MERIDIANO DI SANGUE O ROSSO DI SERA NEL WEST DI Cormac McCarthy

Meridiano di sangue o Rosso di sera nel West, di Cormac McCarthy (Autore), Raul Montanari (Traduttore), Einaudi, Torino, 2014, ed. originale: Blood Meridian or The Evening Redness in the West, 1985 

Il meridiano di sangue è una traccia scritta dagli eventi per opera dei protagonisti. La mappa del mondo è raffigurata con i radianti delle ossa e gli angoli delle armi. Il corpo umano è quello degli Stati Uniti in formazione. Le configurazioni statuali figliano involucri di pus e di sangue disseminati tra la terra e l’acqua che viaggiano tra est ed ovest, crollando uno dopo l’altro, fornendo un linguaggio e un senso dei confini, attraverso la consunzione e la decomposizione.

Il ritmo della narrazione è scandito dal timbro della violenza. Ogni trama è descritta dall’offesa della natura contro gli esseri viventi. Le vite sono pollini sparsi dall’Atlantico verso l’Oceano Pacifico, con pochi che germogliano, e la massa che invece crepita nel baratro, collassando tra la crudeltà, il sadismo, e la vacua razzia, aggrappandosi a scheletri di trofei macilenti e velenosi.

Vi sono richiami storici ben precisi, e per noi europei quasi oscuri, circa la storia dell’America del Nord, riguardo la guerra civile degli Stati Uniti d’America (detta da noi impropriamente guerra di secessione), le lotte decennali tra l’ex impero spagnolo e francese, gli agglomerati statuali transitori e in perenne conflitto tra quelle nebulose chiamate Louisiana, Messico, Texas e gli stati centrali e dell’ovest dell’Unione di recente formazione, fino alla California.

Ricordando comunque che già dapprima vi erano guerre senza fine tra i creoli, gli ispanici, le varianti che noi facilmente e in modo superficiale denominiamo Apache o Sioux, i Comanche identificandoli semplicemente come indiani, attraverso i film Western del secolo scorso. No, i complessi gruppi ed etnie stanziali prima dell’avvento degli spagnoli, dei francesi e degli inglesi, e poi di tutta quella sterminata immigrazione senza patria dell’ottocento, erano già agglomerati in conflitto ed ibrida mutazione.

Lo stile di scrittura è piano e lineare e paradossalmente con pochi superlativi. Di prima impressione sembra sia costellato da ritmi giornalistici, di cronaca addirittura, per planare su resoconti storici indiretti con nomi nascosti di generali, di personalità del periodo, che per il lettore veloce e superficiale sembreranno gettati così senza un criterio. Si passa dalla cronaca di eventi bellici, fino alle narrazioni dell’uomo settecentesco che affronta una natura ostile alla Robinson Crusoe.

Questa capacità istrionica è sublimata in una forma di romanzo, che è incorniciata dalle descrizioni ambientali delle Montagne Rocciose, e relativi dirupi, con un’alluvione di termini geologici, botanici, nonché zoologici. Vi è una capillare descrizione etnologica dei gruppi etnici, e delle bande, oltre degli eserciti che lottano tra loro. Emerge una visione antropologica dei modi di vivere degli agglomerati, posti, indipendentemente dalle loro dimensioni, tra il deserto, i boschi, il freddo, la siccità, in un oceano di ostilità, dove l’orizzonte è un continuo generatore di pericoli, di nemici: un bardo del dolore e della morte.

I protagonisti sono coraggiosi e capaci, che agiscono senza enfasi. Quasi in un richiamo ipnotico si avverte l’impressione di leggere stanche descrizioni di marinai anziani seduti davanti al caminetto raccontando dei tempi che furono, gli argomenti trattati e gli eventi sono lo spasimo. Almeno all’inizio, perché poi, appena si entra in questo mondo, non vi è un attimo di tregua. Il ritmo varia in un crescendo di azione violenta, su scenari di orrore e di morte.

La crudeltà è il pendolo che oscilla tra un vortice di sadismo e di una assurda tranquillità, nella quale i protagonisti quasi morenti e in sofferenza estrema, riflettono sulla loro condizione, sull’etica, sul senso del proprio agire. Il dolore e l’angoscia della propria scomparsa, aprono la possibilità di un tono lirico, e veramente letterario tra il tragico, il poetico, il drammatico.

