizione che mi paralizzò ripetutamente negli anni. La fretta fu il primo nemico. Anche scrivendo con frenesia, dovevo dimenticare l’orologio e le misure.

Nel mese di gennaio 2018 avevo una quantità di materiale spropositato per qualsiasi romanzo: centinaia e centinaia di pagine. Non volli contarle, avendole suddivise per settimane scrivendole con caratteri <Times New Roman> da 12, quindi molto più piccoli di una pagina standard di un romanzo. Avevo oltrepassato vistosamente il migliaio di pagine e con quello che mi mancava ancora e ripensando agli appunti degli anni precedenti, mi rifiutai di praticare qualsiasi somma parziale. Mi fermai, perché vidi che anche correlando alcuni argomenti con gli appunti degli anni precedenti, avrei offerto un’enciclopedia. L’elemento positivo emerse dalla consapevolezza d’aver creato un mondo: l’orizzonte degli eventi fu delineato.

Ricominciai a immaginare i luoghi dove i protagonisti in modo verosimile potessero agire e dialogare, oltre quelli che avevo introdotto all’inizio del mese di settembre 2017. Rividi il testo non indulgendo in pigre o mirabolanti soluzioni di svendita. Tali pretese solitamente si riducono in basse seduzioni per l’eventuale pubblico, ammiccando ad esso, nell’offerta di testi banali: vuoti di senso e di empatia. Dovevo seguire una linea coerente, dotata di livelli semantici paralleli che fossero letti con leggerezza, avendo nel contempo più chiavi sotterranee di lettura. Tutto doveva esser mostrato in modo indiretto, ma coerente e quindi con un tratto non episodico, mantenendo segni ancor più profondi con l’intelaiatura del libro. Di schemi già ne avevo troppi: dovevano soltanto esser richiamati nello <scriver facendo>.

Ricominciai daccapo nel mese di febbraio 2018, riprendendo le prime pagine. Mi dedicai a nuove recite solitarie dentro casa, parlando con i primi protagonisti delle pagine iniziali, chiedendo se i nomi fossero congruenti alla loro personalità e se il loro corpo fosse stato descritto in modo adeguato. Interrogai anche i luoghi descritti ristudiando atlanti, mappe, libri di storia online e di carta, valutando il clima, l’orografia, i luoghi urbani e non urbani. Recitai intavolando dibattiti anche con i loro tic e con i loro idiomi. E con le imprese di febbraio 2018, riscritte in una nuova cartella, sovrapponendo le nuove date di revisione, a casa non mi è venne a trovare più nessuno, essendo tutti molto preoccupati delle mie condizioni psicofisiche!

Cambiai alcuni nomi ai personaggi e attraverso il mio corpo, riflettei le loro movenze e qui l’attività del poeta mi aiutò nel manifestare fisicamente le loro forme. La scelta di alcuni tratti morfologici, comunque, non fu a caso, perché derivarono dai rispettivi luoghi di provenienza. Notai che alcune fasi erano monche, quindi nel testo aggiunsi richiami tra parentesi quadre che, come i messaggi in bottiglia, avrebbero dovuto indicare l’intento di sviluppi ulteriori, l’impegno a istituire nuove correlazioni con altre parti dello scritto e il compito di approfondire gli argomenti ritenuti imprecisi. Altre annotazioni valutarono parti del testo eccessivamente didascaliche, o involute in un linguaggio tecnico, riferito ai temi in oggetto di discussione. Nelle note scrivevo insulti verso me stesso, quando rilevavo frammenti di una prosa versificata. Nella seconda metà di febbraio del 2018 e per tutto il mese di marzo 2018 (inframmezzato da altre attività di scrittura), sviluppai le situazioni intermedie che in precedenza reputai monche. Il risultato fu che altre decine e decine di pagine si sommarono alle precedenti.

Nel mese di aprile 2018 mi bloccai. Scrissi quasi due o tre pagine, con conseguenti crisi depressive, fortunatamente di breve durata, perché compresi che l’inconscio mi stava suggerendo di riapprofondire alcune sezioni ancora non ben connesse con le nuove linee di sviluppo, in particolare con le vicende dei personaggi appena introdotti.

