In quei primi giorni notai una distonia nel modo di scrivere. Quando componevo per le poesie, l’atteggiamento era incentrato su di me, sul mio corpo. Fungevo da collettore esprimendo il ritmo di sensazioni ed idee, traducendolo in narrazioni poetanti oppure in strutture versificate, naturalmente da rivedere da riaccostare. E in una seconda lettura riattraversandole con altre rime, esagerando anche in una spiegazione immediata delle stesse, permettendo una loro emersione in versi e il loro differenziarsi in prose. Talvolta, invece, la struttura appariva già delineata tra le mani, in strofe o in versi liberi, che proprio perché così vaghi, rappresentavano e rappresentano richieste di approfondimento, simili a sonde che invitano a penetrare ancor di più i fondali in movimento. Però, ancora, l’elemento comune è il mio nucleo emotivo, ovvero la rappresentazione scritta di quello stato che immediatamente tesseva il tono e il timbro espressivo. Ogni poesia riconduceva me stesso, attraverso il ritmo melodico sparso in cellule fonetiche: la cartina da tornasole che risponde a un marchio uguale per tutte. Ponendomi in modo passivo rispetto al contingente per patirlo poi nella risposta riflessa della versificazione, il vincolo di entrata ero sempre io. Il personaggio è unico: il poeta. Nel palco vi è solo il poeta e il suono della sua voce interiore.
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Mi resi conto, anche se già formalmente ne ero consapevole, che nella scrittura di un romanzo non esiste un personaggio unico e che lo scenario, i luoghi, il palco, il palcoscenico, il pubblico, l’anfiteatro non sono una diretta emanazione dello scrittore, come nell’atto di poetare. Lo scrittore in prosa e in particolare di un romanzo, e non di un monologo, e tantomeno di un racconto, e ancora di una scena teatrale, deve mostrare un mondo che pian piano si snoda attraverso il racconto.
Dopo alcuni giorni mi bloccai, perché l’inconscio mi diceva: “Fermati! Stai correndo su una stradina che intorno non ha alcunché di evidente per il lettore. È tutto compresso negli appunti sedimentati dagli anni e nella tua testa”.
Infatti, ero io. Dove sono i protagonisti del romanzo? Quelli di contorno? Quali scenari? Non si possono mica inventare così, concentrandosi su un posto che magari si preferisce e si è sicuri di scrivere. E poi non è solo una questione di nomi. Ogni personaggio deve acquisire una vita propria. “Tutto giusto”, mi dicevo tra me e me. Certo: ma come? Quanto di più lontano rispetto alla pratica del poetare. Il poeta è presente a sé, anche nella fase di trance, o di dispersione, ma è la mia perdita. Sempre di me si tratta. Per il romanzo invece occorre che i protagonisti si distacchino dal personaggio che è l’emanazione dello scrittore, oppure ancora che abbiano una autonomia tale da esser reputati completi da parte del lettore, che ovviamente non sta nella mia testa e nel mio corpo di autore.
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Mi rifermai. E cominciai come un attore, dentro casa, parlando da solo. Cercavo di sviluppare storie partendo dalla situazione che dovevo scrivere recitando a braccio e in piedi, con un flusso di parole e pensieri, tentando di distaccarmi e alterando la voce e le movenze, con le espressioni facciali dei primi protagonisti che avevo appena delineato. Dalla metà di settembre ai primi giorni di ottobre 2017, inframmezzandomi tra le attività quotidiane domestiche, recitavo davanti a una cinepresa immaginaria. Naturalmente alcuni sporadici presenti erano dubbiosi se chiamare la guardia medica 😀 –
Interpretando questi personaggi che via via apparivano mentre recitavo a braccio, anche le situazioni, gli scenari e i luoghi premevano per entrare. Ancora non mi era chiaro quali fossero in dettaglio, perché la logica della trama già scritta e riscritta negli anni precedenti, non bastava più. Era stretta. Vedevo innanzi oceani neri nella notte. Nello scoramento, però mi accorsi che li annusavo e li sentivo. Prima ero sordo. Percepivo altri protagonisti nascosti, mai pensati fino ad allora che bussavano nell’inconscio e tutti mi dicevano: “Guarda che senza di noi, gli altri sono vuote comparse. In più stai sempre dentro un luogo. Non esci mai da lì?”
Mi allargai sempre di più, scrivendo poi di corsa i tratti e i luoghi, ma non alla rinfusa, seguendo una logica ferrea. E il giorno dopo, con la mia solita domanda: “Ma come ci sono riuscito a tenere insieme questi livelli in contemporanea e a implicarne altri?”
Sbagliavo come sempre a pormi le domande, perché iniziavo con “io”, con quell’io che vuole dominare tutto. Il piccolo “io” che si crede il mondo, essendone invece una individuazione. Occorreva rendere concreti i personaggi nel caratterizzarli anche attraverso il luogo di origine, fissando i loro nomi, i ruoli, e configurando i gruppi formali e informali di appartenenza, dove questi chiedevano a loro volta una storia.
A metà ottobre ero sfiancato. Ogni passo in avanti ne apriva un altro. Ritornai ancora indietro nella scrittura, dopo che già la produzione di ottobre, dopo una recitazione che durava ore e ore nella mia testa, era quantitativamente mastodontica, con scritti di flussi di coscienza, dialoghi, caratterizzazione dei personaggi però dove talvolta confondevo i nomi e i luoghi. Credevo fossero refusi, ma in realtà erano sentinelle dell’inconscio che mi dicevano di sviluppare ancora ciò che era stato scritto, prima di andare avanti. Avevo timore come già negli anni prima, di arrivare a un punto morto nel creare materiale che tutto sarebbe diventato, meno che un romanzo.
Però mi dissi: gli errori, le sviste, le spiegazioni schizofreniche dentro i dialoghi abbozzati, lunghi, corti, da teatro, ampollosi, eccedenti, circolari, monchi, in realtà sono porte che indicano una strada più ampia e strutturata. Stavo creando cartelli stradali di una regione, poi di uno stato, poi di una città (tutti luoghi veri che andavo a studiare veramente via per via, e anche nella loro storia recente e passata). Tutto implicava un soggetto mancante: dovevo creare un mondo e collocare i protagonisti in parti di esso, assolutamente non a caso, e con nomi pregnanti, anche attraverso lo studio delle lingue e degli idiomi del luogo di origine dei protagonisti.
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Alla fine del mese di ottobre 2017 mi gettai nell’impresa. Avevo già conoscenze pregresse in merito per acquisire i nuovi dati e le informazioni.