Non si salva nessuno: ognuno di loro uccide, imbrattato di sangue e di repellenza. Appare pulito e accettabile nel raffigurarlo esteticamente, il personaggio che non subisce la morale e la compassione, e che cerca di rimanere integro alle pallottole, alle coltellate, alle frecce, alle ferite invalidanti, tra la bile e il vomito.

Anche chi riesce a razziare, a portare gli scalpi e vendere le orecchie e le teste essiccate, sperpera il ricavato in veleni d’alcool e d’azzardo che portano alla rissa, all’omicidio, alla prigione, alla morte subita quasi senza senso dal compagno dell’ora prima, che uccide totalmente ubriaco, in una abiezione sessuale che comunque porta all’infezione.

Non vi è una giustificazione: l’avidità e la ricerca del piacere perverso non sono nobilitati, e non sono descritti come ciò che ottunde la ragione, salvando quindi la razionalità, bella e buona. No. Questo è un romanzo che affronta di petto la cattiveria, l’altra parte del cuore nero che tutti abbiamo e che cerchiamo di delimitarlo con questa linea di sangue. Sì, perché questo meridiano è disegnato nel cuore di ogni essere umano.

Oltre la violenza fisica e immediata, vi è uno scontro sotterraneo tra una visione data da un protagonista che descrive il senso della storia, del vivere e del mondo in un piano amorale, e chi invece cerca di aggrapparsi ancora con un dito nell’altra parte del confine, essendo però, assassino e spietato come il suo interlocutore.

Non è una dialettica dove vi è la sintesi tra il protagonista e l’antagonista. Più che la sublimazione, si dissolvono e lasciano al lettore di immedesimarsi, con il tranello che alla fine si sta parlando proprio di lui. Ed è ovvio che quasi nessuno potrà definire compiutamente queste posizioni, perché l’oggetto del contendere siamo io e te. Il mio e il tuo cuore.

Lo scritto innesta uno studio etico in una opera letteraria, finemente cesellata nei termini americani, spagnoli, amerindi. Nessuno è innocente.

Vi sono riferimenti non tanto nascosti relativi alle interpretazioni metodiste e battiste degli Usa, oltre al mix cattolico inca azteco dei popoli del Messico, innestato nelle correnti animiste dell’universo degli indiani. Il tutto cozza contro riferimenti espliciti alle metafore del “Così parlò Zarathustra”, di “Ecce Homo”, e della “Genealogia della morale” di Friedrich Nietzsche, come anche nelle pagine finali, circa il richiamo alla danza della “Gaia Scienza”.

In prima e anche in una seconda lettura, risulta quasi immediata la considerazione che il romanzo voglia svelare la nudità dei rapporti sociali e della propria posizione rispetto alla natura, in un’escrescenza etica labile, usata per il più come tattica di sopraffazione.

Eppure i momenti più lirici e di consapevolezza, avvengono nei momenti in cui si ha bisogno degli altri per le cure, per un sorso di acqua, per un riparo dalle asperità climatica. L’aiuto è fornito indipendentemente da una transazione di scambio di valore monetario, perché in quelle condizioni alcunché ha un valore, se non la soddisfazione immediata delle esigenze della sopravvivenza.

Sembra che alla fine vincano quelli che sono “Al di là del bene e del male” e che dicano “sì” al vivere che è insensatezza,

MA

agendo in modo tragico nell’accettare il caos, che è crudele perché gli si vuole dare un senso, ricercano un contrappunto nella propria morale. Non è un caso, infatti, che dichiarando di non avere il cuore, e offrendo solo questo meridiano, tutto rimane svuotato, ciò loro stessi, e la loro capacità di rispondere. Chi è giudice, diventa il giudicato, e chi vuol essere libero, non ha più parole per dire se le proprie mani siano o no incatenate.

E qui il dilemma è consegnato al nostro meridiano personale, attraverso questo capolavoro di romanzo che non offre sconti.

IO è UN ALTRO. Settologia. Vol. 3-5 di Jon Fosse

Io è un altro. Settologia. Vol. 3-5 di Jon Fosse, Margherita Podestà Heir (Traduttore)
La nave di Teseo, Milano, 2021.