Il primo giorno di maggio 2018 ricominciai a scrivere avventurandomi in sentieri con personaggi non ancora emersi. Li salutai presentandoli, e parallelamente consolidai le schede dei personaggi precedenti, con riferimento ai ruoli, alle caratteristiche fisiche e psichiche, raccogliendo indizi circa gli eventi futuri. Scrissi in una situazione di libera leggerezza, senza preoccuparmi di dover terminare. Nei mesi di maggio, giugno, luglio e agosto 2018, al ritmo medio di una pagina o due al giorno, andai avanti. La trama divenne più densa e controllata. Scandivo i passi. E finalmente i dialoghi tra i personaggi assunsero una quota preponderante.

La qualità di un romanzo risalta principalmente dai dialoghi. Finalmente i personaggi agivano senza mie spiegazioni collaterali da voce narrante. Iniziavo a congedarmi.

Nei mesi di settembre e di ottobre 2018 proseguì avvicinandomi agli eventi finali. Mi fermai, perché mi accorsi di subire la fretta, atteggiandomi a un esecutore che chiude una fredda pratica amministrativa. Non potevo truffare il lettore. No. La fine doveva essere coerente con le ipotesi iniziali, determinando così una trama che mantenesse la tensione e la spinta a continuare a leggere, senza effetti speciali fumosi o stili monotoni. L’intero corpo del testo non era ancora adatto per una pubblicazione: disordinato negli stili, quasi delirante per un lettore ignaro, anzi addirittura traumatico per la mole: un peso fisico da tenere in mano. No. Se si vuole mantenere la tensione nelle fasi di riscrittura, ogni virgola e ogni scena deve essere ponderata come una formula chimica, e non solo seguendo le frasi e la bella sintassi. È necessario impegnarsi a determinare l’insieme delle occorrenze tra le azioni, i personaggi e le parole tra le pagine. Non si deve sedurre o appesantire il lettore, perché il testo deve accogliere integralmente il suo bagaglio di emozioni.

Durante i primi giorni del mese di novembre 2018 non riuscì più a scrivere una virgola, perché mi sentivo scisso nei ruoli dello scrittore, del lettore, dei personaggi e dei luoghi: nuovi livelli di delirio!

Mi reimposi l’unica regola che fissai l’anno prima: “Poni in secondo piano il tuo <io>. Ridiventa un amplificatore delle onde provenienti dall’inconscio. Traile sulla terraferma della scrittura, accogliendole tra le tue mani e rivestile di parole”.

Continuai a scrivere fino ai primi giorni del mese di dicembre 2018 in modo più rifinito. Correlai le situazioni e dialoghi caratterizzando i personaggi senza introdurli, lasciandoli parlare e agire. Le parafrasi, gli intermezzi, le spiegazioni e i miei interventi diretti diminuirono vistosamente. Lo scorrere del testo divenne meno torbido: dai venti tumultuosi dell’inizio, la costanza del ritmo fu data dal freddo vento Grecale che da sud est va a nord ovest. Dall’alba frizzante al lento tramonto.

#RACCONTARE LA SCRITTURA. TERZA PARTE

In quei primi giorni notai una distonia nel modo di scrivere. Quando componevo per le poesie, l’atteggiamento era incentrato su di me, sul mio corpo. Fungevo da collettore esprimendo il ritmo di sensazioni ed idee, traducendolo in narrazioni poetanti oppure in strutture versificate, naturalmente da rivedere da riaccostare. E in una seconda lettura riattraversandole con altre rime, esagerando anche in una spiegazione immediata delle stesse, permettendo una loro emersione in versi e il loro differenziarsi in prose. Talvolta, invece, la struttura appariva già delineata tra le mani, in strofe o in versi liberi, che proprio perché così vaghi, rappresentavano e rappresentano richieste di approfondimento, simili a sonde che invitano a penetrare ancor di più i fondali in movimento. Però, ancora, l’elemento comune è il mio nucleo emotivo, ovvero la rappresentazione scritta di quello stato che immediatamente tesseva il tono e il timbro espressivo. Ogni poesia riconduceva me stesso, attraverso il ritmo melodico sparso in cellule fonetiche: la cartina da tornasole che risponde a un marchio uguale per tutte. Ponendomi in modo passivo rispetto al contingente per patirlo poi nella risposta riflessa della versificazione, il vincolo di entrata ero sempre io. Il personaggio è unico: il poeta. Nel palco vi è solo il poeta e il suono della sua voce interiore.

