Umberto Rossi. L’uomo che ricordava troppo. Prima edizione dicembre 2015 ISBN 9788867759828 © 2015 Umberto Rossi Edizione ebook © 2015 Delos Digital srl Piazza Bonomelli 6/6 20139 Milano Versione: 1.0
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“[…] Johann Hagenström ha un bel problema: la sua memoria ha perso parecchi pezzi del suo passato; in compenso, ogni tanto ricorda cose che non sono mai successe… che non possono essere successe. Johann vorrebbe tornare a una vita normale e al suo normale lavoro di traduttore: ma la strana sindrome mentale che lo affligge non glielo consente. La terapia dello psichiatra che lo ha in cura non sembra dare risultati; come se questo non bastasse, i suoi falsi ricordi lo portano frequentemente nel bel mezzo di una feroce guerra civile che lo atterrisce, o di un’Italia ridotta a un deserto. E nelle sue allucinazioni retroattive torna ossessivamente una figura enigmatica, un’affascinante donna di colore che pare conoscerlo molto bene… troppo bene. Quando poi Johann comincia a incontrare persone uscite dai ricordi di una vita che non ha vissuto, tutto intorno a lui comincia a disgregarsi; lui stesso comincia a dubitare di se stesso; e quella che emerge è una realtà minacciosa. E letale. Un romanzo finalista al Premio Urania, dove Philip K. Dick incontra Alfred Hitchcock. […]”.
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Un libro avvincente che inizia in modo colloquiale, portando il lettore per mano nei luoghi della narrazione. Il modo informale e la sintassi apparentemente disordinata all’inizio, suggeriscono invece richiami e indizi per gli eventi che via via si snoderanno lungo il corso delle pagine. È un libro strutturato a più livelli, dove ogni nome, le vie, i richiami storici, alcunché non è posto a caso.
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È un libro di atmosfere familiari in cui i tempi della nostra immaginazione si intersecano. Si annusano gli ambienti dei gialli, dei racconti di fantascienza dei decenni passati, ma questi sono aromi volatili, che, appena dileguati, annunciano qualcosa di altro. E lo si sente. Gli Odori e le suggestioni diventano elementi che compongono un ritmo nella narrazione. Un libro di incroci temporali tra le vite dei protagonisti e gli spazi, dove entrambe le direzioni prendono una vita autonoma intersecandosi a più riprese, fornendo squarci ulteriori dell’orizzonte degli eventi.
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“[…] e l’eternità c’è entrata, si è impadronita di me, senza che lo volessi, senza che facessi nulla per entrare nel suo dominio, mi ha preso e non mi lascia più se solo riuscissi a ricordare quando e come ho lasciato quella saponetta nel lavandino; se solo riuscissi ad uscire dal tempo delle acque e delle rocce, che mi ha catturato; se riuscissi a tornare tra gli uomini, a ridiventare me stesso… ma non so come si fa eppure deve esserci un modo per ricordare… […]”
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Suggestivo lo stile in cui il protagonista parla in prima persona circa gli eventi del passato, affermando di non ricordarli in modo compiuto. È una narrazione di memorie delle proprie dimenticanze.
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“[…] tra Contro-passato prossimo di Morselli e un romanzetto di fantascienza di un certo Philip K. Dick, che neanche ho mai letto (con un titolo ridicolo: Slittamento temporale su Marte… possibile che abbia comprato una scemenza del genere?). Sta di fatto che l’ho dimenticato di nuovo.
[…]”
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“[…] Dico finalmente, perché se avessi continuato a distruggermi inseguendo un passato perduto o i fantasmi di una vita che non ho mai vissuto sarebbe finita che non sarei vissuto più. E questo non lo voglio. Devo dare un taglio netto a quel passato che mi ha portato a sprecare due anni nell’abulia più malsana. Devo pensare a vivere, qui e ora […]”.
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“[…] Ho sempre sentito dire che in vecchiaia ti tornano ricordi perduti dell’infanzia con una grande intensità. Ma io non sono vecchio; e qui non è solo ricordare, è rivivere. Come se fossi andato in trance, come un sogno. Ma no, ma che sogno. I sogni sono cose incasinate e surreali, nei sogni guidi una macchina che ha come volante una frittata, cose del genere. Quel posto, quel capannone, era vero. Era tutto vero, troppo vero. Anche la paura che provavo. Anche la morte che aleggiava nell’aria. Io lì ci sono stato. […]”.
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La visione del protagonista è caleidoscopica. Si ha la sensazione di camminare per le vie di Roma, assieme a lui, anzi dentro i suoi occhi, provando le sue sensazioni di fatica e di spaesamento. E tra questo uomo che ricorda diversi orizzonti temporali, si avverte la peculiarità della città di Roma, che è una città del tempo, come della morte. Una sovrapposizione continua di luoghi e linguaggi, tutti presenti, anche in modo conflittuale. In sequenza alcuni, in conflitto oppositivo altri.
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L’oblio e la memoria più che un legame dialettico, sembra abbiano una rilevanza spaziale. Il tempo è scandito dalle azioni e dai mondi evocati dal protagonista. La memoria degli eventi del passato per noi lettori, e alcuni di essi nel futuro, rispetto al tempo della narrazione, oscillano come il parabrezza di una macchina. Emergono, anche, spicchi della memoria storica di noi italiani, dei lati oscuri del nostro passato recente nella guerra, nel fascismo, nel razzismo, nelle oscenità che stancamente attribuiamo ai popoli a noi vicini, per non fare i conti con noi stessi.
È un romanzo in cui, oltre alla trama che non rivelo, perché, oltre ad essere distopico, mantiene una tensione narrativa che lascia indizi per gli eventi a seguire, esprime il senso delle tante città e dei tempi che quel luogo eminente del ricordare, presente e concreto, è Roma. Poiché noi italiani ne siamo uno spicchio relativamente recente, questa moltiplicazione prospettica delle trame e delle vite, si estende nei territori circostanti, oltrepassando l’Italia e il continente.
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Iniziamo a ricordare anche noi.