Questo romanzo, sebbene sia autonomo nella lettura, segue idealmente il precedente in ordine temporale: “L’altro nome. Settologia. Vol. 1-2” del quale ne scrissi qui nel mese di giugno del 2022 – https://www.linomilita.com/uncategorized/%c2%a7laltro-nome-settologia-vol-1-2/

Di certo è auspicabile una lettura di entrambe le opere.  Comunque, poiché lo stile di entrambi è corredato da rimandi continui, in cui i personaggi, il tempo, gli avvenimenti, riemergono in una ripetizione concentrica per l’acquisizione di sempre nuovi elementi e in parallelo, in una dinamica a spirale, nel ritorno degli scenari, ma da punti di vista sempre diversi, si ha che ogni pagina è una vertigine cui attingere senso e significato.

Lo stile di “Io è un altro” è un flusso di coscienza, ma non nel senso tradizionale letterario cui siamo abituati dalle letture scolastiche circa gli scrittori del primo novecento. Benché i segni di interpunzione siano latitanti, vi sono strutture nascoste che facilitano il lettore senza che se ne possa rendere conto in modo immediato.

Tale stratagemma non è offerto per una dimostrazione virtuosistica delle straordinarie capacità di scrittura dell’autore. Seguono infatti precise logiche dei temi dispiegati nella composizione letteraria.

Questo romanzo, come il precedente, dispiega una imponente richiesta di Dio. Della divinità che appartiene alla comunità culturale del protagonista, Asle, che è cattolico, e si estende a interpretarla nelle indefinite variazioni di ogni essere umano, anche di quelli che dichiarano un orientamento prevalentemente laico, agnostico, ateo, o di istintiva aderenza alla mistica e al mistero mondano.

E per questo richiamo universale lo stile di scrittura individua una precisa forma di preghiera. La speranza è la manifestazione di una concezione del futuro, in cui si richiede una possibilità a ricevere una risposta. La preghiera è il senso di una mancanza, ovvero della dichiarazione che vi è ciò che è ulteriore rispetto a sé, che vi è l’altro, il mondo, me stesso, un altro me stesso, un altro in tempi paralleli, o incomunicabili, oppure ancora traslati. Che vi è la possibilità in cui il tempo fluisce in una memoria che è viva e concreta.

Lo stesso vivere del protagonista, assieme a quello dell’altro e degli altri, costituisce un coro, che estende la richiesta all’onnipotenza in un crescendo indefinito e quindi universale. Questa preghiera è il significato del vivere nel tempo verso uno scopo.

Il romanzo offre molteplici chiavi di lettura, che, però a mio modestissimo parere consiglio di lasciarle emergere nel corso della lettura, perché ed è qui la grandezza di Jon Fosse, che è prima di tutto una trascrizione orale. Nei dialetti della lingua norvegese vi sono cantilene tipiche di un luogo di provenienza dello stesso autore, contraddistinte dalla ripetizione delle frasi, ove si genera un contrappunto tra i dialoganti. Tale caratteristica permette al lettore di avere un filo che ricostruisce ogni volta la trama degli eventi.

È una lettura ipnotica, e non può che essere tale, perché è rivolta ad un pubblico, cui si richiede di divenire parte del coro. Se il lettore non fugge, quasi per incanto, si trova in modo prosodico quasi “rapito” da questa preghiera così semplice, ma impressionante nel suo crescendo, da divenire familiare.

E diventa proprio una parte di sé, perché richiama il nostro passato, il nostro vernacolo: mamma, nonno, nonna, zia, fratello, sorella, il luogo dei giochi e quello della crescita, la lacrima del dolore e l’urlo della paura, e la meraviglia giocosa del mondo e dell’amore, tra la nascita, il vivere, l’invecchiare e il morire.

Consiglio, ogni tanto, di ricercare, anche in rete i significati dei nomi norvegesi utilizzati: si avranno ulteriori chiavi di lettura, segno questo che l’opera non è un flusso inconscio scritto in modo disordinato e veloce. No, e sebbene magari pagina per pagina per le singole situazioni, possano essere state impiegate tecniche stilistiche poetiche e drammaturgiche (ricordiamoci che Jon Fosse è anche un autore di sceneggiature teatrali), in queste appaiono connessioni altamente sofisticate.