Mi resi conto, anche se già formalmente ne ero consapevole, che nella scrittura di un romanzo non esiste un personaggio unico e che lo scenario, i luoghi, il palco, il palcoscenico, il pubblico, l’anfiteatro non sono una diretta emanazione dello scrittore, come nell’atto di poetare. Lo scrittore in prosa e in particolare di un romanzo, e non di un monologo, e tantomeno di un racconto, e ancora di una scena teatrale, deve mostrare un mondo che pian piano si snoda attraverso il racconto.

Dopo alcuni giorni mi bloccai, perché l’inconscio mi diceva: “Fermati! Stai correndo su una stradina che intorno non ha alcunché di evidente per il lettore. È tutto compresso negli appunti sedimentati dagli anni e nella tua testa”.

Infatti, ero io. Dove sono i protagonisti del romanzo? Quelli di contorno? Quali scenari? Non si possono mica inventare così, concentrandosi su un posto che magari si preferisce e si è sicuri di scrivere. E poi non è solo una questione di nomi. Ogni personaggio deve acquisire una vita propria. “Tutto giusto”, mi dicevo tra me e me. Certo: ma come? Quanto di più lontano rispetto alla pratica del poetare. Il poeta è presente a sé, anche nella fase di trance, o di dispersione, ma è la mia perdita. Sempre di me si tratta. Per il romanzo invece occorre che i protagonisti si distacchino dal personaggio che è l’emanazione dello scrittore, oppure ancora che abbiano una autonomia tale da esser reputati completi da parte del lettore, che ovviamente non sta nella mia testa e nel mio corpo di autore.

Mi rifermai. E cominciai come un attore, dentro casa, parlando da solo. Cercavo di sviluppare storie partendo dalla situazione che dovevo scrivere recitando a braccio e in piedi, con un flusso di parole e pensieri, tentando di distaccarmi e alterando la voce e le movenze, con le espressioni facciali dei primi protagonisti che avevo appena delineato. Dalla metà di settembre ai primi giorni di ottobre 2017, inframmezzandomi tra le attività quotidiane domestiche, recitavo davanti a una cinepresa immaginaria. Naturalmente alcuni sporadici presenti erano dubbiosi se chiamare la guardia medica 😀

Interpretando questi personaggi che via via apparivano mentre recitavo a braccio, anche le situazioni, gli scenari e i luoghi premevano per entrare. Ancora non mi era chiaro quali fossero in dettaglio, perché la logica della trama già scritta e riscritta negli anni precedenti, non bastava più. Era stretta. Vedevo innanzi oceani neri nella notte. Nello scoramento, però mi accorsi che li annusavo e li sentivo. Prima ero sordo. Percepivo altri protagonisti nascosti, mai pensati fino ad allora che bussavano nell’inconscio e tutti mi dicevano: “Guarda che senza di noi, gli altri sono vuote comparse. In più stai sempre dentro un luogo. Non esci mai da lì?”

Mi allargai sempre di più, scrivendo poi di corsa i tratti e i luoghi, ma non alla rinfusa, seguendo una logica ferrea. E il giorno dopo, con la mia solita domanda: “Ma come ci sono riuscito a tenere insieme questi livelli in contemporanea e a implicarne altri?”

Sbagliavo come sempre a pormi le domande, perché iniziavo con “io”, con quell’io che vuole dominare tutto. Il piccolo “io” che si crede il mondo, essendone invece una individuazione. Occorreva rendere concreti i personaggi nel caratterizzarli anche attraverso il luogo di origine, fissando i loro nomi, i ruoli, e configurando i gruppi formali e informali di appartenenza, dove questi chiedevano a loro volta una storia.

A metà ottobre ero sfiancato. Ogni passo in avanti ne apriva un altro. Ritornai ancora indietro nella scrittura, dopo che già la produzione di ottobre, dopo una recitazione che durava ore e ore nella mia testa, era quantitativamente mastodontica, con scritti di flussi di coscienza, dialoghi, caratterizzazione dei personaggi però dove talvolta confondevo i nomi e i luoghi. Credevo fossero refusi, ma in realtà erano sentinelle dell’inconscio che mi dicevano di sviluppare ancora ciò che era stato scritto, prima di andare avanti. Avevo timore come già negli anni prima, di arrivare a un punto morto nel creare materiale che tutto sarebbe diventato, meno che un romanzo.

