CONSIGLI DI LETTURA: Il cucchiaino scomparso e altre storie della tavola periodica degli elementi

Il cucchiaino scomparso e altre storie della tavola periodica degli elementi Copertina flessibile – 18 giugno 2014, ed. originale The Disappearing Spoon…and other true tales from the Periodic Table, 28 luglio 2011, di Sam Kean (Autore), Luigi Civalleri (Traduttore), Adelphi, Milano

È probabile che per la maggior parte degli studenti, almeno agli inizi dello studio degli argomenti afferenti alla “chimica”, si siano trovati in un universo intellettuale irto di angosce e di fatiche. Uno dei primi scogli titanici in cui naufragano le certezze delle proprie capacità cognitive, ritenute dopo tale evento meno che adeguate, è il totem della tavola periodica degli elementi.

Fonte di angosce talvolta è questa disposizione di simboli affissa nel muro delle classi, mentre si tenta di rispondere a un test, sperando miseramente che una sua visione fugace possa risolvere i dilemmi. Alcuni tentano di comprenderla in modo fotografico, incasellando regolarità che hanno una congruenza simile a un castello di carte. I più avveduti con la bacchetta da rabdomante scavano nel caos, per delineare tracce di regolarità che siano adeguate ai propri processi logici, dimenticando di apprestarsi a edificare castelli di sabbia sopra una pentola in ebollizione.

Sam Kean in questo libro, come in altre sue opere, mostra una eccellente capacità di coniugare una presentazione storica ben documentata con fonti e riferimenti bibliografici numericamente imponenti, assumendo nel contempo uno stile di un romanzo avvincente, in cui un protagonista nascosto, che è lo spirito di ricerca scientifico, agisce per risolvere il mistero.

Si pone la certezza mitica che un demone colpevole si diverta a celare la soluzione dei dubbi che uomini e donne tentano di risolvere, spinti da un bisogno che è impossibile ignorare. L’illusione narrativa delinea una trama verso un futuro incerto, costituita dalla sfida dell’eroe contro l’errore, l’antagonista mai domo, in una disfida senza fine. Lo stile del libro assume un andamento armonico con il premio di un avanzamento della conoscenza e un ritorno alle posizioni di partenza per le smentite delle ipotesi iniziali.

Ecco allora che in secoli di ricerca, con una accelerazione di scoperte a partire dalla seconda metà dell’ottocento, la tavola periodica degli elementi assume quella forma a noi pervenuta, Non va vista in modo bidimensionale, come se fosse una mappa di un gioco dell’oca. No. In realtà la tavola periodica degli elementi è un incrocio di diverse teorie e ricerche descritte attraverso simboli e correlazioni, incastonati in ipotesi divergenti.

Immaginiamo di intersecare origami di leggi, elementi, codici, ognuno diverso dagli altri, per opera di decennali esperimenti compiuti in tutto il mondo. Quella singola colonna che scorriamo nella tavola periodica degli elementi, non è una traccia di un colore depositata da un pennello, quanto l’ombra di più arcobaleni aventi sequenze diverse di toni che si inframmezzano in una sola linea.

La tavola periodica degli elementi non è uno scheletro riassuntivo di concetti, quanto l’espressione di processi di ricerca ancora in atto. Offre una minima carta di identità di ogni elemento e le loro eterogenee relazioni. La cornice e la forma stessa della tavola periodica è a sua volta, una sovrapposizione di teorie ritenute all’inizio congruenti, poi sostituite da altre, e riaggiustate come se si portasse la propria autovettura dal carrozziere.

Non è un caso che agli studenti, di primo impatto, venga il mal di testa, e aggiungiamo poi che se è spiegata davanti a una lavagna digitale o non, senza mai sperimentare nel contempo, ovvero senza porsi in via PRIORITARIA in uno studio laboratoriale, ciò è una vera tortura che allontana tutti dalla bellezza, dal valore fondamentale che essa ha per ogni nostra attività quotidiana, anche quella del dormire.

È un libro meraviglioso che ci introduce dentro i processi di ricerca, in modo carnale, empatico, vivo, vero, percorrendo la prima tappa con la vita, le caratteristiche, le aspirazioni dei ricercatori, dei tecnici e degli scienziati. Le loro capacità di ideazione, la loro cocciutaggine, le visioni, e anche le loro meschinità. Sì, perché come per gli altri ambiti di ricerca, il lavoro delle donne è stato osteggiato, rubato, misconosciuto e oppresso.