E non può che essere così, perché è la stessa matrice di questo scritto: una preghiera che si snoda in un rosario, il quale è il diario del nostro vivere.

In questa confessione corale l’antagonista, il pubblico, il palcoscenico della memoria sdoppiano e triplicano i personaggi in base alla speranza di richiamare un tempo circolare, che non è perduto, ma presente, perché contiene il destino e le vite parallele che oscillano tra il presente e il passato. Codesto vivere non segue una linearità verticale da un prima e un dopo, ma è ad esso ortogonali: oscilla nell’attimo della confessione. In tale postura il lettore non è un sacerdote seduto e separato, ma partecipa con lui, e di lui.

Il rosario è la preghiera, cioè il richiamo all’ultramondano, il contatto nel tempo, la rimessa in atto del tempo ciclico.

145-48 a stabilire del tutto se sia Dio o lei a essermi accanto e Ales dice che non serve che io ci pensi, mi dice e rimango seduto stringendo la croce in fondo al rosario e poi prego che, lì dove si trova, Ales stia bene, che Dio sia buono con lei e Ales mi chiede come io faccia a non capire che sta bene e allora le dico che sì, me lo sento dentro, dico e che avverto la sensazione di non voler dipingere mai più, dico e Ales dice che mi capisce, ho dipinto così tanti quadri, ho fatto la mia parte, forse ho dipinto i miei quadri, ciò che avevo bisogno di dipingere, dice e anche se non dipingerò più me la caverò, ho abbastanza di che vivere, dice Ales e io dico di sì e lei dice che forse non manca ancora molto tempo prima che anch’io ritorni a Dio, ritornerò là da dove sono giunto, a ciò dove è lei adesso, dice Ales e penso che è così, una persona viene da Dio e ritorna a Dio, penso, perché il corpo viene concepito, cresce, decade, muore e scompare, invece lo spirito è un’unità di corpo e anima, così come in un buon quadro forma e contenuto rappresentano un’unità invisibile, sì, che costituisce lo spirito del quadro, per dirla così, proprio come avviene in tutte le opere d’arte, e anche in una buona poesia, sì, in un buon brano musicale, sì, è quest’unità a essere lo spirito presente nell’opera ed è lo spirito, l’unità di corpo e anima, a sorgere dai morti, sì, che è resuscitata nella carne, e questa resurrezione avviene in continuazione ed è eterna perché, non appena muore, un essere umano viene mondato della colpa, ciò che lo separava da Dio è scomparso perché è di nuovo presso Dio, sì, è questa l’immagine più profonda che ho dentro di me, quella a cui tutte le altre che ho cercato di dipingere si sforzano di somigliare, questa immagine interiore che è una specie di anima e una specie di corpo in uno, sì, che è il mio spirito, e quello che chiamo spirito, ritorna a Dio e diventa parte di Dio e al contempo rimane sé stessa, penso e Ales dice che è così, fino a dove ci si può spingere con il pensiero e a parole è così, ma non lo si può dire a parole, dice Ales e dico che no, certo che no, e dico che tutte le religioni e le confessioni dicono, o cercano di dire qualcosa al riguardo, e tutte ci riescono ma in modi diversi, sono come la lingua, dico e in realtà tutte dicono soltanto una piccolissima parte della realtà, sì, e come io stesso ho ripetuto così