Però mi dissi: gli errori, le sviste, le spiegazioni schizofreniche dentro i dialoghi abbozzati, lunghi, corti, da teatro, ampollosi, eccedenti, circolari, monchi, in realtà sono porte che indicano una strada più ampia e strutturata. Stavo creando cartelli stradali di una regione, poi di uno stato, poi di una città (tutti luoghi veri che andavo a studiare veramente via per via, e anche nella loro storia recente e passata). Tutto implicava un soggetto mancante: dovevo creare un mondo e collocare i protagonisti in parti di esso, assolutamente non a caso, e con nomi pregnanti, anche attraverso lo studio delle lingue e degli idiomi del luogo di origine dei protagonisti.

Alla fine del mese di ottobre 2017 mi gettai nell’impresa. Avevo già conoscenze pregresse in merito per acquisire i nuovi dati e le informazioni.

@ 22 POETICALLY: TRIPLE ANNIVERSARY.

It’s been three years since the publication of my first book of poems with associated images, “Suspended Dreams” ( print format digital format  ).

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The poems had a very long gestation period, but relatively short for the drawing. I contacted Italian and foreign painters and photographers talking about their works. Some did not consider it appropriate to join my project. I relived every their image. I corrected him for months and months poems, later. The study was characterized by a handicraft correction. They were prompted by the only photo I snapped my published during the Midnight Sun last border of the port of Riga (Latvia). I exchanged the knowledge and skills with other writers to edit the book in print and in digital format. I continue the good cooperation with the painters today.

The second book of poems with images “Mutual Rebirths” appeared after a year ( print format e digital format ). Some of these poems were already sketched during the writing of the previous book.

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I had to change some pictures and I continued the research on entire catalogs. I pose myself as a sounding board that tries to reflect the characteristic traits of each of us dreams and rebirths. Some poems invite the reader with issues seemingly easygoing and relaxing, then there are the doors of nightmares and terror. The “nothing” and “nothing”. In the poem, however, even oblivion is brought as a constituent element. The thesis states that, perhaps, nothing disappears. Everything reappears.

I wrote the story in digital format “Everything under control. A body in the mirror” (http://www.ibs.it/ebook/Milita-Lino/Tutto-sotto-controllo/9788868856229.html), after the two works poetry.

 

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This story a monologue where the mirror describes the desire to control the body. The mirror describes a body completely manipulated by overexposure technology. The story offers a hypothesis. The part of us that is deemed to be weaker in suffering, perhaps it can be a anchor of salvation.

 

I have published the English translation of my book of poems in Italian “Mutual rebirths” in recent months ( print format   – digital format  ).

 

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The painters and photographers who collaborated to write the story, asked to translate for the English speaking audience.

 

I relived a new creation with the hope that is another sign of a common path.

 

And the journey continues

@22 POETICAMENTE: TRIPLICE ANNIVERSARIO

Di questi giorni sono passati tre anni dalla data di pubblicazione del mio primo libro di poesie ed immagini “Sogni Sospesi” ( in cartaceo  e   in formato digitale ).

 

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Le poesie e le immagini ebbero un lunghissimo periodo di gestazione, ma relativamente breve per la redazione. Nei mesi precedenti più eventi concomitanti diedero il via. Le lunghe discussioni con un’amica sulla pittura e sulla fotografia, e l’immensa fiducia che mi fornì per tentare il passo. E non è un caso che questo libro a lei sia dedicato. In più, contattai pittori e fotografi italiani ed esteri discorrendo a proposito delle loro opere. Alcuni non ritennero opportuno aderire. Ogni immagine fu vissuta e sudata. Dalle prime trascrizioni di getto con appunti, quasi in ipnosi, s’ebbe la fase della correzione per mesi e mesi. Fu uno studio contraddistinto da una correzione artigianale, senza vergognarsi di rileggere i grandi poeti e i rimari, per reinterpretarle come se fossi un attore rivolto ad un pubblico immaginario. Lo spunto provenne dall’unica foto mia pubblicata che scattai durante il Sole di mezzanotte nell’ultimo lembo del porto di Riga (Lettonia). Il Sole sospeso. Scambiai conoscenze e abilità con altri scrittori per editare in cartaceo e in digitale il libro. E la proficua collaborazione continua ancora oggi.