Nonostante che in questi ultimi decenni vi sia una lenta ricostruzione storica del ruolo delle donne nell’ambito delle scienze chimiche, è plausibile ritenere che sia ancora troppo lo scavo. Le donne si sono cimentate con difficoltà economiche e istituzionali, proibizioni, dileggi, e poi sotto sotto, circuite, ritrovandosi misconosciute nelle loro scoperte.

È una precisazione doverosa anche per la maschilista teoria per la quale le donne non siano portate per la ricerca scientifica, ancora, a mia personalissima e debole opinione, purtroppo imperante, anche se formalmente osteggiata dalle autorità politiche e della morale.

155-56 Segrè, che in seguito divenne un noto storico della scienza (nonché celebre cercatore di funghi), tornò sulla questione con grande lucidità in due suoi libri. In uno di questi si legge: «La possibilità della scissione del nucleo di uranio ci sfuggì nonostante ci fosse stata segnalata da Ida Noddack … che ci inviò un estratto di un suo articolo in cui indicava chiaramente la possibilità di interpretare taluni dei nostri risultati come conseguenza della scissione dell’uranio … La ragione della nostra cecità non è chiara nemmeno oggi».3 (Curiosità storica: le due persone che si avvicinarono più di tutte alla scoperta della fissione – Ida Noddack e Irène Joliot-Curie, figlia di Marie Curie – e quella che la scoprii per davvero – Lise Meitner – erano tutte donne).

Questo libro è un tesoro che ci riappacifica con noi stessi, con le nostre capacità di sperimentare e di inventare bloccate negli anni passate. Ci invita verso nuovi orizzonti nel pensare a nuovi modi di intendere il reale, ponendo in relazione le nostre esperienze e i nostri dubbi in una foresta rigogliosa, alimentata dalla gioia della scoperta. La nostra intima capacità di domandarsi su di noi e sul mondo.

Lo stile è ben scandito e scorrevole, corredato da numerose note con piccoli riassunti in esse, per chiarire i luoghi e i riferimenti storici.

E più di tutto ci riappacificheremo con quell’incubo di totem minaccioso, che in realtà è una traccia della nostra storia intellettuale. Uno spicchio di noi stessi che attende di essere finalmente abbracciato.

Un romanzo che è veramente un dono verso noi stessi e la nostra storia individuale.

CONSIGLI DI LETTURA: LA RAGAZZA DELLA PALUDE

LA RAGAZZA DELLA PALUDE, di Delia Owens (Autore), Lucia Fochi (Traduttore), Solferino Editore (2022), Rizzoli, Milano, ed. originale in lingua inglese, 2018

Non è un caso che appena uscito, fu un successo per tutto il mondo anglosassone e poi europeo, e da cui fu tratto un film, famosissimo. Il romanzo, però, al di là delle stesse intenzioni dell’autrice, ed è questo il bello delle opere mirabili, è ben più articolato e denso del film e della pubblicistica. Qui siamo innanzi all’evento di questa ragazza che oltrepassa il suo luogo d’ideazione e diviene veramente la “La Ragazza della Palude”.

Gli anni vanno e vengono nella narrazione come onde, flutti e riflussi sulle coste. Ritornano lì nel pantano, e tutto ritorna accolto nella palude. La mappa fornisce i luoghi topici e mitici. La città è una escrescenza tra l’oceano, la pozzanghera, l’umido e il fiume, conservata per poco dal sale, e poi corrosa. Tra schiume del tempo e brezza del ricordo.

In quel luogo vi è la ragazza della palude che ognuno abbandona nella solitudine. Però, lì, quasi tutti ritornano. Nel pantano le onde e i rami schiumano, interrompendo il loro flusso ben coordinato e veloce rispetto allo scandire del tempo. Ciò che sembra lineare, nel pantano sembra arrestarsi. Acqua, fango, uova di uccelli, molluschi, insetti, rami, radici, foglie morte, ognun si tampona con l’altro. Il grande cumulo, dove anche i secondi restano intrappolati nella sabbia che, accogliendoli e disgregandosi, inclina lo spazio, e lo proietta in una immagine statica, senza che vi sia movimento: in modo carsico. L’acqua pian piano fluisce e lega ogni oggetto in un groviglio, vivo o decomposto, in un grande grumo, che continuamente si dispiega, in una metamorfosi di insetti, di larve, di fusti d’acquitrino, di alghe, di pesci che lì stazionano e nascono. È una danza da fermi che roteando genera strutture ben più corpose, come le aree costruite dagli uccelli migratori e da quelli stanziali, i quali, come provetti carpentieri, impastano l’acqua nell’edificare le spiagge, i nidi, gli isolotti e le dighe.