tante volte, pensa che infinità di nomi ci sarebbe stata se tutti i colori avessero un nome, dico e Ales dice che anche senza la lingua non sarebbe stato meglio e adesso possiamo parlare insieme perché abbiamo la stessa fede, la stessa lingua, sì, ma sono i nostri angeli a renderlo possibile, dice Ales, perché in realtà adesso sono il suo angelo e il mio a parlare insieme e affinché un angelo esista bisogna credere che sia così e per dirlo servono le parole, avere la parola angelo, e se uno non crede che Dio esiste, allora Dio non esiste, né durante la sua vita né quando è morto, per cui la parola Dio è necessaria, ma nel profondo tutti credono in Dio, semplicemente non lo sanno, perché Dio è così vicino che non lo notano ed è così lontano che anche per questo motivo non lo notano, ed è così anche con l’angelo, con gli angeli, e comunque tutti i morti sono presso Dio, sono ritornati a Dio, semplicemente non lo sanno, dice Ales e io non so se capisco del tutto quello che dice e non so del tutto cosa dire e allora le dico che sento la sua mancanza e Ales dice che anche lei sente la mia ma, anche se non siamo più insieme sulla terra in maniera visibile, siamo comunque insieme in maniera invisibile e in effetti lo sento, mi dice e le dico che lo stesso vale per me e io e lei riusciamo persino a parlare insieme, dico e Ales dice che possiamo farlo, ma solo perché ci sono i nostri angeli e perché io dico o penso le sue parole, non è lei a pronunciarle, per lei tutto quanto esiste è lingua poiché Dio è la purezza della lingua, la totalità della lingua, la lingua priva di divisioni e fratture, sì, lo si può anche esprimere così, dice Ales e poi aggiunge che tra non molto saremo inseparabilmente insieme in Dio, noi due insieme, come sulla terra, ma in Dio, dice Ales e non può dirmi com’è perché risulta inimmaginabile all’essere umano, dice Ales e le dico che sono stanco e Ales dice che posso andare a coricarmi, sì, è quello che devo fare, mi dice e seduto sulla mia sedia guardo la mia linea di orientamento sull’acqua, quasi al centro del mare di Sygnesjøen, verso le onde e la voce di Ales svanisce e stringo la croce del Rosario, vedo le parole davanti a me e dico dentro di me Pater noster Qui es in cælis Sanctificetur nomen tuum Adveniat regnum tuum Fiat voluntas tua sicut in cælo et in terra Panem nostrum quotidianum da nobis hodie et dimitte nobis debita nostra sicut et nos dimittimus debitoribus nostris Et ne nos inducas in tentationem sed libera nos a malo e sposto il pollice e l’indice in alto, sul primo grano che si trova tra la croce e i tre grani successivi e recito dentro di me Padre nostro che sei nei cieli Sia santificato il tuo nome Venga il tuo regno Sia fatta la tua volontà così in cielo come in terra Dacci oggi il nostro pane quotidiano e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori e non ci indurre in tentazione ma liberaci dal male e sposto il pollice e l’indice in basso, sulla croce marrone di legno, la stringo e ripeto in continuazione dentro di me mentre inspiro profondamente Signore e mentre espiro lentamente Gesù e mentre inspiro profondamente Cristo e mentre espiro lentamente Abbi pietà e mentre inspiro profondamente Di me