 

Dopo un anno apparve il secondo libro di poesie con immagini “Reciproche Rinascite” ( cartaceo e digitale ). Alcune di queste poesie erano già abbozzate nel periodo di scrittura del libro precedente.

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Dovetti cambiare alcuni quadri e continuai le ricerche su interi cataloghi, immedesimandomi in ognuno. Un lavoro lungo e sfiancante che fu necessario per elaborare anticipazioni e nuove possibilità dell’esistenza. In questi due libri io stesso mi pongo come una cassa armonica che tenta di riflettere tratti caratteristici di ognuno di noi: i sogni e le rinascite. E se alcune poesie iniziali invitano il lettore con temi apparentemente accomodanti e distensivi, poi vi sono le porte degli incubi e del terrore originario del “nulla” e del “niente”. E se l'<io> di chi scrive è volutamente allargato e reso trasparente verso le tracce degli altri su di sé, la risposta nulla tralascia: anche l’oblio è portato come elemento costitutivo.

Successivamente apparve il racconto in formato Digitale “Tutto Sotto controllo. Un corpo allo specchio”.

 

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È un monologo dove lo specchio parla descrivendo la volontà di controllare il corpo come un oggetto di manipolazione nella contemporanea esposizione ipertecnologica. E di come, nonostante tutto nel massimo dolore, la parte che è ritenuta più debole, forse assume il ruolo di un’ancora di salvezza.

 

E infine di questi ultimi due mesi ecco la traduzione in inglese del mio libro di poesie in italiano “Reciproche Rinascite” , intitolato “Mutual Rebirths” ( in cartaceo  e in digitale ) per le richieste dei pittori e dei fotografi non italiani che hanno collaborato alla stesura del libro e per le domande di alcuni potenziali lettori di lingua inglese.

 

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Ho rivissuto una nuova creazione con la speranza che sia un’altra traccia di un percorso comune.

E il percorso continua…

* 17 Special Guest: Mutual Rebirths

I have been asked to translate into English my book of poems in Italian “Mutual Rebirths” by painters and photographers not Italian who co-wrote the book, and also for some potential requests to English readers . I relived my book in English: a new creation. I have recited and I have rewritten my poems. At the same time I re-read some texts of the British and US poetesses of past centuries. After more than seven different drafts, I have proposed the reading of the text in a selected audience and then I have entrusted the text to the translator Diego Luci.

Rebirths occur sometimes spontaneausly, due to events which require radical changes, and they can be wonderful for what life can offer more, or they can cause desperation for unespected occurences contingencies that take away everything, except those dark visions the future.

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@ Samanta Lai: “Tai Chi”

Fortune and engagement allow you the luxury of being reborn as adults, keeping the memories of your past. In this case, it is also necessary that the memories concerning the others and stored in ourselves have to be really in order to avoid a mere reproduction of what we were. The real rebirth needs the others and the support of those we had an intimate relathionship with. If we pursue a revival with not causing pain to anybody, we will be able to express feelings and deep desires: doing so, we will become truly adult, wiser and sincere.

This collection of 50 poems accompanied by pictures, some of them in color, wants the readers to think over the world, the human relationships and the wonders that every person carries within itself.

Paper: Youcanprint: HERE

ebook:

Smashwords: HERE

IBS: HERE

* 17 Special Guest: Mutual Rebirths

Dopo l’uscita del mio libro di poesie in italiano “Reciproche Rinascite” e per le richieste dei pittori e dei fotografi non italiani che hanno collaborato alla stesura del libro e per le domande di alcuni potenziali lettori di lingua inglese, ho voluto tradurre la mia opera, e la ho rivissuta: una nuova creazione. Ho recitato e riscritto le poesie del libro in lingua inglese. E in parallelo ho riletto alcuni testi delle poetesse inglesi e USA dei secoli passati. Dopo più di sette diverse stesure, ho proposto la lettura del testo a un pubblico selezionato e poi lo ho affidato al traduttore Diego Luci. Ed ecco questo nuovo testo, con la speranza che sia un’altra traccia di un percorso comune.

