CONSIGLI DI LETTURA: La Saga di Gösta Berling di Selma Lagerlöf

La Saga di Gösta Berling di Selma Lagerlöf (Autore),
G. Pozzo (Traduttore), 2010 (prima edizione 1891),
Iperborea, Milano

La saga è avvincente e parla dei luoghi atavici della Svezia anche in relazione con le comunità finniche. Vi sono come nelle saghe a noi vicine, i luoghi universali dell’eroe che lotta contra il nemico, l’estraneo, il bosco, le entità sovra mondane e quelle degli abissi. Il pericolo e le minacce provengono anche dal cuore degli esseri umani, sì virtuosi, ma passibili di cadere nel male.

Il bisogno di crescere, di procreare, e di accedere nell’aldilà, è continuamente ostacolato dall’imprevedibilità del mondo. Il racconto, come in ogni saga, e quindi in ogni narrazione che tesse i miti, tenta di porre un ordine e di chiudere i cicli, per continuare a a dotare di senso lo scorrere del tempo.

Dagli ordini ciclici della natura, si passa a quello degli stadi della nascita, alla giovinezza, fino alla morte, in modo che l’ostacolo e l’attrito che si ha contro gli altri, il mondo, il mistero, si accordino come i criteri morali e leggi del mondo, che sono anche etiche, aventi a fondamento quelle ultra mondane.

Poiché nelle storie che riproducono il senso del mondo, alcunché può esser lasciato fuori, ogni oggetto e manifestazione naturale hanno un senso che oltrepassa la semplice presenza; il solo stare. Vi è sempre una intenzione talvolta non immediatamente manifesta, una caratteristica della materia, l’influsso di uno spirito, il moto dell’intero mondo. Lo scopo è quello di avere un “se e un allora”, che fornisca al tempo, una comune ragione del “cosa è”, del “chi è”, e del “perché dell’agire e del divenire”. I luoghi sono quelli dell’eroismo, dell’amore, dell’avidità, del coraggio, della cedevolezza, della prole, e della morte.

La saga di Selma Lagerlöf è tutto questo e di più. Ebbe un successo che diede all’autrice la possibilità di continuare a scrivere e a divenire una delle prime scrittrici quotate ed autonome nella attività imprenditoriale tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento in Svezia.

L’opera è qualcosa di più di una saga, perché, essendo un’opera che fu scritta in tempi lunghi e con racconti autonomi, anche nella pubblicazione preliminare nelle riviste, si snoda cambiando le prospettive, in base agli affinamenti dello scrivere dell’autrice. Da una serie di racconti a tema, si passa ai tempi di un romanzo. Da precetti già dati nel piano della morale, e dalla meccanica dei conflitti del protagonista contro il mondo, l’animo, la virtù, i precetti morali, la seduzione, il vizio, diventano la trama che descrive una comunità negli accadimenti della storia ciclica.

Se nelle saghe tradizionali ed arcaiche che hanno un sapore orale, prima ancora della loro trascrizione, i protagonisti sono netti, chiari, aventi qualità e debolezze che fanno già intuire i loro appuntamenti nefasti o gioiosi con il destino, qui i cavalieri, i nobili, i fabbri, i sacerdoti, il male stesso, da reali e concreti, diventano di volta in volta, i luoghi mitici del racconto post datato, o figure implete, o emanazioni delle divinità paniche, fino a quelle religiose per ritornare poi ad essere in carne ed ossa. Stesso percorso è subito dai boschi, dai fiumi, dai mulini, dai guadi dei fiumi, agli animali e agli spiriti dei boschi che assumono un percorso speculare.

Vi sono in verità più racconti paralleli che si manifestano nei diversi episodi, incrociandosi talvolta.

Si passa dai toni picareschi, a quelli di formazione adolescenziali, a quelli di amor sacro e profano, fino alle storie edificanti. Non mancano riferimenti embrionali dell’orrore a quelli lirici.

L’autrice è abile, spregiudicata, curiosa nell’attraversare i generi entro la struttura della saga. La forza, la distorce, cerca di creare un nuovo stile, anzi più di uno. Invece di definirli compiutamente, però, li lascia incompiuti e li fa cozzare uno con l’altro. Lasciando l’idea che non è detta l’ultima parola sugli eventi narrati.

È una saga che esce fuori dalle regole canoniche. È un romanzo dell’ottocento che trasforma i protagonisti con più personalità in una forma novecentesca, perché usano la razionalità e le parti nascoste di sé per porsi in relazione con gli spiriti dei boschi e le allegorie monoteistiche.

In alcuni episodi l’epica volge in un’avventura sulle navi, sulle coste e sui fiumi, ma anche lì rimane inceppata, per ritornare sui luoghi saldi della terra.

È comunque coinvolgente: i dialoghi non sono banali, e, nonostante le dichiarazioni di virtù e di sacrificio, le norme e gli usi e le consuetudini vengono continuamente poste a critica.  

È un arcipelago di stili che si tengono insieme e stimolano la fantasia del lettore, solleticando l’indole a vedere con occhi nuovi e più profondi, i meccanismi con quali attribuiamo senso alle cose.

Quest’opera è un tesoro pieno di monete di diverso conio, che sta a noi, raccogliere e inquadrare in base ai nostri bisogni di progettare il futuro, e i vincoli morali.