172-175 aveva scritto Meister Eckhart, diceva Ales e diceva che quando sentiva il modo in cui molti cristiani abusavano del nome di Dio allora pensava che, se Dio fosse stato così come loro credevano fosse, allora lei non avrebbe potuto credere in Lui, sosteneva, ricordo che me l’aveva detto uno dei primi giorni in cui stavamo insieme, penso e ho letto sicuramente troppo poco, ma ogni tanto ho avuto modo di leggere la Bibbia e ci sono dei passi che mi hanno dato molto, forse più di tutti dove dice che il regno di Dio è dentro di te, dentro di noi, dentro di me, perché avverto perennemente qualcosa di paragonabile alla presenza di Dio, penso e Ales diceva che forse quello che percepivo era l’angelo custode? o forse lo Spirito Santo che era vicino a me? diceva, penso, ma quelle erano solo parole, perché in realtà qual è la differenza? penso e penso che la Bibbia vada interpretata, vada letta metaforicamente, sì, come un’immagine, come un quadro, con la propria verità, perché la Bibbia è letteratura e quando si arriva al nocciolo della questione la letteratura e l’arte visiva sono la stessa cosa, credo, e la Bibbia va capita partendo dal suo stesso spirito, perché la lettera dell’alfabeto uccide, mentre lo Spirito dà vita, come scrive Paolo, penso, perché, anche se la Bibbia è letteratura, è anche molto più di essa, penso e per quanto mi riguarda, sono quasi al limite di ciò che significa far parte della Chiesa cattolica, penso, o forse sono un outsider, visto come la penso, eppure ho trovato il mio posto nella Chiesa, penso, e considerarsi cattolici non è soltanto una questione di fede, ma è un modo di vivere la propria vita e nel mondo che può somigliare all’essere un artista, perché anche essere pittore è un modo di vivere, un modo di esistere nel mondo, e per me questi due modi di essere nel mondo si sposano bene perché entrambi creano, per dirla così, una certa distanza dal mondo mentre al contempo indicano qualcos’altro, qualcosa che è presente nel mondo, qualcosa di immanente, come dicono, e qualcosa di lontano dal mondo, qualcosa di trascendente, come dicono, e tutto questo è alquanto incomprensibile, penso e penso ancora una volta che il regno di Dio è presente dentro di me, perché esiste un regno di Dio, penso e lo si può percepire quando mi faccio il segno della croce, penso e mi faccio il segno della croce, e mi faccio il segno della croce in continuazione, ma soltanto quando sono solo, tranne in Chiesa, e sono capace di ripetere questo gesto più volte al giorno, quando vengo sopraffatto dal dolore, ma anche quando mi sento colmo di un profondo senso di gratitudine, sì, anche in quel caso, e mi faccio il segno della croce in continuazione e in esso è presente una forza, sì, e questa forza c’è di sicuro, per quanto sia impossibile stabilirne la natura, perché è priva di parole, ma c’è e questo è un dato di fatto ed è impossibile capire perché è così, ci risulta incomprensibile, penso e guardo tutti i rosari appesi alla parete più corta, sopra la panca, perché ne ho tanti, me li ha dati tutti Ales, e adesso quelli che mi ha dato Ales sono appesi insieme ai suoi otto a un gancio sopra l’estremità della panca, a parte quello che porto sempre indosso, penso e penso che anche nell’eucarestia ci sia una strana forza, sì, ogni volta che il sacerdote solleva il pane durante la consacrazione, come la chiamano, affinché diventi il corpo di Cristo, dall’ostia si sprigiona una sorta di luce, sì, la vedo, la vedo con i miei occhi, dall’ostia si diffonde una debole luce che può essere più forte o più fioca, oppure proviene dall’aureola che la circonda, a volte questa luce la si intravede soltanto, sì, come se fosse avvolta da una nebbia, però è possibile percepirla anche in questa specie di foschia, o invece appare come un’aureola distinta intorno all’ostia, è qualcosa di incomprensibile, ma sono consapevole di ciò che vivo, so ciò che percepisco, e sicuramente potrebbe anche essere frutto della mia immaginazione, e allora? penso e penso che le parole, sì, la lingua, ci connettono a Dio e allo stesso tempo ci separano da Lui, penso e adesso fa così freddo che devo accendere la stufa, penso e mi alzo e Brage cade per terra, mi ero dimenticato che dormiva sulle mie gambe, anche questo non va bene, penso e Brage mi guarda con i suoi occhi di cane, mi dirigo verso la stufa e aggiungo un po’ di trucioli, dei rametti e un ciocco, accendo e il fuoco comincia subito ad ardere, aggiungo un altro ciocco e guardo la legna e penso che non sarei mai diventato cattolico se Ales non lo fosse stata a sua volta, ma lo sono diventato anche perché non potevo continuare a bere come facevo, alla fine bevevo quasi ininterrottamente, ed era impensabile che continuassi così perché, se volevo dipingere bene, dovevo essere sobrio e anche se bevevo poco, perdevo la concentrazione e la precisione che richiede la pittura, quindi o la pittura o l’alcol, penso e quando è sparito l’alcol, il suo posto è stato preso dalla messa, perché in un certo senso tutti hanno bisogno di qualcosa, penso e penso che nell’ultimo periodo in cui io e Ales abitavamo a Bjørgvin, trascorrevo la maggior parte del tempo al Pub, penso e Ales era venuta a prendermi in più occasioni, penso, perché mi capitava di bere giorno e notte e non mi sono mai pentito di essermi convertito, perché diventare cattolico, e non solo avvertire costantemente la presenza di Dio come facevo anche prima della mia conversione, mi ha fatto solo bene