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Immagine di copertina. “Tai Chi” di Samanta Lai.

Le rinascite avvengono talvolta senza essere volute: traumatiche e imposte da eventi che obbligano a mutamenti radicali, meravigliose per qualcosa in più che la vita può offrire, oppure disperate per gli imprevisti che tutto tolgono, ad eccezione delle cupe visioni per il futuro.

Fortuna e impegno concedono il lusso di rinascere da adulti, mantenendo i ricordi del proprio passato. In questo caso è d’obbligo che anche le memorie relative agli altri, conservate dentro di noi, rinascano concretamente, allo scopo di evitare una mera riproduzione di ciò che siamo stati. La vera rinascita ha bisogno della disponibilità altrui, del sostegno di coloro che abbiamo frequentato, in particolare delle persone più intime. Se si persegue una rinascita senza arrecare dolore a nessuno saremo in grado di esprimere i sentimenti e i desideri profondi: così facendo potremo dire di essere diventati davvero adulti, più saggi e sinceri.

Questa raccolta di 50 poesie accompagnate da immagini, di cui alcune a colori, intende suscitare nel lettore riflessioni e stimoli sul mondo, sui rapporti umani e sulle meraviglie che ciascun essere vivente porta con sé.

Il libro in versione brossura lo puoi trovare su Youcanprint: QUI

In ebook:

Smashwords: QUI

IBS:  QUI

#21 Contamination: The chaste intimacy.

The other year today in the day of Blue Monday, I listened the Flunk’s song – Blue Monday. Do not know why, but  I listened again, as I wrote under hypnosis. I reread the poem or rather what it’s intentions were and I felt a sense of shame, like I’m naked in front of everyone in the main square of the city. My intimacy without veils. After the surprise, I wrote the verses that automatically tried to express that my state. I published the second paper, but not the first. The second paper speaks of the first that has not been done to see anyone until now. And after a year I expose him, still do not understand why I had that feeling. And maybe I touched something beyond me.

 

FREEDOM

 I bent

by hands

Swing

for the error

that was believed.

I treated

with crap

by empty

words

for the hypocritical

voluptuousness,

I reversal

isolated

requests

nursing

which are reverse

on deaf

companions.

I wish

instead

a ship

safe,

for routes

without yet,

that are far

by orders

of greedy

fidelity.

 

This is the script that later censured the first written:

 

SHAME

You know when

is too addictive

and you do not want to post

an idea, a script

or a poem?

Because it is too

direct

and defenseless?

Here this time

poetry does not appear

although present,

but this is a sin

not offer the music

in this moment

acrid present.

To listen Flunk – Blue Monday, you click HERE

# 21 Contaminazioni: pudiche intimità

L’altr’anno proprio oggi nel giorno del Blue Monday, io ascoltai la canzone dei Flunk – Blue Monday. Non so perché,  ma ascoltandola di nuovo, scrissi come sotto ipnosi. Io rilessi la poesia o per meglio dire quello che ne erano le intenzioni e provai un senso di pudore, come se fossi nudo davanti a tutti nella piazza principale della città. La mia intimità senza veli.  Dopo un senso di stupore, in automatico scrissi versi che tentarono di esprimere quel mio stato, e successivamente la feci leggere ad alcuni. Il secondo scritto parla del primo che non è stato fatto vedere ad alcuno fino ad oggi. E dopo un anno lo espongo, continuando a non capire perché ho provato quella sensazione. E forse ho toccato qualcosa che oltrepassa me.

Eccola:

LIBERTA’

Piegata

da mani

battenti

per errore

creduto.

Trattata

con schifo

da vuote

parole

per ipocrite

voluttà,

rigiro

isolate

richieste

di cura

riverse

su sordi

compagni.

Desidero

invece

una nave

sicura,

per rotte

senz’ancora,

lontano

da ordini

d’avida

fedeltà.

 

Lo scritto successivo che censurò il primo:

PUDORE

Avete presente quando

è troppo coinvolgente

e non volete postare

una idea, uno scritto

o una poesia?

Perché troppo

diretta

e senza difese?

Ecco stavolta

la poesia non appare

benché presente,

ma è un peccato

non offrire la musica

in questo attimo

d’acre presente.

 

Per ascoltare Flunk – Blue Monday  premi QUI