“Il giuoco delle perle di vetro” è una sinestesia tra le scienze e le arti, da una frase di Confucio, si passa ad una fuga, che si tramuta, bicefala, in un dipinto e in una poesia.
Il protagonista, Knecht, all’inizio del suo interrogarsi su sé e sul mondo, compie l’errore di voler saggiare il METODO ESATTO di questa sinestesia universale che è il giuoco delle perle di vetro. Intende manifestare la struttura, lui, singolo dell’universale che è il tutto, compiendo una grave contraddizione.
Castalia e il giuoco delle perle di vetro. L’apparente inutilità che ricerca, nel gesto estetico, di collocarsi entro la propria limitatezza, nella cognizione che tale semplicità non possa escludere la grande manifestazione del sensibile e del corpo. Vi è una ripresa poetica della dualità tra le idee e il mondo neoplatonico, stilizzato dai tedeschi del 1700-800.
Castalia un ritorno all’adolescenza. Alle promesse inevase.
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Questo romanzo non è un compimento di un’opera e del lavoro correlato. È una individuazione provvisoria del percorso di crescita che Hermann Hesse tentò di praticare nel corso del suo vivere intellettuale e artistico.
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L’arte è anche pedagogia. Lo scrittore nel parlare del mondo, del vivere e del bello, quindi delle arti, può dichiarare la sua funzione nell’accompagnare il cammino del pubblico verso il godimento e la riflessione estetica, la quale, se veramente vissuta, comporterebbe una migliore consapevolezza etica di sé nel mondo.
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Non è un caso che nei romanzi giovanili, oltre a narrare dei turbamenti della nuova soggettività del secolo 900 che comparve con sua dignità autonoma, l’adolescenza dispiega le sue ricerche nelle arti come la pittura e la musica. La crescita dell’artista non è solo quella eroica e magica dell’illuminato, ma anche di quella dell’infante che si fa adulto. Il buon cammino estetico è parte necessaria e integrante dello sviluppo del giovane e dei popoli. La pedagogia è impossibile che non sia dotata dell’educazione e della pratica nel gusto e nella produzione artistica.
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La maggiore consapevolezza nel conoscere i turbamenti derivati dalla propria limitatezza rispetto al sapere, al destino e al vivere e al morire, è concomitante all’incapacità di sottrarsi a tale giogo, perché è il nucleo del senso di sé. E del tempo in cui si vive.
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Il romanzo di formazione dell’ottocento, nell’opera di Hesse si trasforma nella stenografia del vivere di ogni essere vivente. L’adulto è il risultato momentaneo e in divenire di questo libro che giunge a gradi infinitamente estesi nell’esprimere l’arte, il gioco e il pensiero. Tale cammino, pone se stessi come il problema da distendere nel tempo nel comunicare ciò che è oltre sé.
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E proprio perché Hermann Hesse visse prima, tra e dopo le due guerre mondiali, tentò di reagire a suo modo, contribuendo tenacemente, nonostante le depressioni, le limitazioni fisiche e l’inesorabile vecchiezza, ad esprimere una assonanza tra il giovane che rimane nel buio e non vuole riconoscere la menzogna che, tuttavia, preavverte, e gli stati e i capi che, nel percorrere esclusivamente un cammino teso ad acquisire sempre più potenza, entrambe le parti sembrano non comprendere che in realtà dilaniano se stesse. Tutti rimangono nella piatta visione della sopraffazione, senza fine, senza avanzamento in una stasi di morte, cecità, dolore. Permane l’impossibilità a mantener fede al proprio destino di proseguire un cammino nel mondo e nel tempo, fino al proprio ed inevitabile compimento.
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L’elemento più dilaniante per Hermann Hesse, fu che le stesse arti erano usate e generate per alimentare pratiche inedite dell’orrore. Il giuoco delle perle di vetro è un percorso di formazione che riprende lo spirito della pedagogia generato dai millenni, tramandato per analogia a partire dalle forme della filosofia greca, abbracciando le filosofie orientali, e innestandole nello spirito scientifico moderno, per creare un orizzonte più ampio rispetto alla visione della guerra contemporanea e quindi a quella artistica ad essa correlata.
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Il giuoco delle perle di vetro non è descritto in modo preciso, e non può che essere così, perché il titolo già racchiude gli indizi. È un libro aperto di formazione dei protagonisti, del lettore e della loro trasfigurazione, che, attraverso il rispettivo congedo, lascia nuovi spazi di possibilità di esistenza per gli altri che stanno sopraggiungendo. È un giuoco infinito, senza uno scopo e un premio accertato, perché ha l’orizzonte stesso di senso come regola, e di vetro, perché è consapevole della propria limitatezza e quindi della sua indefinita possibilità di manifestazione, per il singolo lettore, per il giocatore del presente e per tutti quelli che forse verranno. Perché il giuoco è questo mio e tuo vivere.