210-213 richiudo la porta e penso che avrei dovuto dipingere un po’ e in quello stesso istante è come se una sorta di buio cadesse sopra e dentro di me e penso di non avere più la forza per dipingere, ho fatto la mia parte, ho dipinto tutto ciò che dovevo dipingere, adesso ho chiuso con la pittura, non voglio più dipingere, penso, adesso basta, penso e vado in soggiorno e vedo sul cavalletto quel brutto quadro con le due linee che s’intersecano, no, non mi va più di vederlo, e non ho neanche la forza di toglierlo dal cavalletto e aggiungerlo alla pila di dipinti che non sono ancora finiti, quelli di cui non sono del tutto soddisfatto, non ne ho la voglia e non ne ho la forza, penso e guardo il cavalletto e penso che, ora che lo sto guardando, non è come se, è il pensiero che mi passa per la testa in questo momento, sì, non è come se in esso ci fosse anche Dio, nel cavalletto? e di sicuro sto impazzendo, penso, perché è come se Dio mi guardasse da ogni piccola cosa, penso e mi guardo intorno ed è come se Dio fosse presente in tutto ciò che mi circonda, penso, ed è come se mi guardasse da ogni cosa, penso e penso che il tavolo rotondo non mi sta forse dicendo con il suo silenzio che Dio è vicino? e le due sedie? e in maniera così netta quella dove si sedeva Ales, Dio mi vede assolutamente da quella sedia, penso e penso che è quando sono solo nella mia oscurità, nella mia solitudine, perché a essere sinceri si tratta proprio di solitudine, è quando riesco a stare il più possibile in silenzio che Dio è più vicino, nella sua lontananza, e sono, sì, quasi come un monaco, penso e mi viene da ridere perché è difficile immaginarsi qualcuno che sia tanto più diverso da un monaco di me, o forse c’è una certa somiglianza perché anch’io mi sono ritirato dalla vita, un po’ come un monaco, penso, per immergermi in questo dipingere privo di parole, sì, nella solitudine, come mi verrebbe da dire se non suonasse così sbagliato, penso, però in effetti mi sono ritirato nella preghiera silenziosa della pittura, forse questo modo di esprimersi è più corretto, eppure anche così suona sbagliato, penso, e mi sono ritirato anche nella quiete che infonde la pittura, penso, ma si tratta di parole troppo grandi, e false, la verità è molto semplicemente che, giorno dopo giorno, per tutti questi anni non ho fatto altro che dipingere, con tutta l’umiltà che possiedo ho continuato a dipingere e probabilmente devo continuare, perché cos’altro saprei fare? ma non voglio più dipingere, penso e se non voglio più dipingere, non ne ho più bisogno, penso e penso che Dio si celi sempre, è come se si mostrasse nascondendosi, nella vita, nelle cose, in tutto ciò che è, sì, certamente anche in un quadro, e forse è proprio così, che più Dio si nasconde più Lui si mostra, e viceversa, sì, più Lo si vuole mostrare, viene mostrato o si suppone che sia questo o quello, più si nasconde, penso, Dio si manifesta nascondendosi ed è in questo nascondimento che c’è Dio, è nel nascondimento di Dio che posso dimenticare me stesso e nascondere me stesso, soltanto lì, penso, ed è una cosa impossibile da capire, è incomprensibile, ma è proprio quando capisci di non poter capire Dio che allora Lo capisci, ed è così ovvio che non c’è neppure bisogno di essere detto, e non c’è bisogno di essere pensato, sì, è palese come il fatto che le parole di Dio sono silenziose, penso, perché in realtà è quello che sono, ma anche questo è ovvio, perché Dio parla in silenzio da tutto ciò che è, e questo silenzio è stato spezzato solo quando la Parola è venuta nel mondo, quando Cristo è giunto sulla Terra, soltanto in quel momento si è potuta sentire la parola di Dio, sì, la si può pensare anche così, ma ci credo veramente? penso, ma ha senso? penso, no, forse no, o forse uno può essere nascosto in Cristo, nelle sue parole, ed è per questo che c’è speranza nel grande silenzio di Dio? ma ci credo? no, forse no, non alle parole, ma non ho bisogno di credere alla presenza di Dio, perché più sono buio più Dio è vicino, penso, è un fatto, penso ed è qualcosa che penso sempre anche se con questo mio pensiero non riesco a spingermi oltre, l’unico modo in cui ci riesco è con la pittura, oltre? cosa intendo dire? penso, perché ho appena pensato che non voglio, non ho più la forza di continuare a dipingere, penso e guardo la sedia dove si sedeva Ales e penso che la lingua silenziosa che proviene dalla sedia è reale, è ridicolo, ma lo penso seriamente, sì, che il parlare silenzioso di Dio viene dalla sedia, sì, Dio mi guarda e mi parla in silenzio dalla sedia di Ales, penso, perché vi è nascosta una quiete in tutto ciò che è ed è questa quiete silenziosa a costituire l’elemento più intimo di tutta la realtà, penso, ed è questa quiete muta a incarnare il silenzio creatore di Dio, come diceva Ales, perché Dio è una luce non-creata, diceva e io stesso sperimento di persona che è il buio più nero a essere la luce di Dio, questo buio che può essere dentro e intorno a me, sì, il buio che ora mi sento di essere, perché nel buio c’è una quiete dove risuona silenziosa la voce di Dio, penso e guardo la sedia vicino al tavolo dove mi siedo sempre e vado verso la sedia, mi siedo, trovo il mio punto di riferimento e guardo verso quel punto, guardo le onde e penso che, quando guardo come in questo momento il mare, spesso prego in silenzio e allora anche Ales è vicina, e i miei genitori, e mia sorella Alida, e Nonna, e Sigve, e divento quieto e muto dentro di me e penso che in tutti gli esseri umani alberghi un anelito profondo, perché aneliamo sempre, sempre, a qualcosa e crediamo che sia questo o quello, questa cosa o quella, ma in realtà aneliamo a Dio, perché l’essere umano è una continua preghiera, attraverso il suo anelito l’essere umano è una preghiera, penso e guardo la sedia accanto a me