Prede e predatori lì convergono, attirati da tutti i loro secondi impigliati.

Delia Owens, prima di scrivere il suo romanzo d’esordio, e anche dopo, è stata una valente etologa e ornitologa, e lo si nota dalla descrizione minuziosa degli animali, dei pesci, degli insetti, i quali agiscono, entro e con la palude, assieme ai personaggi canonici.

L’ecologia, intesa come un nido d’infanzia, la casa di cura e di nascita, segue un filo narrativo parallelo con le azioni dei singoli, oscillando su intervalli temporali che, come il giorno e la notte della nebbia e della rugiada della palude, vanno avanti negli anni e ritornano indietro. Gli eventi iniziano in modo invertito, collegandosi con situazioni accadute mesi e decenni prima, e viceversa. Il perno di questo vortice temporale che conferisce la stabilità alla narrazione è LEI: la ragazza della palude. La fragile bimba vessata ed abbandonata, disprezzata, osteggiata, isolata, che, però, trae da sé stessa le forze e le capacità per sopravvivere e crescere e venire in relazione con ciò che è al di fuori della palude, nel tempo della società. Quella particolare comunità che però ondeggia tra il fiume e l’oceano. Due canne d’acqua in balia delle onde del tempo, delle quali, la palude, è ancor di più, a pelo d’aria e d’acqua, sospesa tra il reale e il fantastico, che risponde nel mito, nel ricordo e nel racconto.

Quando la ragazza della palude è estremamente debole ed indigente, fortunatamente riceve l’aiuto di alcuni, che però, guarda caso, sono anch’essi quasi reietti dal mondo del tempo lineare. E quando acquisisce l’autonomia, altri ancora, però, tentano di sopraffarla e acquisirle la vitalità, l’eccitazione e la propria affermazione. La palude e la ragazza sono i luoghi in cui l’inconscio di ogni personaggio emerge nei lati non visti e non espressi magari, volutamente celati, oppure strenuamente perseguiti.

All’inizio il romanzo assume uno stile quasi dell’ottocento, nel raffigurare una famiglia disgraziata, con l’abbandono di questa figlia. Dopodiché assume il tono di un thriller, fino a quello del mistero, passando per l’avventura della sopravvivenza, ma poi declina in una descrizione etologica di tutti gli esseri viventi, non fredda, ma partecipata e quasi compassionevole. Il lettore si ritrova a convivere con famigliarità in questo ambiente di più dimensioni temporali dove i mutamenti non si disperdono, ma si raccolgono in quella memora ciclica di nascita, crescita, mutamento che è la palude, con il suo ingresso che è il pantano: il luogo che risponde alle proprie inclinazioni. Dure, crudeli, di riparo, edificanti, in base agli angoli nascosti dei protagonisti.

È anche una storia indiretta del sud degli Stati Uniti, visti però da lontano, dove gli avvenimenti giungono sfocati, lenti, in punta di piedi e questi subiscono l’erosione dell’ambiente salino, salmastro, sornione della palude. La riposante umidità che ipnotizza, impigrisce, richiama, affonda, e fa naufragare le parole a una sola dimensione. Si riesce a muoversi e a vivere, solo se si ha la capacità di osservare la realtà e di comprendersi in più livelli interpretativi. I ruoli si moltiplicano nello stesso personaggio, connettendosi, però, attraverso contorni laschi e sfumati.

Violenza, delitto, amore, passione, fuga, tristezza, dolore, speranza, eroismo, generosità, tutto vi è un questo quadro che prende vita ogni volta che il lettore ha la spinta a percorrerlo. E lì quell’incrocio tra il fiume e l’oceano ad esprimere questa comunità piccola e modesta, ma universale tra l’angoscia della caduta, il timore dell’attacco, la speranza del guado, come è appunto la vita di una libellula d’acqua, cioè la ragazza della palude.