245-47 Sì, dico E Sorella si chiama Guro, anche se la chiamo sempre e soltanto Sorella, dice Guro, sì, dico Allora siamo d’accordo che quest’anno andiamo insieme con la mia Barca a festeggiare il Natale a casa di Sorella? dice Åsleik Sì, dico Dobbiamo fare un brindisi, dice e Åsleik alza il suo bicchierino d’acquavite e io il mio con l’acqua e brindiamo e di colpo qualcosa mi assale, come una paura, sì, mi sento quasi sopraffatto dallo stesso terrore, dalla stessa angoscia che mi veniva quando dovevo leggere ad alta voce al Liceo e dico che ho bisogno di tornare a casa, dico e Åsleik mi guarda senza capire Accidenti, che fretta, dice Sì, dico e mi sono alzato e lo ringrazio per l’ottima cena, il cibo era buonissimo, dico Ma perché te ne devi andare così all’improvviso? dice Åsleik e non so cosa rispondergli e dico solo che mi è venuta in mente una cosa e aggiungo che ci sentiamo presto e mi dirigo verso la macchina e noto che la paura è diminuita, accendo l’auto e penso che adesso ho bisogno di recitare dentro di me un’Ave Maria, di solito mi aiuta quando vengo assalito dal terrore, cosa che capita, anche se non così spesso, e mai senza un motivo specifico, e dico l’Ave Maria e di solito serve, penso e, seduto in macchina, tiro fuori il rosario da sotto il maglione e penso se ci credo davvero in tutto questo, no, in realtà no, penso e stringo la croce tra il pollice e l’indice e dentro di me dico Ave Maria Gratia plena Dominus tecum Benedicta tu in mulieribus et benedictus fructus ventris tui Iesus Sancta Maria Mater Dei Ora pro nobis peccatoribus nunc et in hora mortis nostræ e sposto il pollice e l’indice in alto sul primo grano e dico dentro di me Pater noster Qui es in cælis Sanctificetur nomen tuum Adveniat regnum tuum Fiat voluntas tua sicut in cælo et in terra Panem nostrum quotidianum da nobis hodie et dimitte nobis debita nostra sicut et nos dimittimus debitoribus nostris Et ne nos inducas in tentationem sed libera nos a malo e sposto il pollice e l’indice in basso sulla croce e dico Padre nostro che sei nei cieli sia santificato il tuo nome venga il tuo regno sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra dacci oggi il nostro pane quotidiano e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori e non ci indurre in tentazione ma liberaci dal male e stringo la croce marrone di legno tra il pollice e l’indice e poi dico, continuo a ripetere dentro di me, mentre inspiro profondamente Signore e mentre espiro lentamente Gesù e mentre inspiro profondamente Cristo e mentre espiro lentamente Abbi pietà e mentre inspiro profondamente Di me